Persecuzioni indirette degli ebrei contro i cattolici, ossia le ostilità dottrinali
Oltre a combattere
direttamente la santa Chiesa, gli ebrei si sono infiltrati
negli ambienti cattolici per distorcere la fede in Gesù
Cristo e nella SS.ma Trinità, promuovendo così l'eresia.
Questo fatto è attestato nel luminoso testo di
Mons.
Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704), intitolato
Commenti sull'Apocalisse:
«Fin dalle origini del cristianesimo, alcuni
ebrei falsamente convertiti si sono insinuati tra i
fedeli cercando di coltivare nelle cerchie cristiane
il lievito nascosto del giudaismo, che si espresse
principalmente nel rifiuto dei misteri della Trinità e
dell'Incarnazione. Tali erano era un certo Cerinto ed Ebione
che negavano la divinità di Gesù Cristo e riconoscevano
solamente una persona in Dio [...]. Di tanto in tanto, queste
cose (la propaganda ebraica) salivano dall'inferno,
dove (gli argomenti del) Vangelo di San Giovanni
sembrava averli imprigionati. Verso la fine del II secolo
(nel 196), una sétta chiamata degli alogeani (dal
greco "no parola") 97 sorse
senza un fondatore conosciuto. I suoi seguaci furono
chiamati con questo nome perché non ammettevano il Verbo
divino. Pieni di odio per il Verbo che San Giovanni
annuncia, essi rifiutavano il suo Vangelo e anche
l'Apocalisse, in cui Gesù Cristo viene chiamato "la Parola di
Dio" [...]. Un'altra sétta, della stessa origine,
diminuiva così fortemente la figura di Gesù Cristo fino a
porlo al di sotto di Melchisedec
98.
Essa ripropose le teorie ebraiche che riducevano la Trinità
a dei semplici nomi. La stessa cosa venne affermato da Prassea, contro cui scrisse Tertulliano. Anche Noeto seguì
questo errore, che più tardi fu ripreso da Sabellio, che non
solo fece molti discepoli in Mesopotamia, ma anche a Roma
[...]. Si vede chiaramente che queste eresie erano un
rimasuglio di questo lievito ebraico [...], e che i
cristiani che le
adottarono erano, sotto il nome "cristiani",
farisei ed
ebrei, come Sant'Epifanio e gli altri Padri li chiamano»
99. «Ma non era mai così ovvio che queste opinioni
provenissero dagli ebrei, come avvenne ai tempi di Paolo di Samosata,
Vescovo
di Antiochia. Quando Artemone riprese l'eresia di Cerinto e
di Teodato che riduceva Gesù Cristo ad un semplice uomo, Paolo aderì
a questa dottrina insieme a Zenobia, regina di Palmira, che
era
collegata alla religione ebraica
100.
Gli ebrei
erano infatti gli autori di quell'empietà, e incitarono
quella regina ad adottarla [...]. Le
conseguenze di questo errore per la Chiesa furono
terribili, perché esso non fu solo accettato da Fotino,
Vescovo di Sirmio, ma anche dagli ariani, dai nestoriani e
da tutte le altre sétte che più tardi attaccarono la Divinità o l'Incarnazione del Figlio di Dio.
Tutti questi errori non erano nient'altro che germogli dell'eresia ebraica.
Perciò, la Chiesa soffrì per molto tempo una sorta
di persecuzione da parte degli ebrei attraverso la
diffusione di queste dottrine farisaiche»
101. |
Molti documenti esistenti
dimostrano che i due generi di persecuzioni ebraiche - una
sanguinosa contro i cattolici e una incruenta contro la
dottrina e i costumi della Chiesa - non solo hanno avuto
luogo nei primi mille anni dell'era cristiana, ma che sono
esistite dalle origini del cristianesimo fino ai nostri
giorni. La testimonianza di Bernard Lazare, uno
scrittore ebreo francese, offre un esempio di queste
persecuzioni 102. Lazare
mostrò il ruolo significativo giocato dai suoi colleghi
ebrei nel processo rivoluzionario contro la civiltà
cristiana e contro la Chiesa cattolica. Ecco ciò che Lazare
afferma a riguardo al ruolo rivoluzionario ebraico nella
Storia: «Furono questi razionalisti e questi filosofi
(ebrei) che, dal X al XV secolo, fino al Rinascimento,
furono i collaboratori di ciò che potrebbe essere chiamata
la rivoluzione generale dell'umanità
[...]. La maggioranza degli averroisti era scettica, e più o
meno ostile alla religione cristiana. Essi erano gli
antenati diretti degli uomini del Rinascimento. Grazie a
loro venne elaborato lo spirito del dubbio [...]. I platonisti fiorentini, gli aristoteliani italiani e gli
umanisti tedeschi provengono da essi. Grazie a loro,
Pomponazzo compose i trattati contro l'immortalità
dell'anima; grazie ancora a loro nacque il deismo fra i
pensatori del XVI secolo, che provocò la decadenza del
cattolicesimo» 103. Lazare
prosegue indicando il ruolo giocato dagli ebrei nel
protestantesimo: «La Riforma, sia in Germania che in
Inghilterra, fu uno di quei momenti in cui il cristianesimo
si ritemprò alle fonti ebraiche. Con il protestantesimo
lo spirito ebraico trionfò [...]. Contro il
cattolicesimo gli ebrei dotarono i protestanti dell'esegesi
formidabile che i rabbini avevano coltivato e costruito
durante i secoli: il libero esame, di cui il
protestantesimo fece buon uso» 104.
L'influenza ebraica si fece sentire anche nella Rivoluzione
Francese.
Bernardo Lazare sottolinea questo fatto elencando
i nomi dei collaboratori principali e le loro funzioni: «Gli
ebrei furono implicati in tutti i movimenti rivoluzionari,
e presero parte attivamente a tutte le rivoluzioni,
come si vede quando si studia il loro ruolo durante tutti i
periodi di disordine e di cambiamento [...]. Lo
spirito ebraico è essenzialmente uno spirito rivoluzionario,
e consapevolmente o meno, l'ebreo è un
rivoluzionario [...]. Durante la Rivoluzione gli
ebrei non sono rimasti inattivi, considerando quanto basso
fosse a Parigi il loro numero. La posizione che occuparono
come elettori di distretto, ufficiali di legione e giudici
associati, fu importante» 105.
Le asserzioni di Lazare sul ruolo di ebrei nella Rivoluzione
Francese sono state confermate da un documento intitolato
«The Agony of the Roman Universe», pubblicato sul
quotidiano israelitico Haschophet verso la fine di XI
secolo. In esso si dice che la Rivoluzione Francese è stata
opera del giudaismo: «Senza successo la triplice corona
(il papato) ha lottato contro lo scettro della Rivoluzione ebraica
di 1793; invano (il papato) ha cercato di liberarsi dalla presa di ferro del gigante
semita che lo afferra;
tutti i suoi sforzi sono stati inutili. Il pericolo è imminente,
e il cattolicesimo sta morendo nella misura in cui l'ebraismo
penetra gli strati della società»
106.
Nel suo numero di ottobre del 1896, la
rivista inglese The Mouth giunse alle medesime
conclusioni convalidando le parole della rubrica di Haschophet:
«Gli ebrei non cercano di mascherare il fatto che, nel loro odio eterno
per il cristianesimo, aiutati dai
capi della Massoneria, sono stati gli autori della
Rivoluzione (Francese)» 107.
Il Cardinale
Arcivescovo di Parigi Jean-Marie Lustiger (1926-2007)
tête-à-tête con il rabbino-capo
di Francia
Joseph Sitruk. Egli disse alla Jewish Telegraphic Agency:
«La decisione di diventare cristiano
non
si presentò a me come una negazione della mia identità
ebraica»
(cfr. Inside
the Vatican, dicembre 1997).
Anche Bernard Lazare ammette che ebrei hanno lavorato
ardentemente nel comunismo e nei sollevamenti rivoluzionari
socialisti del XIX secolo: «Durante il secondo periodo
rivoluzionario che iniziò nel 1830, essi mostrarono maggior ardore
che durante il primo [...]. Mentre lavoravano per il
trionfo del liberalismo, essi perseguivano i loro scopi. É
fuor di dubbio che gli ebrei, tramite la loro ricchezza,
energia e talenti, hanno sostenuto e favorito i progressi
della rivoluzione europea [...]. Il loro contributo
al socialismo attuale è stato ed è, com'è noto, ancora assai
più grande» 108.
Un altro
fatto dovrebbe essere aggiunto ai documenti che attestano le
persecuzioni stimolate da ebrei contro cattolici è quello
della loro ostilità dottrinale e partecipazione nel processo
rivoluzionario che sta distruggendo la cristianità. I
precetti del Talmud, che manifestano un grande odio
per la Chiesa e per i cattolici, cercano di dare un
fondamento religioso alla ripugnanza israelita per il
cristianesimo.
Nel 1967, il
Cardinale cileno Silva Henriquez (1907-1999) visitò
una sinagoga a
Santiago (foto estratta da ICI, del 15 ottobre 1967).
