di
Mons. Justinas Bonaventura Pranaitis
La
storia dei rapporti tra cristianesimo ed ebraismo è
senz'altro uno dei temi più discussi di questa
nostra epoca. In questi ultimi anni, infatti, le
autorità della sinagoga, appoggiate da influenti
lobby ebraiche d'oltre Oceano, hanno esercitato
forti pressioni sulla Gerarchia cattolica affinché
quest'ultima, dopo aver rigettato con il Decreto
conciliare Nostra Ætate (1965) il suo
insegnamento bimillenario sulla religione ebraica,
riconosca le proprie «colpe» e chieda pubblicamente
perdono per avere ingiustamente perseguitato per
secoli i figli d'Israele. Mentre però il presunto
antisemitismo di cui viene accusata la Chiesa
cattolica è motivo di reiterati e ormai quotidiani
mea culpa, non risulta a tutt'oggi che alcun
rappresentante delle varie comunità ebraiche abbia mai chiesto pubblicamente scusa alla
Chiesa e ai cristiani per il più che accertato odio
anticristiano di cui trasuda quel concentrato di
«saggezza» rabbinica che è il Talmud...
Leggere per credere. |
Presentazione
Secondo una convinzione
comunemente diffusa tra i cristiani dei nostri giorni, il
testo fondamentale sui cui poggia l'odierno ebraismo sarebbe
costituito dall'Antico Testamento, e in particolare dalla
Toràh, ossia dai primi cinque Libri della Bibbia che
contengono la Legge mosaica. In realtà, uno studio anche
superficiale di questa religione rivelerebbe come tale
convinzione sia errata e lontana dalla verità.
Per il fedele
della sinagoga, infatti, il testo essenziale cui attingere
per conoscere le norme da seguire e diventare un pio ebreo è
il Talmud (dall'ebraico lamad, che significa
«apprendimento», «dottrina, ammaestramento»). Per quanto ciò
possa sembrare strano, l'ebraismo post-cristiano - quello
cioè sviluppatosi dopo l'avvento del cristianesimo - ritiene
che la Bibbia, al contrario del Talmud, sia un testo
incompleto e di scarsa importanza.
Ma cos'è esattamente il
Talmud? Trattasi di un'ampia raccolta di insegnamenti
rabbinici che va dal I secolo a. C. al V sec. d. C. Il
Talmud consta di due raccolte: la Mishnàh, la più
antica, e la Ghemarà, la più recente. I maestri della
Mishnàh abbracciano cinque o sei generazioni per un
totale di centocinquanta autori. La prima edizione della
Mishnàh, commentata dall'ebreo spagnolo Mosé
Maimonide (1135-1204) venne stampata a Napoli nel 1492.
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Talmud |
Mosè
Maimonide |
Ma a dispetto delle altre religioni che cercano in tutti i
modi di diffondere e far conoscere i loro testi sacri,
l'ebraismo ha sempre cercato di occultare il suo libro
fondamentale, fino a minacciare di scomunica, o nei casi più
gravi di morte, chi ne avesse rivelato il contenuto ai
non-ebrei. Nel XVII secolo questo incomprensibile
atteggiamento di totale chiusura verso l'esterno richiamò
l'attenzione di molti studiosi cristiani (Wagenseil, Rohling,
i due Buxtorf, Eisenmenger, Bartolocci, Imbonati,
Pfefferkorn, ecc...) che hanno cercato di carpire il motivo
di tale segretezza. Lo studio di questo testo - che altro
non è che un codice di comportamento - condotto da questi
profondi conoscitori dell'ebraico portò ad una prima
importante scoperta: il rigido regime di separazione dagli
altri popoli che vige presso gli ebrei trae le sue origini dall'insegnamento talmudico relativo ai non-ebrei, e in
particolare ai cristiani. In effetti, il primo dato che
emerse dalla lettura dei diversi trattati che compongono
questo libro (Iore Dea, Orac sciaim,
Scioscen ammispat, ecc...) è che, in virtù della sua
Alleanza con Yahwéh, l'ebreo si considera come una specie di
superuomo, superiore a tutti gli altri suoi simili, una
sorta di semidio con diritto di dominio su tutte le altre
nazioni. Tuttavia, ciò che impressionò maggiormente questi
studiosi cristiani durante la lettura dei vari trattati fu
l'ossessiva istigazione del lettore all'odio verso Gesù
Cristo (ritenuto un falso messia, un mago e quanto di peggio
si possa immaginare) e verso i Suoi seguaci (considerati
alla stregua di pagani idolatri da evitare o da sterminare).
