di
don
Matthias Gaudron FSSPX 1
Premessa del Traduttore
Nella sua opera apologetica
del 1852 Réponses courtes et familières aux objections
les plus réprendues contre la religion («Risposte brevi
e abituali alle obiezioni più diffuse contro la religione»),
scrive Mons. Louis-Gaston De Ségur
(1820-1881): «Ai dogmi immutabili, occorre
una
lingua immutabile che preservi da ogni alterazione la
formulazione stessa di questi dogmi [...]. I
protestanti e tutti i nemici della Chiesa cattolica gli
hanno sempre duramente rimproverato l'uso del latino. Essi
avvertono che l'immobilità di questa corazza difende
meravigliosamente da ogni alterazione queste antiche
tradizioni cristiane la cui testimonianza li schiaccia.
Vorrebbero rompere la forma per raggiungere il fondo. L'errore
parla volentieri una lingua variabile e mutevole».
Nel suo voluminoso libro Institutions Liturgiques
(1878), dom Prosper Guéranger (1805-1875), abate
benedettino di Solesmes, scrive: «L'odio per la
lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma:
costoro vedono in essa il legame dei cattolici
nell'Universo, l'arsenale dell’ortodossia contro tutte le
sottigliezze dello spirito settario, l'arma più
potente del papato [...]. La separazione dal
latino, per un motivo inspiegabile, che non conosciamo,
quasi sempre, anche ottenuta la dispensa del Sommo
Pontefice, ha condotto allo scisma e alla piena separazione
dalla Chiesa cattolica». Papa Pio XI (1857-1939),
nella Lettera Apostolica Officiorum omnium (del 1º
agosto 1922), scrive: «Infatti, la Chiesa, poiché tiene
unite nel suo amplesso tutte le genti e durerà fino alla
consumazione dei secoli [...] richiede per sua natura
un linguaggio universale, immutabile, non volgare».
Nella sua bellissima Enciclica sulla liturgia Mediator
Dei (del 20 novembre 1947), scrive Papa Pio XII
(1876-1958): «L'uso della lingua latina, come vige nella
gran parte della Chiesa, è un chiaro e nobile segno di unità
e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura
dottrina». Il 22 febbraio 1962,
Giovanni XXIII
(1881-1963) emanò la Costituzione Apostolica Veterum
Sapientia, sullo studio e sull'uso del latino.
In questo
documento, redatto dal grande latinista il Cardinale
Antonio Bacci (1885-1971), si afferma: «Poiché in
questo nostro tempo si è cominciato a contestare in molti
luoghi l'uso della lingua romana e moltissimi
chiedono il parere della Sede Apostolica su tale argomento,
abbiamo deciso, con opportune norme, enunciate in questo
documento, di fare in modo che l'antica e mai interrotta
consuetudine della lingua latina sia conservata e, se in
qualche caso sia andata in disuso, sia completamente
ripristinata [...]. I medesimi Vescovi e Superiori
Generali degli Ordini religiosi, mossi da paterna
sollecitudine, vigileranno affinché nessuno dei loro
soggetti, smanioso di novità, scriva contro l'uso
della lingua latina nell'insegnamento delle sacre discipline
e nei sacri riti della Liturgia e, con opinioni preconcette,
si permetta di estenuare la volontà della Sede Apostolica in
materia e di interpretarla erroneamente».
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Mons. De Ségur |
D. Prosper Guéranger |
Card.
Antonio Bacci |
Nel 1969,
solamente sette anni dopo la promulgazione di questa
Costituzione Apostolica, in una tristemente nota Allocuzione,
Paolo VI
(1897-1978) liquidò il latino con queste
sconcertanti parole: «Non più il latino, ma il
linguaggio parlato sarà la lingua principale della Messa.
L'introduzione del vernacolare sarà certamente un grande
sacrificio per quelli che conoscono la bellezza, il potere e
la sacralità espressiva del latino [...]. Stiamo
divenendo come degli intrusi profani nella riserva
letteraria della sacra espressione [...]. Abbiamo
ragione di rammaricarcene, quasi di rimanere sconcertati.
Cosa metteremo al posto della lingua degli Angeli? Stiamo
abbandonando qualcosa di valore inestimabile. Perché? Cosa
c'è di più prezioso e di più elevato nei valori della nostra
Chiesa»?