Questo odio è stato rafforzato dal Talmud
fin dall'inizio della sua stesura, nel II secolo, quando le
sue basi furono gettate da Simon Bar Kokheba, da Akiba
e da Aquila fino ad oggi. Bernard Lazare scrive:
«I tanaim (i primi "insegnanti") vollero preservare il
fedele dalla contaminazione cristiana; a questo scopo i
Vangeli furono paragonati a libri sulla stregoneria, e
Samuel Junior, su ordine del patriarca Gamaliele, inserì
nelle preghiere quotidiane una maledizione contro i
cristiani, la Birkat Haminim, con la quale gli ebrei
bestemmiano Gesù tre volte al giorno»
109.
Anche se non abbiamo citato
altri documenti, i precetti del Talmud appena visti
costituiscono la prova dell'odio permanente degli ebrei per
la religione cattolica. Considerando ciò che è stato
esposto, trovo che l'odio degli ebrei contro i cattolici,
manifestato in tutto il corso della Storia, sia così
viscerale e inesorabile che potrebbe adempiere alla
rivelazione che Dio fece al Profeta Isaia dicendo: «Ciò
che questo popolo chiama congiura...» (Is 8, 12).
Si potrebbe dire che anche quest'altro avvertimento di Isaia
possa essere applicato al ruolo storico degli ebrei contro
la Chiesa cattolica nella Storia:
«Nessuno muove causa
con giustizia, nessuno la discute con lealtà. Si confida nel
nulla e si dice il falso, si concepisce la malizia e si
genera l'iniquità. Dischiudono uova di serpenti velenosi,
tessono tele di ragno; chi mangia quelle uova morirà, e
dall'uovo schiacciato esce una vipera [...]. Le loro
opere sono opere inique, il frutto di oppressioni è nelle
loro mani. I loro piedi corrono al male, si affrettano a
spargere sangue innocente; i loro pensieri sono pensieri
iniqui, desolazione e distruzione sono sulle loro strade»
(Is 59, 4-7). |
Chiaramente, se c'è mai stato
un «vecchio pregiudizio» emotivo nelle relazioni
Chiesa-Sinagoga, non c'è stato da parte dei cattolici che
hanno sofferto per gli effetti generati dalla cospirazione ebraica.
Al contrario, ciò può essere imputato agli ebrei che hanno
preso l'iniziativa nella lotta religiosa. Per inciso,
poco prima che le teorie nazionalsocialiste venissero alla
luce con le loro assurde pretese etniche e pagane, il
carattere cospirativo del giudaismo contro la Chiesa e il
suo odio anti-cattolico era ancora
generalmente ammesso fra cattolici. Da un certo punto di
vista, le persecuzioni nazi-fasciste contro gli ebrei
sono diventate un ottimo strumento di cui l'ebraismo si
serve per difendersi da
quelle accuse ben meritate.
La bontà continua della Chiesa
verso gli ebrei perseguitati
Nonostante questo cattivo
trattamento, la Chiesa non ha mai cessato di invitare
caritatevolmente gli ebrei a convertirsi e a riceverli a
braccia aperte quando essi se ne mostravano degni. La santa Chiesa
cattolica è andata anche oltre. Essa ha sempre condannato
con forza le persecuzioni che spesso erano una reazione
all'odio perpetuo della Sinagoga contro la Chiesa.
Una
testimonianza ufficiale di questa posizione si trova in un
discorso tenuto nel corso di una riunione del Gran
Sanhedrin a Parigi, il 30 ottobre 1806, ai tempi di
Napoleone. Durante quella sessione, gli ebrei di Francia e
Italia applaudirono il rabbino Isaac Samuel Avigdor
(1773-1849)
nel quale si riconobbero, e invitarono il Gran Sanhedrin
ad ammettere la costante e incessante benignità della Chiesa
cattolica verso gli ebrei. Il rabbino iniziò ricordando che
i moralisti cattolici più celebri avevano proibito le
persecuzioni, professata la tolleranza e predicata la carità
fraterna. Ecco alcuni estratti attinti da testo del
discorso:
«Dice Sant'Atanasio: "É un'esecrabile eresia
tentare di obbligare con la forza o con la prigione
coloro che non possono essere convinti attraverso la
ragione" (Libro I). "Nulla è più opposto alla
religione - afferma San Giustino Martire - della
coercizione nelle questioni di fede" (Libro V).
"Perseguiteremo - si chiede Sant'Agostino - coloro
che Dio tollera"?. "A questo riguardo, dice
Lattanzio: "La religione forzata non è religione. É
necessario persuadere piuttosto che costringere. La
religione non può essere imposta" (Libro V).
"Afferma San Bernardo: "Consiglia, ma non forzare"
[...]. Queste virtù sublimi di umanità e di
giustizia sono state spesso praticate dai cristiani
ben istruiti e, soprattutto, dai ministri degni di
questa moralità pura che placa la passioni e
instilla le virtù. Come conseguenza di questi sacri
principî di moralità, in diverse epoche, i Pontefici
hanno protetto e accolto benevolmente nei loro Stati
gli ebrei perseguitati ed espulsi da molte parti
d'Europa, e molti ecclesiastici di tutti i Paesi li
hanno spesso difesi in ogni parte del mondo. Intorno
alla metà del VII secolo, San Gregorio difese e
protesse gli ebrei in tutto il mondo cristiano. Nel
X secolo, i Vescovi di Spagna si opposero
energicamente a quelle persone che volevano
massacrarli. Papa Alessandro II scrisse una lettera
di congratulazioni a quei Vescovi che si erano
distinti per la condotta prudente praticata a questo
riguardo.
Nel XII secolo, San Bernardo li difese dal
furore dei Crociati. Anche Innocenzo II e Alessandro
III li protessero. Nel XIII secolo, Gregorio IX li
protesse in Inghilterra, in Francia e in Spagna
dalle grandi calamità che li minacciavano; egli
impedì, sotto pena di scomunica, di forzare le loro
coscienze [...]. Clemente VI accordò loro
asilo ad Avignone [...]. A metà dello stesso
secolo, il Vescovo di Spira proibì alle persone che
dovevano del denaro agli ebrei di venir meno ai loro
obblighi mettendo avanti la scusa dell'usura. Nel
secolo successivo, Nicola II scrisse
all'Inquisizione vietando di costringere gli ebrei
ad abbracciare il cristianesimo [...].
Sarebbe facile citare un numero illimitato di altre
azioni caritatevoli compiute verso gli israeliti, in diverse
epoche, praticate da ecclesiastici ben istruiti nei
doveri di uomini e di religiosi [...]. Gli
israeliti [...] non hanno mai avuto i mezzi o
l'occasione per manifestare la loro riconoscenza
per così tanti benefici;
una dolce gratitudine
dovuta a uomini disinteressati ed estremamente
rispettabili. Dopo diciotto secoli, la circostanza
in cui ora ci troviamo è l'unica che abbiamo per
esternare i sentimenti che pervadono i nostri cuori.
Questa grande e fortunata circostanza che dobbiamo
al nostro imperatore augusto e immortale, ci
presenta l'opportunità eccellente e gloriosa per
esprimere [...], specialmente agli
ecclesiastici, la nostra piena gratitudine verso di
loro e verso i loro predecessori.
Permettete,
dunque, gentiluomini, che si possa approfittare di
questa memorabile occasione per pagare il giusto
tributo di riconoscenza che dobbiamo loro; lasciate
che in questa stanza echeggi l'espressione della
nostra gratitudine; ci sia permesso di testimoniare
solennemente la nostra riconoscenza
sincera per i benefici ininterrotti che sono
scesi sulle generazioni che ci hanno preceduto»
110. |
L'assemblea ebraica
applaudì questo discorso, lo votò accettandolo e lo inserì
nei procedimenti del 5 febbraio 1807. Più tardi, essa
approvò il seguente emendamento:
«I rappresentanti del
sinodo israelita dell'impero di Francia e del regno d'Italia
[...] sono colmi di gratitudine per i benefici del
clero cristiano elargiti agli ebrei in vari Stati d'Europa
nei secoli passati; essi ammettono pienamente il benvenuto
che molti Pontefici e molti altri ecclesiastici diedero in
diverse epoche agli israeliti di diversi Paesi [...].
Questa delibera, che è l'espressione di questi sentimenti,
sia registrata nei procedimenti di oggi come una
testimonianza permanente e autentica della gratitudine degli
israeliti di questa assemblea per i benefici ricevuti dalle
generazioni che li hanno preceduti da parte di molti
ecclesiastici in vari Paesi d'Europa»
111. |
Questa manifestazione di
gratitudine da parte del Gran Sanhedrin riunito in
Francia testimonia da sola i benefici elargiti agli ebrei
dalla Chiesa nel corso dei secoli. Insieme al materiale
presentato più sopra a riguardo delle persecuzioni istigate
dagli ebrei contro la religione cattolica, esso mostra
chiaramente che la santa Chiesa non ha mai sofferto di
una deviazione congenita o emotiva che potrebbe supportare
l'asserzione di Giovanni Paolo II secondo cui la Storia
avrebbe registrato «vecchi pregiudizi» contro gli ebrei.