Temendo che la rivelazione delle maledizioni e degli insulti
contro il cristianesimo contenuti nel Talmud
scatenasse violente reazioni contro gli israeliti sparsi in
tutto il mondo, i rabbini, riuniti in sinodo in Polonia,
corsero ai ripari e diramarono un decreto che conteneva le
seguenti istruzioni: «Poiché abbiamo saputo, come tutti i
figli d'Israele, che molti cristiani cercano d'approfondire
la lingua nella quale i nostri libri sono scritti, vi
intimiamo, sotto pena di incorrere nella scomunica maggiore
[...] di togliere dalle nuove edizioni della Mishnàh e
dalla Ghemarà quanto si riferisce alle azioni di Gesù di
Nazaret». Ecco dunque spiegato il motivo per cui le
recenti traduzioni del Talmud (messe in vendita anche
presso le librerie cattoliche) non contengono nemmeno uno
dei passi che troverete citati dall'Autore in questo
libretto. Nonostante questa cortina fumogena eretta dai
giudei attorno al loro testo sacro, l'Autore del presente
studio, Mons. Justinas Bonaventura Pranaitis
(1861-1917) 1, riuscì verso la
fine del XIX secolo scorso a venire in possesso di molti
trattati originali in cui le maledizioni e gli improperi
contro Cristo e i cristiani non erano stati amputati.
Nel
1892, con il titolo Christianus in Talmude Iudeorum, sive
Rabbinicæ doctrinæ de Christianis secreta («I cristiani
nel Talmud, ossia la dottrina rabbinica segreta sui
cristiani»), usciva la più completa e più accurata raccolta
di massime talmudiche che sia mai stata pubblicata e che
oggi vi ripresentiamo non certo per fomentare nel lettore
volgari pulsioni antisemite, così aliene dallo spirito che
anima le pagine del Vangelo, ma perché i cristiani tornino a
operare per la conversione degli ebrei e a pregare secondo
le intenzioni della Chiesa, così chiaramente espresse nella
veneranda liturgia preconciliare del Venerdì Santo:
«Affinché Dio, nostro Signore, tolga il velo dai loro cuori
ed essi conoscano Gesù Cristo [...] e siano strappati
alle loro tenebre».
PARTE PRIMA
LA DOTTRINA DEL TALMUD SUI CRISTIANI
Nella prima parte di questo
libro, vedremo quali sono gli insegnamenti del Talmud
sull'Autore della religione cristiana, Gesù Cristo; nella
seconda, quello che esso prescrive circa i Suoi seguaci.
CAPITOLO I
GESÙ CRISTO NEL TALMUD
Molte sono le cose che si
possono leggere nei diversi libri talmudici sull'origine di
Gesù Cristo e sulla Sua vita, morte e dottrina. Tuttavia,
bisogna avvertire che non sempre e dovunque Egli viene
chiamato con lo stesso nome, ma con altri diversi quali
«quell'uomo», «un tale», «il figlio del fabbro», «l'appeso»,
ecc...
I nomi attribuiti a Gesù Cristo
- Il vero nome di Gesù
Cristo in ebraico è Iesciua Annostri, ossia
«Gesù Nazareno»
Gesù viene chiamato Notsri
dagli ebrei per via della città di Nazareth nella quale fu
educato; per cui anche i cristiani nel Talmud sono
chiamati notsrim. Poiché la voce Iesciua, che
significa «salvezza», designa il Salvatore, di rado il nome
di Gesù si incontra scritto per esteso nei libri ebraici
2, ma quasi sempre e ovunque si legge
con l'abbreviazione Iesciu, nome che viene letto
dagli ebrei con malizia, come se fosse originato dalle
lettere iniziali delle tre parole Immasc' Sciemo Veziecro:
«Siano distrutti il suo nome e la sua memoria»
3.