Molti si chiedono come mai nel giro di
sette anni abbia potuto aver luogo un cambiamento di rotta
così radicale... Nonostante il fatto che da oltre quarant'anni il
latino sia caduto completamente in disuso nelle nostre
chiese, un certo numero di cattolici, laici e sacerdoti,
continua ad interrogarsi sulle
ragioni che hanno spinto Paolo VI e i suoi successori ad eliminare la lingua
sacra della Chiesa. Questo scritto, redatto in forma di
domanda e risposta come i vecchi catechismi, offre al
lettore le ragioni principali per cui per secoli la Chiesa cattolica ha
utilizzato ininterrottamente il latino nella sua liturgia e
perché sia stato un grave errore abbandonarlo.
Paolo VI e il
suo Messale in lingua volgare.
Bisogna celebrare la Messa in
latino?
Come ci si tolgono i vestiti
da lavoro per partecipare ad una cerimonia importante, allo
stesso modo è più che mai conveniente che la lingua della
sacra liturgia non sia quella della strada. La lingua
volgare non è confacente all'azione sacra. In Occidente, il
latino è stato per diversi secoli la lingua della liturgia.
Ma anche negli altri riti della Chiesa (come quello della Chiesa
orientale), e persino in numerose religioni non-cristiane,
c'è una lingua sacra.
Anche i non-cattolici
utilizzano una lingua sacra?
Poiché la lingua corrente si
evolve, l'adozione della lingua liturgica sembra una
costante dell'umanità. I greci scismatici utilizzano nella
loro liturgia il greco antico; i russo utilizzano lo slavone.
Ai tempi di Cristo, gli ebrei utilizzavano per la liturgia
l'ebraico antico che non era più la lingua corrente, e né
Gesù né gli Apostoli hanno mai condannato questa usanza. La
stessa cosa avviene nell'islam,
dove l'arabo letterario, (la lingua della preghiera) non è
più compresa dalle folle, e in certe religioni orientali.
Anche i pagani romani avevano nel loro culto delle formule
arcaiche divenute incomprensibili al popolo.
Come può spiegarsi l'uso
universale di una lingua sacra nel culto divino?
L'uomo ha
naturalmente il senso del sacro. Egli comprende d'istinto che il culto divino non dipende da lui; che deve
rispettarlo e deve trasmetterlo così come l'ha ricevuto,
senza permettersi di sconvolgerlo. L'impiego di una lingua
fissa e sacra nella religione è conforme alla psicologia
umana, così come alla natura immutabile delle realtà divine.
I fedeli non comprendono meglio
la Messa celebrata nella loro lingua?
La Messa contiene dei
misteri ineffabili che nessun uomo può comprendere
perfettamente. Questo carattere misterioso trova la sua
espressione nell'impiego di una lingua misteriosa che non è
immediatamente compresa da tutti (è anche per questo che
certe parti della Messa dovrebbero essere dette a voce
bassa). Al contrario, la lingua vernacolare dà l'impressione
di una comprensione superficiale che, in realtà, non esiste.
Le persone credono di capire la Messa perché viene celebrata nel
loro lingua materna. In realtà, non sanno generalmente nulla
sull'essenza del santo Sacrificio.
Messalino per
il popolo in italiano.
La funzione del latino è dunque
quella di porre una barriera tra i fedeli e i santi misteri?
Non si tratta di edificare un
muro opaco che mascheri tutto, ma, al contrario, di fare
meglio apprezzare le prospettive. Per far ciò, occorre
mantenere una certa distanza. Per penetrare un po' nel
mistero della Messa, la prima condizione è di riconoscere
umilmente che si tratta di un mistero, di qualcosa che ci
supera.
Se il carattere misterioso del
latino è così benefico, occorre dissuadere i fedeli
dall'apprenderlo, e compatire quelli che lo
comprendono?
L'impiego del latino nella
liturgia mantiene il senso del mistero anche in quelli che
conoscono questa lingua. Il solo fatto che si tratti di una
lingua speciale, distinta della lingua nativa e dalla lingua
della strada, una lingua che, di per sé, non è
immediatamente compresa da tutti (anche se, di fatto, la si
comprende), è sufficiente a conferire un certo distacco che
favorisce il rispetto. Dunque, lo studio del latino
cristiano dev'essere vivamente incoraggiato. Lo sforzo che
richiede spinge il fedele ad innalzarsi verso il mistero,
mentre la liturgia in lingua volgare tende ad abbassarsi al
livello umano.