Sopra, a
sinistra: suore cattoliche posano con i bambini ebrei che
hanno salvato durante la Seconda Guerra Mondiale
(foto estratta
da Inside the Vatican, febbraio 2005). A destra,
ebrei che Pio XII ospitò nella sua residenza di Castel
Gandolfo
per salvarli
dalla persecuzione nazista (foto estratta da 30 Giorni, ottobre
2001).
SULL'INQUISIZIONE
Qualcuno potrebbe obiettare che l'Inquisizione
avrebbe perseguitato gli ebrei, e che ipso facto
la Chiesa sarebbe responsabile per tale trattamento.
Rispondo affermando:
1. Il
Tribunale della santa Inquisizione, voluto per
difendere l'integrità della fede cattolica, non riguardava la religione ebraica, così come non
impediva agli ebrei di professare le loro false
credenze, ma venne creato per impedire di
diffondere le loro convinzioni fra i cattolici. Il
Tribunale trattò solamente con coloro che si erano
falsamente convertiti al cattolicesimo ed erano
entrati nell'ovile della Chiesa, o con quelli che,
pur essendosi convertiti sinceramente, erano
ricaduti più tardi nei loro vecchi errori (cfr. J.
de Maistre,
Cartas sobre a Inquisição Espanhola, Leituras Católicas, Niteroi 1949, pag. 27).
Nel XVI secolo, gli ebrei stavano abusando della
libertà concessa dai re della Penisola iberica
proferendo continue bestemmie e attaccando la fede
cattolica. Durante questo periodo, era anche grande
il numero di coloro che si convertivano falsamente
al cattolicesimo. Per queste due ragioni, gli ebrei
divennero un grave pericolo per la fede nei regni di
Portogallo e di Spagna (cfr. E.
Lavisse-A.
Rambaud,
Histoire Générale du IVe siécle à nos jours,
Armand Colin, Parigi 1984, vol. IV, pag. 332).
Inoltre, essi misero in pericolo la stabilità
politica di quegli Stati (cfr. J. B.
Weiss,
História Universal, vol. VIII, pag. 304).
In
legittima difesa della fede e nell'esercizio della
loro posizione di capi temporali, i re cattolici
decretarono che gli ebrei dovevano scegliere tra
lasciare i territori iberici a spese della corona,
rimanere come cattolici o restare ebrei senza
disseminare le loro false accuse. Nel caso secondo,
gli ebrei - e specialmente i convertiti - sarebbe
pertanto stati oggetto della vigilanza
dell'Inquisizione nelle questioni di fede. Queste
erano le misure prese dall'Inquisizione spagnola.
Tuttavia, è necessario sottolineare che tali misure
furono adottate dai poteri temporali di Spagna e
Portogallo, e non dalla Chiesa, e, perciò, non
dovrebbero essere attribuite ad essa.
2. I
tribunali dell'Inquisizione erano tribunali misti,
composti in parte da ecclesiastici e in parte da
rappresentanti del potere temporale. Gli
ecclesiastici giudicavano i crimini contro la fede,
e le loro sentenze erano ristrette alla sfera
spirituale. I rappresentanti del potere temporale, a
turno, eseguivano le sentenze che, in ogni Stato e
in modi diversi e indipendenti, corrispondevano alle
sentenze spirituali. Difensore zelante
dell'autonomia tra i poteri spirituali e quelli
temporali, con i loro ruoli diversi, la Chiesa non
prese parte alle esecuzione delle sentenze civili,
con l'ovvia eccezione di offrire conforto spirituale
ai condannati (cfr. J.
de Maistre,
op. cit., pagg. 17-18; E.
Vacandard,
Dictionnaire de Théologie Catholique, voce «Inquisition»,
vol. VII-II, col. 2065; H.
Hello,
A verdade sobre a Inquisição, Vozes,
Petropolis 1936, pag. 11; W.
Devivier,
Curso de Apologética Christã, Melhoramentos,
San Paolo 1924, pagg. 457-459).
Perciò, la Chiesa non può essere accusata della
responsabilità diretta per la promulgazione e per
l'esecuzione di sentenze civili emanate dai
tribunali dell'Inquisizione in molti Paesi dove
esisteva. Né può essere ritenuta responsabile per le
possibili ingiustizie commesse dal potere temporale
dell'Inquisizione.
3.
L'Inquisizione romana è stata un tipico
esempio della giustizia della santa Chiesa, e per
l'equanimità nei suoi giudizi sulle questioni di
fede. Esso era l'unico tribunale della Chiesa che aveva
funzioni temporali e spirituali. Fin dalla sua
creazione da parte di Papa Paolo III nel 1542, essa
è sempre stata soggetta ai Sommi Pontefici. L'Inquisizione
romana è stata un celebre modello di sistema
giuridico elevato, ed è stata riconosciuta ovunque
per la sua prudenza e per la serenità nella gestione
della giustizia temporale. Essa presentò vari
miglioramenti nei provvedimenti legali che
favorivano l'imputato, diventando l'avanguardia
delle legislazioni più rinomate del tempo, un fatto
ammesso anche dagli odierni commentatori imparziali
(cfr. J.
Tedeschi, «A outra face da Inquisição»,
in Estado de São Paulo, del 16 marzo 1986,
Supplemento Culturale, pagg. 1-4).
La
bontà dell'Inquisizione romana sotto l'egida papale
divenne proverbiale. Ciò è stato indirettamente
riconosciuto - come abbiamo appena visto - da una
testimonianza del Gran Sanhedrin ebraico. Per
questa ragione, si può ripetere, senza esagerare,
con Joseph de Maistre che Roma era il
«paradiso degli ebrei» (cfr. J.
de Maistre,
op. cit., pag. 13). Applicabile è anche il
popolare adagio tedesco circa coloro che vissero
sotto il potere temporale dei Prìncipi della Chiesa:
«Com'è bello vivere all'ombra del pastorale»!
(R. Aubenas,
Hérétiques et sorciers,
in
Fliche-Martin, Histoire de l'église,
vol. XV, pagg. 385-386).
Quindi, nessuna ingiustizia o persecuzione degli
ebrei può essere attribuita alla Chiesa quando essa
ha esercitato i suoi doveri temporali. Perciò,
l'obiezione - la Chiesa ha perseguitato gli
ebrei - è erronea nelle sue fondamenta e nelle sue
conseguenze.
Sopra:
conversos condotti da Padre Tomàs de
Torquemada di fronte ai regnanti di Spagna. |
Pregiudizi teologici?
E dunque, in assenza di
un'adeguata base storica a sostegno dell'espressione «vecchi
pregiudizi» di Giovanni Paolo II, riferita a pregiudizi
razziali o emotivi contro gli ebrei, ci si deve chiedere se
Karol Wojtyla stesse riferendosi a questioni dottrinali.
Intendeva forse riferirsi a «pregiudizi» teologici? Per
accettare tale ipotesi, ci si dovrebbe comunque chiedere: le
serissime questioni teologiche che separano la Chiesa
cattolica dalla Sinagoga sono «pregiudizi»?
Ad esempio,
sarebbe un «pregiudizio» affermare la divinità di Nostro
Signore Gesù Cristo o professare il dogma della SS.ma
Trinità? O
proclamare gli articoli di fede che ne derivano? Si tratta
di interrogativi ai quali Giovanni Paolo II non ha mai
risposto. Invece egli ha lasciato i cattolici che seguivano
le notizie della sua visita alla sinagoga di Roma in uno
stato di perplessità, sconcertati dall'impressione di un
successore di Pietro che sembrava abbandonare i
summenzionati dogmi della nostra fede per favorire la
religione ebraica.
L'ex rabbino
Israel Zolli, convertito al cattolicesimo nel 1945. Egli
cambiò il suo nome in Eugenio in onore di Papa Pio XII,
Eugenio Pacelli
(cfr.
Inside the Vatican, febbraio 1999).
«Una svolta decisiva nelle
relazioni tra la Chiesa cattolica e l'ebraismo»
Per «svolta» si intende un
cambiamento completo di direzione che si effettua mentre si
è su una strada. Perciò, una «svolta decisiva» è un mutamento
radicale. Secondo Giovanni Paolo II, la Dichiarazione
Nostra Ætate ha causato un ribaltamento cruciale nelle
relazioni tra la Chiesa e l'ebraismo. Un ribaltamento cui,
come abbiamo visto, egli ha voluto offrire un «contributo
decisivo». Non avrebbe potuto essere più categorico
nell'esprimere il suo desiderio di abbandonare la precedente
posizione dottrinale della santa Chiesa a riguardo del
giudaismo.
«La Chiesa di Cristo scopre il
suo "legame" con l'ebraismo scrutando
il suo proprio mistero»
Questa asserzione di Giovanni
Paolo II è abbastanza straordinaria. Ho appena elencato i
numerosi Papi, Concilî, Dottori e Santi che hanno combattuto
l'ebraismo come un male dottrinale. Da un punto di vista
storico e dottrinale, si può dire che non c'è mai stata - e
continua ad esserci - un'opposizione continua e così grande
tra due religioni che quella che esiste tra la Chiesa
cattolica e il giudaismo. Quindi, se qualcuno tentasse di
annullare tale antagonismo, dovrebbe addurre argomenti
forti. É il minimo che potremmo aspettarci. Che argomento ha
usato Giovanni Paolo II per annullare questo antagonismo
bimillenario? Nessuno. Neanche uno. Egli ha fatto appello
unicamente ad una vaga nozione di «mistero». I cattolici
dovrebbero mutare il loro atteggiamento verso gli ebrei
perché «la Chiesa di Cristo ha scoperto il suo "legame"
con l'ebraismo scrutando il suo proprio mistero». Di
quale «mistero» si sta parlando? Certamente nessuno può
spiegarlo. Basandosi su questo enigma, senza addurre alcuna
ulteriore chiarificazione, egli è andato avanti raccogliendo
le conseguenze dottrinali più integrali del suo discorso: i
cattolici dovrebbero mettere da parte tutto il loro passato
e aderire alla nuova posizione conciliare filo-ebraica.
In
termini pratici, l'uso del mistero sembra essere un modo di
coprire qualcosa che Giovanni Paolo II non ha voluto
rivelare al pubblico. Cosa sarebbe? Probabilmente, egli ha
voluto dire che la Chiesa conciliare e l'ebraismo devono
essere sempre più legati e vicini l'una all'altro.
«La religione ebraica non ci è
"estrinseca", ma in un certo qual modo,
è "intrinseca" alla nostra religione»
Questa asserzione sembra anche
confermare che l'ebraismo è un modello per la
Chiesa conciliare. La mèta finale del progressismo
sarebbe quella di trasformare la Chiesa in una succursale
dell'ebrasimo.
«Siete i nostri fratelli prediletti e, in un
certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli
maggiori»
Commentando questa
affermazione di Giovanni Paolo II, Padre De Rosa ha scritto
su La Civiltà Cattolica: «Non si potevano
esprimere più fortemente i legami che esistono fra cristiani
ed ebrei. Nella terminologia cristiana, "fratello" implica
una comunione nella fede. Chiamando cristiani ed
ebrei "fratelli", il Papa si riferisce particolarmente a
questo (alla comunione nella fede), anche se gli ebrei non
credono, come fanno i cristiani, in Gesù Cristo o nel
mistero trinitario» 112.
Queste poche righe del commentatore gesuita sembrano
sottolineare una contraddizione in cui sarebbe caduto
Giovanni Paolo II. Il vero significato della parola
«fratello» è, come osserva giustamente Padre De Rosa, quello
di «fratello nella fede». Com'è dunque possibile che una
persona possa essere in comunione di fede con chi nega le
sue fondamenta più profonde, come la SS.ma Trinità e la
divinità di Gesù Cristo? Quindi, oltre ad usare
l'espressione «cari amici e fratelli ebrei» in
apertura della sua Allocuzione alla sinagoga
113, Giovanni Paolo II ha chiamato
i seguaci di Caifa «fratelli prediletti» e
«fratelli maggiori». Con ciò, Karol Wojtyla non ha solo
affermato un'unità con gli ebrei nella stessa professione
religiosa, ma ha parlato come se essi godessero di una «predilezione»
e di diritti di «primogenitura» indipendentemente delle verità della
fede cattolica.
Come sarebbe possibile per gli ebrei godere della stessa «predilezione» dei cattolici se, come
dicono chiaramente le Sacre Scritture, «senza la fede impossibile
piacere a Dio»? (Eb 11, 6).
L'espressione di
Giovanni Paolo II «fratelli maggiori» sembra
immaginare un «diritto di primogenitura» che gli ebrei attuali
avrebbero ancora rispetto ai cattolici. Ora, l'antico
autentico diritto di primogenitura fra gli ebrei, stabilito
prima della venuta di Nostro Signore, presupponeva la fede
nel Messia. Senza di essa non ci sarebbero state né la
promessa, né l'Antica Alleanza. Questo è ciò che afferma San
Paolo quando scrive specificamente agli ebrei:
«La fede è
fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che
non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi
ricevettero buona testimonianza. Per
fede noi sappiamo che i
mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non
visibili ha preso origine quello che si vede. Per fede Abele
offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino
[...]. Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non
vedere la morte [...]. Per fede Noè, avvertito
divinamente di cose che
ancora non si vedevano, costruì con
pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia; e per
questa fede condannò il mondo e divenne erede della
giustizia secondo la fede. Per fede Abramo, chiamato da Dio,
obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità,
e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella
terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto
le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della
medesima promessa [...]. Per fede anche Sara, sebbene fuori
dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché
ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per fede
Abramo, messo alla prova, offrì Isacco [...]. Per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù
anche riguardo a cose future. Per fede Giacobbe,
morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe
[...]. Per fede (Mosé) lasciò l'Egitto [...].
Per fede celebrò la pasqua [...]. Per fede
caddero le mura di Gerico [...].
E che dirò
ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare
di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di
Davide, di Samuele e dei profeti, i quali per fede
conquistarono regni, esercitarono la giustizia,
conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei
leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al
taglio della spada, trovarono forza dalla loro
debolezza, divennero forti in guerra, respinsero
invasioni di stranieri [...]. Eppure, tutti
costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una
buona testimonianza, non conseguirono la promessa:
Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi,
perché essi non ottenessero la perfezione senza di
noi» (Eb
11). |
Inoltre, l'Apostolo chiarisce
che la fede degli antichi Patriarchi era la fede in Gesù Cristo:
«Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la
parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro
tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso
ieri, oggi e sempre»! (Eb 13, 7-8). Dunque, la
fede era la ragione della promessa; e la promessa fu fatta
in previsione di Cristo. La promessa fu adempiuta con la
venuta di Nostro Signore, e l'Antica Alleanza
perciò è finita.
Nostro Signore ha stabilito una
Nuova Alleanza che ha sostituito l'Antica:
«Dicendo però alleanza nuova, Dio ha dichiarato
antiquata la prima; ora, ciò che diventa
antico e invecchia, è prossimo a sparire» (Eb
8, 13). Quindi, sia come sostanza della continuità
dell'Antica Alleanza, che come fondamenta della Nuova, la
fede in Nostro Signore Gesù Cristo è la base di ogni
predilezione e l'unico motivo per avere diritto alla
primogenitura. Ne consegue che parlare ai nostri giorni
di «predilezione» degli ebrei e attribuire ad essi un
diritto religioso di primogenitura davanti ai cattolici,
accantonando completamente le questioni di fede, è
inaccettabile.
Tutto ciò sembra o un chiaro rifiuto dei
dogmi cattolici e della loro base attestata dalla Sacra
Scrittura, o un'insensata dichiarazione di supremazia della
razza ebraica sulle altre. Questa analisi delle parole di
Giovanni Paolo II pone alla coscienza del fedele cattolico
una domanda terrificante: Giovanni Paolo II avrebbe potuto
fare tali asserzioni senza abbandonare la fede cattolica?
Diverse sétte
protestanti americane sono divenute ardenti sostenitrici
dell'ebraismo.
Sopra, una
manifestazione di evangelici a Gerusalemme «in favore» del
messia ebraico...
La Chiesa
conciliare sta compiendo lo stesso percorso?
(foto estratta
da Le Monde des Religions, novembre-dicembre 2003).
«Quanto è stato commesso durante
la sua passione (di Cristo), non può essere
imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi,
né agli ebrei del nostro tempo»
114; «È
quindi inconsistente ogni pretesa giustificazione teologica
di misure discriminatorie o, peggio ancora,
persecutorie» 115.
La prima cosa deplorevole che
richiama l'attenzione in questo ragionamento è l'inversione
delle regole più elementari della logica. Giovanni Paolo II
ha preso come premessa la conclusione, e ha designato come
conclusione l'abolizione della premessa. Effettivamente, è
elementare nel pensiero teologico che le premesse
obbligatorie siano i dati della Rivelazione provenienti
dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione. Se Giovanni Paolo II intendeva esentare gli ebrei dal crimine di deicidio,
avrebbe dovuto basarsi sui passi della Sacra Scrittura che
permetterebbero di esercitare tale difesa. O, in assenza di tali
passi, avrebbe dovuto basarsi su elementi presenti
nella Tradizione. Nel sostenere questa «assoluzione» senza
precedenti degli ebrei, Karol Wojtyla non è riuscito a
presentare un solo elemento proveniente dalle fonti della
Rivelazione. Per formulare un giudizio dogmatico
estremamente serio come questo, egli ha invocato solamente
due punti che non costituiscono di per sé una solida base
per un'argomentazione: la nozione di «mistero» e la
Dichiarazione conciliare Nostra Ætate (§ 4). La
nozione di mistero è poco chiara, come indica la parola
stessa, e non permette una conclusione di questa gravità.