Carteglorie in
lingua latina.
L'impiego del latino non
rischia tuttavia di lasciare certi fedeli nell'ignoranza
della liturgia?
Il Concilio di Trento (1563)
impone al sacerdote l'obbligo di predicare spesso sulla
Messa e di spiegarne i riti ai fedeli. Per di più, questi
ultimi possono avvalersi di messalini in cui le preghiere
latine sono tradotte in lingua volgare. In questo modo, essi
possono accedere alle belle preghiere della liturgia senza
che i vantaggi del latino vadano persi. L'esperienza prova
sempre più che, nei nostri Paesi latini, la comprensione del
latino liturgico (se non in tutti i suoi dettagli, ma almeno
in modo globale) è relativamente facile per chi ne è
interessato. Lo sforzo per l'attenzione richiesta favorisce
la vera partecipazione interiore dei fedeli alla liturgia:
quella dell'intelligenza e della volontà. Al
contrario, la lingua vernacolare rischia di incoraggiare la
pigrizia e la superficialità.
L'uso di una lingua sacra
nella liturgia non introduce una frattura arbitraria tra la
vita di tutti i giorni («profana») e la vita
spirituale, mentre il ruolo del cristiano dovrebbe
essere quello, al contrario, di dedicare tutto
a Dio, anche la sua lingua quotidiana?
Per vivere dello spirito di
preghiera in tutti le sue attività, bisogna sapere, in dati
momenti, lasciare queste attività per dedicarsi solamente
alla preghiera. Lo stesso vale per il latino: utilizzare, in
certi momenti, una lingua sacra per prendere meglio
coscienza della trascendenza di Dio, sarà un aiuto, e non un
impedimento, alla preghiera di ogni istante.
Quali altre ragioni militano in
favore dell'uso del latino?
Ecco tre ragioni in favore
dell'uso del latino:
-
La sua immutabilità
(o, almeno, la sua grande stabilità);
-
Il suo impiego quasi
bimillenario nella liturgia;
-
Il fatto che esso
simboleggia e favorisce l'unità della Chiesa.
Perché l'immutabilità del
latino è un vantaggio?
La fede immutabile richiede,
come strumento proporzionato, una lingua che sia il più
immutabile possibile, e che possa così servire da
riferimento. Ora, il latino non è più una lingua
corrente, e quindi non può più cambiare (o quasi). Al
contrario, in una lingua corrente le parole possono subire
assai rapidamente diversi cambiamenti notevoli di
significato o di registro (ossia possono assumere una
connotazione peggiorativa o ridicola che prima non avevano).
L'uso di una lingua volare può dunque causare facilmente
degli errori o delle ambiguità, mentre l'uso del latino
preserva al tempo stesso la dignità e l'ortodossia della
liturgia.
Perché l'uso quasi
bimillenario della lingua latina nella liturgia è un
vantaggio?
Impiegata nella liturgia per
quasi duemila anni, la lingua latina è stata come
santificata. È corroborante poter pregare con le stesse
parole usate per secoli dai nostri antenati e da
tanti sacerdoti e monaci. Usando questa lingua percepiamo in
modo concreto la continuità della Chiesa attraverso il
tempo, e uniamo la nostra preghiera alla loro. Il tempo e
l'eternità si congiungono.
Perché il latino simboleggia l'unità
della Chiesa?
Il latino manifesta non
solamente l'unità della Chiesa attraverso il tempo, ma anche
attraverso lo spazio. Favorendo l'unione con Roma (ha
preservato la Polonia dallo scisma d'Oriente), il latino ha
inoltre unito tra loro tutte le nazioni cristiane. Prima del
Concilio Vaticano II
(1962-1965), la Messa di rito romano era celebrata ovunque
nella stessa lingua. I fedeli ritrovavano in tutti i cinque
continenti la Messa della loro parrocchia. Oggi, questa
immagine dell'unità è stata spezzata. Non c'è più nessuna
unità nella liturgia: né nella lingua, né nei riti. Al punto
che chi assiste ad una Messa celebrata in una lingua che non
conosce fatica non poco a distinguerne persino le parti
principali.