Anche il testo di Nostra Ætate è inadeguato, poiché
anch'esso non poggia né sulla Sacra Scrittura né sulla
Tradizione per giustificare l'«assoluzione» degli ebrei.
Quindi, per tutti gli scopi pratici, citare la Dichiarazione
conciliare ha il valore di una petizione di principio
116 che equivale a dire che essa è
priva di valore. Dunque, Giovanni Paolo II ha scelto come
premessa ciò che avrebbe dovuto essere la conclusione
del suo argomento. Partendo da questa premessa difettosa,
egli ha designato, come conclusione, l'affermazione
sconcertante secondo cui «è inconsistente ogni pretesa
giustificazione teologica di misure discriminatorie o,
peggio ancora, persecutorie». Cosa intendeva dire
veramente Giovanni Paolo II con questa conclusione? Quale
sarebbe la giustificazione «inconsistente» di cui ha
parlato?
Stava per caso riferendosi ai passi della Sacra
Scrittura che parlano chiaramente del crimine di deicidio
come commesso da tutto il popolo, giustificando in tal modo
coloro che ritengono gli ebrei colpevoli? In questo caso,
stiamo assistendo alla revoca della Sacra Scrittura? Può un
Pontefice legittimo contraddire la Rivelazione? Inoltre, perché
mai bisognerebbe considerare tutto ciò che Papi, Concilî,
Padri, Dottori e Santi hanno insegnato per tanti secoli
sulla colpa dell'intero popolo ebraico per
il crimine di deicidio come un'«inconsistente
giustificazione
teologica»? Tale asserzione sarebbe una revoca
dell'insegnamento secolare della Chiesa? Di nuovo
mi chiedo: può un vero Papa fare queste cose?
Visto il
bizzarro metodo «probativo» usato da Giovanni Paolo II,
un'analisi seria delle sue asserzioni condurrebbe a
concludere che il suo atto è stato solo un abuso
di autorità privo di fondamenta teologiche. Esso dovrebbe
essere accettato semplicemente come un atto dispotico di chi giustifica la sua posizione dicendo:
«Dovete
accettarlo perché io sono il più forte, "quia nominor leo"»...
117.
Se questa ipotesi fosse esatta, tale atto sarebbe
da considerarsi un'imposizione tirannica del dialogo interreligioso
con gli ebrei animata da un parossismo che annulla le vera
fondamenta della fede cattolica. Per quanto possa sembrare
strano, questo dialogo interreligioso è stato presentato come
un'espressione della sovrabbondante misericordia della
Chiesa. Questa curiosa misericordia verso gli ebrei avrebbe
condotto la Chiesa conciliare ad anatemizzare l'intero
passato della Chiesa cattolica. Quindi, il cammino del dialogo
va dal dialogo all'anatema... 118.
Che
curioso paradosso!
Il 1º dicembre
2003, il rabbino Marvin Hier ha donato a Giovanni Paolo II
una menoràh per
ringraziarlo del suo appoggio alla religione ebraica (cfr.
America, del 15 dicembre 2003).
«Gli ebrei [...]
non devono essere presentati come rigettati da Dio,
né come maledetti»
Qui, la natura imperativa
degli scopi perseguiti da Giovanni Paolo II appare in
maniera inequivocabile. Non licet... non è lecito...
Questa proibizione ingiustificata è la conseguenza
dell'anatema illogico e dispotico che abbiamo appena visto.
Sarebbe stato molto utile che Karol Wojtyla avesse spiegato
ai cattolici come la sua asserzione possa armonizzarsi con
queste parole di San Paolo a riguardo degli ebrei: «Mentre Israele,
che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è
giunto alla pratica della legge. E perché mai? Perché non la
ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere.
Hanno urtato così contro la pietra d'inciampo, come sta
scritto: "Ecco che io pongo in Sion una pietra di scandalo"»
(Rm 9, 31-33). In contraddizione con l'anatema di
Giovanni Paolo II, San Paolo spiega perché Israele è stato
rigettato:
«Israele non ha ottenuto quello che cercava;
lo hanno ottenuto invece gli eletti; gli altri sono stati
induriti, come sta scritto: "Dio ha dato loro uno spirito di
torpore, occhi per non vedere e orecchi per non sentire",
fino al giorno d'oggi. E Davide dice: "Diventi la loro mensa
un laccio, un tranello e un inciampo e serva loro di giusto
castigo! Siano oscurati i loro occhi sì da non vedere, e fa'
loro curvare la schiena per sempre"»! (Rm
11, 7-10). |
San
Paolo è altrettanto chiaro quando parla di quegli ebrei che
hanno lasciato la Chiesa dopo essersi convertiti:
«Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la
conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per
i peccati, ma soltanto una terribile attesa del giudizio e
la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli. Quando
qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte
senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto
maggior castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi
avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel
sangue dell'alleanza dal quale è stato un giorno santificato
e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? Conosciamo
infatti colui che ha detto: "A me la vendetta! Io darò la
retribuzione"! E ancora: "Il Signore giudicherà il suo
popolo". È terribile cadere nelle mani del Dio vivente»!
(Eb 10, 26-31). |
Il seguente estratto seguente dalla
Lettera agli Ebrei si oppone anche il desiderio di
esentare gli israeliti dalla maledizione di Dio:
«Quelli
infatti che sono stati una volta illuminati, che hanno
gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello
Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le
meraviglie del mondo futuro. Tuttavia se sono caduti, è
impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla
conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di
nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia. Infatti
una terra imbevuta della pioggia che spesso cade su di essa,
se produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve
benedizione da Dio; ma se produce pruni e spine, non ha
alcun valore ed è vicina alla maledizione: sarà
infine arsa dal fuoco»! (Eb 6, 4-8). |
Sopra: Padre
Bruno Hussar (1911-1996), un domenicano di origini ebraiche
che nel 1972 fondò Nevè Shalom,
(«oasi di
pace»), una sorta di chiesa cattolico-ebraica che pretende di
unificare le due religioni.
Egli cercò di
mettere in pratica ciò che Nostra Ætate afferma a
riguardo agli ebrei.
L'anatema di Giovanni Paolo II si scontra chiaramente contro
questi e contro molti altri passi della Sacra Scrittura.
Karol Wojtyla chiuse il nocciolo della sua Allocuzione, che
enfatizza i punti ho appena analizzato, annunciando che il
suo anatema contro l'insegnamento precedente della Chiesa ha
un carattere perenne: «Nell'occasione di questa visita
alla vostra Sinagoga, io desidero riaffermarle e
proclamarle nel loro valore perenne. È infatti questo il
significato che si deve attribuire alla mia visita in mezzo
a voi, ebrei di Roma» 119.
Gli ebrei riaffermano le loro false
convinzioni
Tuttavia, per quanto queste
parole di Giovanni Paolo II possono lasciare sconcertata la
mente di un cattolico, esse esprimono solamente parte della
realtà: il desiderio di Giovanni Paolo II di abbandonare la
bimillenaria della Chiesa cattolica a riguardo degli errori
della religione ebraica. Un'altra sfaccettatura della realtà
è stata la cerimonia - gli inni e i salmi - con cui i
rabbini hanno ricevuto Karol Wojtyla, così come i discorsi
dei rappresentanti ebrei. Ora, mi si permetta di analizzare
questi atti simbolici.
L'alleanza di
Dio con Abramo fu basata su un atto di fede.
Quindi, l'alleanza poggia completamente sulla fedeltà a
quella stessa fede.
E dunque, la
discendenza di Abramo è spirituale e non razziale.
Passi della Sacra Scrittura,
inni e salmi cantati dagli ebrei in presenza di Giovanni
Paolo II 120
Poiché questa era la prima
volta nella Storia che un successore di San Pietro visitava una sinagoga,
le cerimonie fatte da ambo le parti sono state particolarmente
simboliche. Ciò è particolarmente interessante se teniamo
presente che il popolo ebraico, per carattere, è incline ad
esprimere i suoi pensieri e i suoi sentimenti molto più
attraverso metafore e simboli che mediante esposizioni
discorsive e sistematiche.
Per di più, poiché il più grande
scontro tra le convinzioni religiose che il mondo abbia mai
visto è la lotta tra la fede di Nostro Signore Gesù Cristo e
la falsa religione ebraica, sembra indispensabile analizzare
le cerimonie che hanno avuto luogo durante la visita di
Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma per comprendere
quali siano le vere intenzioni ebraiche nei confronti della
santa Madre Chiesa 121.
Dopo
che il Karol Wojtyla è stato fatto sedere nel luogo più
elevato della sinagoga, sullo stesso piano del rabbino-capo
Elio Toaff, un altro rabbino ha iniziato a recitare a
memoria un passo tratto dal Libro della Genesi (Gn
15, 1-7) che allude alla promessa fatta da Dio ad Abramo:
«Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu
rivolta ad Abramo in visione: "Non temere, Abramo.
Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto
grande". Rispose Abramo: "Mio Signore Dio, che mi
darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia
casa è Eliezer di Damasco". Soggiunse Abramo: "Ecco
a me non hai dato discendenza e un mio domestico
sarà mio erede". Ed ecco gli fu rivolta questa
parola dal Signore: "Non costui sarà il tuo erede,
ma uno nato da te sarà il tuo erede". Poi lo
condusse fuori e gli disse: "Guarda in cielo e conta
le stelle, se riesci a contarle", e soggiunse: "Tale
sarà la tua discendenza". Egli credette al Signore,
che glielo accreditò come giustizia. E gli disse:
"Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei
caldei per darti in possesso questo paese"»
122. |
Questo estratto
manifesta chiaramente che gli ebrei attuali si considerano
eredi alla promessa fatta ad Abramo. Tuttavia, come San
Paolo insegna in tanti passi ispirati dallo Spirito Santo
123, la promessa fatta al Patriarca
fu adempiuta in Nostro Signore Gesù Cristo. Il suo
discendente spirituale è Cristo e la santa Chiesa, e l'eredità
dell'eletto poggia sulla grazia. Ciononostante, leggendo il
testo estratto dalla Genesi, gli ebrei sembrano
insistere sul fatto che la promessa sia carnale e non
spirituale, e non sia basata sulla grazia soprannaturale.
Subito dopo, il rabbino Rocca ha iniziato a leggere il testo
di Michea (Mic 4, 1-5) che finisce con un passo che
gli ebrei applicano a sé stessi: «Tutti gli altri popoli
camminino pure ognuno nel nome del suo dio, noi cammineremo
nel nome del Signore Dio nostro, in eterno, sempre».
Recitare a memoria questo estratto alla presenza di Giovanni
Paolo II, il capo visibile della Chiesa cattolica, è
insinuare fortemente che i cattolici - un «popolo» diverso
dagli ebrei – non adorano, come invece fanno gli ebrei, il
vero Dio. Ancora una volta, l'intenzione sembra essere
quella di insultare Gesù Cristo e il dogma della SS.ma
Trinità – le cui Persone per gli ebrei sono falsi dèi, e
riaffermare i loro antichi errori. Cos'ha fatto Giovanni
Paolo II dopo questo insulto e i discorsi che saranno
analizzati a seguire? Egli ha recitato a memoria il Salmo 133
(132 nella Vulgata) esaltando la gioia dei fratelli
che vivono insieme in unità.
Rispondendo a questa gioia
ingiustificata di Giovanni Paolo II, il rabbino-capo ha
letto il Salmo 124 (123 nella Vulgata), il quale
rivela il risentimento ebraico: i cattolici sono visti
implicitamente come nemici di Dio, bestiali persecutori
degli israeliti che sono il vero fedele protetto da Dio.
Ecco il testo letto:
«Se
il Signore non fosse stato con noi, - lo dica
Israele - se il Signore non fosse stato con noi,
quando uomini ci assalirono, ci avrebbero
inghiottiti vivi, nel furore della loro ira. Le
acque ci avrebbero travolti; un torrente ci avrebbe
sommersi, ci avrebbero travolti acque impetuose. Sia
benedetto il Signore, che non ci ha lasciati in
preda ai loro denti. Noi siamo stati liberati come
un uccello dal laccio dei cacciatori: il laccio si è
spezzato e noi siamo scampati. Il nostro aiuto è nel
nome del Signore che ha fatto cielo e terra». |
Paolo VI
indossa il simbolo del sommo sacerdote israelita, il
razionale del giudizio,
il piccolo
ciondolo quadrato appeso alla sua stola. Esso contiene
dodici pietre preziose
che
rappresentano le dodici tribù d'Israele (foto estratta da
30 Giorni, maggio 1994).
Tali allusioni degli ebrei
alle presunte persecuzioni cattoliche, oltre ad insultare
sono infondate, come è stato dimostrato più sopra. Dopo aver
terminato con questa violenta allusione metaforica con il
Salmo 124, che biasima implicitamente i cattolici per le
persecuzioni sofferte, tutti gli ebrei presenti - circa
1.500 persone - si sono alzate in piedi per cantare l'inno
Ani Ma'amin («Io credo») 124,
il loro equivalente di una professione di fede. Con questo
inno, l'offesa all'onore della santa Chiesa è giunto al suo
apice. La vera fede in Gesù Cristo è stata implicitamente
negata da un successore di San Pietro, presente nella
sinagoga per assistere ad una professione della falsa fede
di coloro che sono eredi del deicidio e che macchinano
implacabilmente per distruggere la santa Madre Chiesa. Dopo
avere salmodiato l'Ani Ma'amin - che si dice che gli
ebrei abbiano cantato mentre venivano condotti nei campi di
sterminio nazisti 125 - i
presenti hanno osservato un minuto di silenzio per le
vittime di Auschwitz. Il tempismo di questo atto getta un'ombra sfavorevole sulle presunte persecuzioni attuate
dai cattolici. Effettivamente, sembrerebbe che gli
organizzatori della cerimonia abbiano tentato di accusare la
santa Chiesa Santa per i massacri nazisti, o almeno che
abbiano voluto assimilare le persecuzioni del neo-pagano
nazionalsocialismo ai presunti massacri perpetrati dai
cattolici. Dietro questa cerimonia si nota ancora una volta
il desiderio di offendere la Chiesa. Poi è seguito il canto
del Salmo 16 (15 nella Vulgata), che dice:
«Moltiplicano le loro pene quelli che corrono dietro a un
dio straniero. Io non spanderò le loro libagioni di sangue,
né pronuncerò con le mie labbra i loro nomi» (Sl
16, 4). Giacché gli ebrei negano la divinità di Nostro
Signore Gesù Cristo e la SS.ma Trinità, tali affermazioni
dei rabbini ebrei erano certamente indirizzate ai cattolici,
«quelli che corrono dietro a un dio straniero».
Dopo questo affronto, tutti hanno ripetuto «né
pronuncerò con le mie labbra i loro nomi».
Quindi, il
riconoscimento di Nostro Signore Gesù Cristo e della SS.ma
Trinità, così come la possibilità di convertirsi, sono cose
impossibili. Tra l'altro, gli ebrei hanno evitato con cura
la più piccola menzione del nome di Nostro Signore per tutta
la cerimonia. Essi hanno continuato con il salmo alludendo
all'idea erronea secondo cui l'eredità degli ebrei attuali sarebbe la vera eredità di Dio: «Il Signore è mia parte
di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita» (Sl
15, 5). Il salmo termina con un testo che applicato agli
errori della Sinagoga starebbe a significare che gli ebrei
seguono le vere vie di Dio che conducono alla felicità
eterna. Ciò equivale indirettamente ad intonare un canto di
vittoria sulla Chiesa, l'unica via per raggiungere la vita
eterna: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia
piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua
destra» (Sl 15, 11). Così, in questo ultimo salmo
cantato durante la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga
di Roma, è possibile vedere la chiara intenzione di
offendere i cattolici, «quelli che corrono dietro a un dio straniero», e la riaffermazione degli
antichi errori ebraici. Dopo aver cantato il Salmo 16 (15
nella Vulgata), Giovanni Paolo II e il rabbino-capo
si sono nuovamente abbracciati e se ne sono andati per
continuare il loro incontro in privato. I giornali e le
riviste che hanno parlato
dell'evento non hanno riportato ciò che è successo in occasione
di questa visita. Durante la cerimonia, Giovanni Paolo II ha ricevuto una copia della
Toràh, il libro sacro degli ebrei, e una Menoràh,
il candelabro a sette braccia.
Secondo il libretto distribuito nella sinagoga, la cerimonia è
finita con il canto del testo di una breve professione di
«fede» ebraica. Penso che si tratti una
formula semplificata di una professione di «fede» più lunga,
il summenzionato Ani Ma'amin che era già stato cantato. Ecco
le parole di questo cantico, riportate nel libretto ebraico,
salmodiate dal coro israelitico mentre Giovanni Paolo II stava
lasciando la sinagoga: «Credo con fede perfetta nella
venuta del Messia! E anche se ci dovesse mettere
molto tempo, lo aspetterò ogni giorno finché verrà»!
L'insulto a Nostro Signore Gesù Cristo è sfacciato. Cantando
questo inno alla fine della cerimonia, gli ebrei hanno negato
categoricamente che Gesù Cristo è Dio e il Messia atteso, e
hanno riaffermato gli antichi errori della loro religione. Se
essi hanno il coraggio di offendere apertamente il Verbo incarnato,
figuriamoci che idea possano avere del Papa, il Vicario di Cristo.
Dopo avere lasciato la sinagoga, Giovanni Paolo II ha abbracciato il
rabbino-capo per la terza volta.
In breve, le conseguenze di questi salmi e inni cantati o
recitati nella
sinagoga alla presenza dI Giovanni Paolo II sono state:
-
La riaffermazione implicita,
da parte degli ebrei, dei loro errori
dottrinali, vale a dire la negazione della divinità di Gesù
Cristo e della SS.ma Trinità;
-
La riaffermazione simbolica che
essi sono gli unici veri seguaci di Dio;
-
L'affermazione effettiva di numerosi
- anche se sottilmente velati -
insulti furbescamente dissimulati contro la santa Chiesa e
contro i cattolici: quei cattolici che seguono falsi dèi,
che hanno incoraggiato un
furore torrenziale contro gli ebrei, bestie i cui denti
frantumano gli ebrei come la loro preda, complici delle
persecuzioni naziste, e così via...
|
Sopra, a
sinistra: il 30 dicembre 1993, rappresentanti del
Vaticano e di Israele brindano dopo che sono stati
stabiliti rapporti diplomatici ufficiali tra i due
Stati. In termini pratici, ciò significa che la
Santa Sede ha riconosciuto Israele come uno Stato
legittimo. Al centro: commemorando a San Paolo (Brasile)
l'avvenimento, il rabbino Henry Sobel bacia il Cardinale
Paulo Evaristo Arns. A destra: il primo ambasciatore del
Vaticano in Israele, Mons. Andrea
Cordero Lanza di Montezemolo, presenta le sue
credenziali diplomatiche al presidente israeliano Ezer
Weizman. |
E infine, come fattore aggravante dovrebbe essere
notato che seguendo le consuete procedure vaticane, questa
cerimonia è stata preparata e convenuta in anticipo da organi competenti della
Santa Sede. Ciò significa che il Vaticano,
e probabilmente anche Giovanni Paolo II, sapevano in anticipo
delle offese a Cristo e alla Chiesa, e le hanno approvate.
Il 16
gennaio 2004, Giovanni Paolo II ha ricevuto un premio dal
Gran Rabbino askenazita Yona Metzger (a sinistra) e
dal rabbino
sefardita Shlomo Amar (a destra), per il suo continuo
appoggio alla religione ebraica
nella sua
biblioteca in Vaticano (foto estratta dal National
Catholic Reporter, del 30 gennaio 2005).
I
discorsi dei rabbini
Salutando in apertura Giovanni
Paolo II, il rappresentante della comunità israelitica di
Roma, il rabbino Giacomo Saban, ha usato un tono arrogante
con velato disprezzo. Si deve sottolineare che:
-
Durante il saluto, il
rabbino ha definito spregiativamente l'era cristiana «era
volgare»: «Subito dopo la fine del primo
millennio dell'era volgare [...] un figlio di
questa comunità romana [...] scrisse l'Arukh, la
prima raccolta di norme degli ebrei della Diaspora»
126.
-
Egli ha dichiarato che il
Vaticano II designa la Chiesa cattolica «più vicina
alla fede di Israele» anche se si è rifiutato di
chiamare la fede cattolica con il suo nome, riferendosi invece ad
essa come alla «fede del mondo»: «Nostra Ætate, uno
dei documenti del Concilio, quello
che ci riguarda più da vicino, presenta una
relazione diversa tra la fede d'Israele e quella del
mondo che ci circonda, non solo ripristinando ciò che ci
è negato attraverso i secoli, ma
anche la dignità alla quale abbiamo
sempre avuto diritto» 127.
-
Egli ha posto il riconoscimento dello Stato d'Israele
da parte della Santa Sede come una condizione per poter
iniziare il «dialogo fraterno» proposto da Nostra
Ætate: «Credo di dover qui manifestare la speranza che
l'esitazione a riguardo dello Stato d'Israele sia
lasciata cadere. La terra d'Israele, emotivamente e
spiritualmente, occupa un posto centrale nel cuore di ogni
ebreo, e un cambiamento di atteggiamento in questa questione
non solo farebbe piacere a coloro che sono qui presenti,
ma a tutto il
mondo ebraico [...]. Questo sarebbe, dunque, un ulteriore passo nel
"dialogo fraterno" di cui parla Nostra Ætate [...].
Non esito a credere
che questo sarà fatto» 128.
Com'è noto, per gli ebrei lo
Stato d'Israele rappresenta un'aspirazione messianica
collegata alla dominazione da lungo attesa d'Israele sul
mondo intero 129. Dunque, la
richiesta dei rabbini per cui la Santa Sede dovrebbe
riconoscere lo Stato d'Israele dev'essere vista alla luce
della loro convinzione religiosa di egemonia sul mondo. In
un discorso fatto dal rabbino-capo Elio Toaff poco dopo lo
storico incontro, egli ha riaffermato la falsa fede ebraica
e ha insultato la santa Chiesa e la fede cattolica con
queste parole:
-
Egli ha definito la
politica bimillenaria della Chiesa a riguardo degli
errori ebraici un «inammissibile insegnamento del
disprezzo»: «Ci troviamo quindi di fronte ad un vero
e autentico cambiamento della politica della Chiesa, che
ora guarda gli ebrei con sentimenti di stima e di
rispetto, abbandonando l'insegnamento del
disprezzo, sulla cui inammissibilità Jules Isaac
[...] aveva richiamato l'attenzione di
Papa Giovanni» 130.
-
Elio Toaff ha affermato
l'incrollabile «fedeltà» degli ebrei alla loro fede
erronea in tutta la Storia, il che farebbe di questo
popolo l'unico sopravvissuto del mondo antico. Occorre
notare che questa auto-encomio dell'ebraismo come
religione, espresso immediatamente dopo la critica
offensiva della condotta della santa Chiesa verso gli
ebrei (appena citata), implica chiaramente che i
«martiri» ebrei sono state le vittime dell'«insegnamento
del disprezzo» impartito dalla Chiesa: «Nel momento
storico in cui stiamo vivendo, i miei pensieri si
rivolgono con ammirazione, riconoscimento e dolore al
numero infinito di martiri ebrei che serenamente
affrontarono la morte per la santificazione del Nome di
Dio. Il loro il merito è dovuto al fatto che la nostra
fede non ha mai vacillato, e che la fedeltà a Dio e alla
Sua Legge non è mai venuta meno nei secoli. A causa di
questo merito, gli ebrei vivono ancora, unico fra tutti
i popoli dell'antichità» 131.
-
Egli ha proposto di
diffondere gli errori ebraici come un modo per
realizzare le aspirazioni pacifiste e interconfessionali
di Giovanni Paolo II: «Noi proponiamo di
disseminare l'idea israelita di un monoteismo
morale e spirituale per unire gli uomini e l'Universo
nell'amore» 132.
-
Egli ha fatto anche una
velata menzione della dottrina ebraica e gnostica
dell'Eterno Femminino: «Allo stesso tempo,
noi riaffermiamo la paternità universale di Dio su tutti
gli uomini, deducendo la nostra inspirazione dai profeti
che insegnarono che questo amore filiale unisce tutti
gli esseri viventi nel petto materno dell'infinito
come nella sua naturale matrice»
133.
-
Ancora una volta egli ha
insistito sul fatto che lo Stato d'Israele dev'essere
riconosciuto, proclamando così il ruolo religioso,
messianico ed egemonico che gli ebrei gli attribuiscono:
«Il ritorno degli israeliti alla loro terra dev'essere
riconosciuto dal mondo intero come un'ottima e
irrevocabile vittoria, come un preludio [...]
a quell'epoca di fratellanza universale
cui tutti noi aspiriamo, e a quella pace redentrice la
cui ferma promessa si trova nella Bibbia. Il
riconoscimento di questa funzione unica d'Israele
nel piano della redenzione finale promessa da Dio
non può essere negata» 134.
Quindi, i discorsi dei rabbini
alla presenza di Giovanni Paolo II costituiscono una
riaffermazione categorica dei loro vecchi errori, delle
aspirazioni e degli insulti alla Chiesa.
Il 12 marzo
2000, Il Cardinale Ratzinger ha acceso le candele di un
candelabro a sette braccia
per chiedere
perdono a Dio per i «peccati» commessi dai figli della
Chiesa, inclusa la lotta cattolica contro
gli errori
religiosi ebraici (foto estratta da Inside the Vatican,
gennaio 2001).
Conclusione di questa analisi
La conclusione all'analisi di
questa visita è, a mio modo di vedere, chiara e dolorosa.
Giovanni Paolo II si è recato alla sinagoga di Roma per
questi scopi:
-
Per tentare di annullare
le fondamenta presenti nella Rivelazione per il crimine
di deicidio;
-
Per condannare la saggia
condotta bimillenaria di santa Madre Chiesa in relazione
agli ebrei;
-
Per lodare la loro fede
erronea e anatemizzare chiunque osi criticare o
biasimare i seguaci di Caifa da un punto di vista
religioso.
Per contro, i rabbini,
esplicitamente nei loro discorsi e simbolicamente nella loro
recita di salmi e passi estratti dalla Bibbia, hanno
inflitto un'arrogante sanzione:
-
Essi hanno insistentemente
riaffermato la loro fede erronea;
-
Hanno condannato
l'atteggiamento storico della Chiesa;
-
Hanno insultato l'onore
della Chiesa e dei cattolici;
-
Hanno proclamato la
necessità di un'egemonia ebraica sul mondo intero;
-
Hanno chiesto che la Santa
Sede riconosca il loro Stato, al quale essi
attribuiscono un destino messianico.