Come si può riassumere l'utilità
del latino?
La nostra Chiesa è una, santa,
cattolica e apostolica. La lingua latina contribuisce, a
modo suo, a ciascuna di queste caratteristiche. Mediante il
suo genio (lingua imperiale), il suo carattere ieratico
(lingua «morta»), e soprattutto con la consacrazione che ha
ricevuto, insieme all'ebraico e al greco, sul titulum
della croce 2, essa serve in
maniera eccellente la santità della liturgia; grazie al suo
uso universale e sovrannazionale (essa non è più la lingua
di un popolo), ne manifesta la cattolicità; per mezzo del
suo legame vivente con la Roma di San Pietro e con tanti
Padri e Dottori della Chiesa (che furono al tempo stesso
l'eco degli Apostoli e gli artefici del latino liturgico
3), esso è il garante della sua
apostolicità; e infine, tramite il suo uso ufficiale, esso è
in effetti la lingua di riferimento sia del Magistero, del
Diritto Canonico o della liturgia, e concorre efficacemente
alla triplice unità della Chiesa: unità di fede, unità di
governo e unità di culto.
Nell'opera
Lettre Ouverte aux Protestants (les
Controverses), di San Francesco di Sales
(1567-1622), c'è un capitolo sulla profanazione che si
commette usando il volgare nei sacri riti pubblici,
capitolo nel quale questo grande Dottore di santa
Madre Chiesa, dopo aver messo in evidenza i rischi
inerenti a qualsivoglia traduzione della Sacra
Scrittura, espone le ragioni che impongono l'uso di
una lingua liturgica fissa: «Il Concilio di
Trento proibisce di compiere in volgare i riti
pubblici della Chiesa, e prescrive che si compiano
in una lingua fissa, e secondo formule approvate
dalla Chiesa stessa. Questa disposizione è
giustificata dai motivi che io già esposi (tradurre
e ritradurre continuamente nei vari idiomi volgari
la Sacra Scrittura non giova: perciò non giova
tradurre nei volgari i testi liturgici, in gran
parte tratti dalla Sacra Scrittura stessa); poiché
l'uso nei riti pubblici della Sacra Scrittura
in volgare costituisce un pericolo tale da indurre a
errare ciascuno a suo modo, non solo i giovani, ma
anche gli adulti, non solo gli sconsiderati, ma
anche i sapienti, non solo le donne, ma anche gli
uomini, in una parola tutti, analfabeti e colti...
Ma domandiamoci un po', per quale ragione ci sono di
quelli che vogliono introdurre la Sacra Scrittura
in volgare nel culto liturgico? Perché vi si
apprenda la dottrina che vi è contenuta? Certamente
detta dottrina non può essere appresa se qualcuno
non toglie la scorza della lettera nella quale è
contenuta. Verissimo! Ma io dichiaro che il compito
di rimuovere quella scorza non è affidato alla
recitazione durante i sacri riti; bensì alla
predicazione, grazie alla quale la Parola di Dio non
solo è recitata, ma anche spiegata dal Ministro di
Dio. Chi è mai così indottrinato e ferrato da poter
comprendere, senza studio, le profezie di Ezechiele
e degli altri Profeti, e dei Salmi stessi? A che
dunque può servire al popolo di udirle (nella lingua
volgare), se non per profanarle e metterle in
dubbio? Or noi cattolici non dobbiamo in alcun modo
tradurre i sacri riti nelle lingue particolari;
che, anzi, siccome la nostra Chiesa è universale,
di tutti i luoghi e di tutti i tempi, essa
deve celebrare i sacri riti pubblici in una lingua
universale nel tempo e nello spazio, quale è il
latino in Occidente e il greco in Oriente:
diversamente noi sacerdoti non sapremmo celebrare
la Messa, né i fedeli seguirla, fuori delle nostre
contrade. L'unità e la grande diffusione
dei nostri fratelli richiede che recitiamo le
preghiere pubbliche in una lingua che sia la stessa
in qualsivoglia nazione; in questo modo le nostre
preghiere saranno universali, grazie a tanta gente
che, in ogni nazione, le può seguire in latino. In
coscienza mi sembra che questa sola ragione sia
sufficiente, poiché, a conti ben fatti, non risulta
che le nostre preghiere dette in francese, siano
seguite meglio, che se si dicono in latino». |