Questo è ciò che è stato
portato a termine durante la visita di Giovanni Paolo II
alla sinagoga di Roma. «Qui habet aurem, audiat»
(«Chi ha orecchi, ascolti »; Ap 2, 7).
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Nel video
del 2014 Jesus Christ Visits Sarah Silverman
(«Gesù Cristo va a trovare Sarah Silverman»), la comica
ebrea, già resasi famosa per il suo spettacolo blasfemo
Jesus Is Magic («Gesù è magico»; 2005), gioca con
la barba di Gesù Cristo e mangia con Lui il popcorn
mentre guardano insieme la TV. Queste scene irriverenti sono
seguite da un monologo in cui la Silverman rivendica
l'estensione al diritto di abortire e alla
contraccezione. |
NOTE
97 Cfr.
Epifanio, Hær.,
51.
98 Ibid., 55, 57, 62.
99 Ibid., 65-69.
100 Cfr.
Atanasio, Ep.
ad Solit. Theodor., 1. lib. II, Haer. Fabul. in Paul Sam.
101 Cfr. J. B.
Bossuet,
Oeuvres Complètes, Explication de l'Apocalypse,
Berche & Tralin, Parigi 1885, vol. I, pagg. 298-300.
102 Bernard Lazare (1865-1903),
scrittore e giornalista, nacque a Nimes e morì a Parigi. In
collaborazione con il cugino, egli pubblicò il poema La
fiancée de Corinthe, e più tardi, con altri autori, scrisse
Entrétiens politiques et littéraires. Di forti tendenze
anarchiche e favorevole alla lotta di classe, egli scrisse per
il Mercure de France, per il Journal, per il
Figaro e per altre pubblicazioni. Nel 1894, Lazare pubblicò
L'Antisémitisme, son histoire et ses causes
(«L'antisemitismo, la sua storia e le sue cause»); in esso egli
descrive il ruolo ebraico nel favorire l'antisemitismo. Con lo
scoppio dell'affare «Dreyfus», nel 1894, egli scrisse in favore
del famoso capitano (Enciclopedia Universal Ilustrada,
Espasa-Calpe). Egli divenne uno dei personaggi principali di
questa vicenda che causò tanto scoraggiamento nell'Esercito e
nei circoli monarchici francesi. Come segno di gratitudine, il
governo repubblicano eresse una statua in suo onore (cfr.
Mons. H. Delassus,
La conjuration antichrétienne, vol. II, pag. 684).
103 Cfr. B.
Lazare, op.
cit.; in Mons. H.
Delassus, op. cit., vol. II, pagg. 684-685.
104 Cfr.
Mons. H. Delassus,
op. cit., vol. II, pag. 685.
105 Ibid., pag. 686.
106 Ibid.
107 Ibid.
108 Ibid., pagg. 686-687.
109 Cfr. B.
Lazare,
Antisemitism, its History and Causes, The International
Library Publishing Co., New York 1903, pag. 112.
110 Cfr. Procès-verbal des séances
de l'assemblée des députés francais professant la religion juive,
pag. 169; cit. in Mons.
H. Delassus, op. cit., vol. III, pagg. 1164-1167.
111 Cfr.
Mons. H. Delassus,
op. cit., vol. III, pagg. 1167-1168.
112 Cfr. P. G.
De Rosa s.j., «Ebrei e cristiani "fratelli" nel
"fratello" Gesù», in La Civiltà Cattolica, del 3
maggio 1986, pag. 262.
113 Cfr. L'Osservatore Romano,
del 14-15 aprile 1986, pag. 4.
114 Dichiarazione Nostra Ætate,
del 28 ottobre 1965, § 4.
115 Cfr.
Giovanni Paolo II,
«Allocuzione alla sinagoga di Roma», in L'Osservatore
Romano, del 14-15 aprile 1986, pag. 4.
116 Petizione di principio, o argomento
tautologico, è una proposizione che pretende di essere una
spiegazione o prova di qualcosa, che in realtà ripete solamente
in termini identici o equivalenti ciò che si vuole provare. La
Dichiarazione conciliare Nostra Ætate ha assolto gli
ebrei dal crimine di deicidio unicamente perché si voleva
assolverli da tale crimine.
117 «Perché io sono il leone» è
un riferimento ad una favola di Esopo nella quale il leone
obbliga gli altri animali a rispettarlo per la sola ragione che
è il più forte. In altre parole, «questo è così perché io lo
voglio e ho il potere per imporre la mia volontà».
118 Il libro di Roger Garaudy
(1913-2012) De l'anathème au dialogue (1965) è
considerato una pietra miliare nel dialogo tra il Vaticano e il
comunismo. In questa opera Garaudy, uno scrittore marxista
francese, lodò la politica del Vaticano che ha rimosso le
condanne per aprirsi al mondo moderno (così come ai comunisti).
Qui invece possiamo vedere l'altro lato della moneta della
politica conciliare che mostra il suo volto severo.
119 Cfr.
Giovanni Paolo II,
«Allocuzione alla sinagoga di Roma», in L'Osservatore
Romano, del 14-15 aprile 1986, pag. 4.
120 Analizzerò in questa sede solamente
cinque dei sette rituali ebraci compiuti durante la visita di
Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma. Sono esclusi il Salmo
118 (117 nel Vulgata) e 150 (150 nel Vulgata), i
cui testi sono anodini. Poiché non sono riuscito a trovare un
chiaro resoconto dei salmi che sono stati cantati nelle fonti
cattoliche che ho letto - L'Osservatore Romano (14-15
aprile , 1986, pag. 5), La Civiltà Cattolica (nº 3261,
pag. 273), e la Documentation Catholique (nº 1917, pag.
433) - mi sono messo in contatto con la Sinagoga di Roma che mi
ha inviato una copia del libretto bi-lingue usato dagli ebrei
durante la cerimonia. Quindi, le citazioni provengono da questo
libretto.
121 Criterio d'analisi: non intendo qui
prendere in maniera univoca il significato simbolico delle
cerimonie officiate dagli ebrei in occasione della visita di
Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma come una manifestazione
dottrinale. Come in ogni cerimonia, il canto liturgico ebraico e
i salmi riflettono primariamente lo stato mentale di coloro che
hanno preparato ed eseguito il programma. Per scoprire un po' il
loro stato d'animo nei confronti dei cattolici rappresentati da
Giovanni Paolo II un pizzico di buon senso dovrebbe bastare. Con
ciò, è possibile misurare gli affronti successivi che gli ebrei
hanno fatto ai cattolici, così come la riaffermazione dei loro
errori. Perciò, l'analisi che qui facciamo del significato
dottrinale celato dietro il simbolismo della cerimonia non vuole
andare oltre il criterio del senso comune. Possibilità di
conversione: qualcuno potrebbe obiettare che non posso escludere
la possibilità che Giovanni Paolo II abbia escogitato sagace
manovra per convertire gli ebrei che erano presenti nella
sinagoga di Roma. La risposta è semplice. Poiché il fine non
giustifica i mezzi, non è possibile per un cattolico,
soprattutto un successore di San Pietro, dare l'impressione di
abbandonare la fede per realizzare una ipotetica conversione
degli israeliti. Inoltre, Giovanni Paolo II non ha minimamente
menzionato il fatto che gli ebrei dovrebbero abbandonare le loro
false credenze, né gli ebrei hanno mostrarono la minima
intenzione di convertirsi. E dunque questa obiezione è priva di
ogni fondamento.
122 Cfr. In occassione della visita
del Pontefice Giovanni Paolo II, Communità Israelitica di
Roma, Tempio Maggiore, 1986, pag. 2.
123 Vedi Eb 3, 6, 7 8, 9 11;
Rm 2, 25-29; 3, 27-30, e specialmente questo passo: «Non
infatti in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua
discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in
virtù della giustizia che viene dalla fede; poiché se
diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe
resa vana la fede e nulla la promessa» (Rm 4:13-14);
Inoltre, in un altro passo San Paolo dice: «Tuttavia la
parola di Dio non è venuta meno. Infatti non tutti i discendenti
di Israele sono Israele, né per il fatto di essere discendenza
di Abramo sono tutti suoi figli. No, ma: in Isacco ti sarà data
una discendenza, cioè: non sono considerati figli di Dio i figli
della carne, ma come discendenza sono considerati solo i figli
della promessa» (Rm 9, 6-8). Molti altri passi che
afferma lo stesso concetto potrebbero essere citati.
124 Cfr. C.
De Lucia, «Cari
amici e fratelli ebrei e cristiani...», in L'Osservatore
Romano, del 14-15 aprile 1986, pag. 5.
125 Ibid.
126 Ibid.
127 Ibid.
128 Ibid.
129 Cfr.
Mons. H. Delassus,
op. cit., vol. III, «Sionnisme», pagg. 1233-1248.
130 Cfr. L'Osservatore
Romano, del 14-15 aprile 1986, pag. 5.
131 Ibid.
132 Ibid.
133 Ibid.
134 Ibid.
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