- Nel Talmud,
Gesù Cristo viene chiamato oto isc, ovvero
«quell'uomo», vale a dire «noto a tutti»
Nel trattato Aboda zara
6 a
si legge: «Cristiano (è chiamato) colui che segue
l'erronea dottrina di quell'uomo, il quale comanda che si
consideri festivo il primo giorno dopo il sabato, e cioè che
si santifichi il primo giorno dopo il sabato».
- Più semplicemente,
Gesù Cristo viene chiamato peloni, cioè «quel
tale»
Nello Sciaghigà 4 b.,
si legge «Maria [...] madre di quel tale»,
così come viene denominata nello Sciabbat, 104 b.
Vedremo ben presto come questa Maria altri non sia che la
Madre di Gesù Cristo.
- Con disprezzo,
Cristo viene chiamato anche naggar bar naggar
4, ovvero il «fabbro» o il «figlio
del fabbro»; o anche ben sciarasc'ètsim, ossia il
«figlio del falegname» 5.
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Aboda
zara |
Sciabbat |
- Inoltre, gli ebrei
lo chiamano talui, cioè «l'appeso»
Rabbi Samuel, figlio di Meir,
nell'Ilcot acum di Mosè Maimonide, avverte subito che
il giorno festivo di Natale e quello della Pasqua dei
cristiani sono proibiti agli ebrei perché vengono celebrati
«per il fatto che egli fu appeso» 6.
Rabbi Aben Esdra (1092-1167), nel Commentario al Libro della Genesi
(Gn 27, 39), chiama talui colui la cui
immagine l'Imperatore Costantino il Grande (280-337)
pose nell'insegna: «Ai tempi di Costantino, che cambiò la
religione e pose sul suo vessillo l'immagine dell'appeso».
l
La vita di Gesù Cristo
Il Talmud insegna che
Gesù era impuro e figlio di donna mestruata
7, che aveva l'anima di Esaù ed era
stolto, prestigiatore, seduttore e idolatra. Fu crocifisso,
sepolto nell'inferno e divenne l'idolo dei suoi seguaci.
- Gesù Cristo era bastardo e figlio di donna mestruata
Nel trattato Callà 1 b.
(18 b.), viene narrata questa storia: «Un giorno, mentre
alcuni vecchi sedevano davanti alla porta della città, si
presentarono loro due adolescenti, uno dei quali aveva il
capo coperto e l'altro l'aveva lasciato scoperto. Di
quell'adolescente che aveva scoperto il capo, Rabbi Eliezer
disse che era un "mamzer", cioè un "impuro". Rabbi
Ieosciua disse che egli era "ben niddà", ovvero che era
stato concepito da una donna mestruata. Rabbi Achiba,
invece, affermò che egli non soltanto era impuro, ma anche
figlio di donna mestruata. Poiché gli astanti domandarono a
Rabbi Achiba il motivo di tale contraddizione verso i suoi
colleghi, egli rispose loro che avrebbe confermato quanto
aveva asserito. Andò quindi dalla madre di questo fanciullo,
e avendola trovata al mercato intenta a vendere legumi, le
disse: "Figlia mia, se tu mi vorrai rispondere con tutta
verità a ciò che sto per domandarti, io ti prometto di fare
tutto il possibile perché tu abbia a godere dell'esistenza
anche nell'altra vita". E poiché ella chiedeva che l'altro
confermasse con un giuramento quanto aveva promesso, Rabbi Achiba giurò, ma soltanto con le labbra, perché in cuor suo
rese subito vano il giuramento. Dopodiché, Rabbi Achiba
domandò: "Dimmi: chi è tuo figlio"? Ella rispose: "Quando
celebrai le mie nozze mi trovavo nel periodo delle
mestruazioni, per cui mio marito si allontanò da me. Ma il
mio compare si unì a me e da questo amplesso nacque questo
mio figlio". Da ciò risultò chiaro che questo fanciullo era
non soltanto impuro, ma anche figlio di donna mestruata. A
questa dimostrazione tutti gli astanti esclamarono: "Grande
fu Rabbi Achiba quando corresse i suoi dottori". E subito
aggiunsero: "Benedetto il Signore Dio d'Israele che rivelò
il suo arcano a Rabbi Achiba, figlio di Giuseppe"». Come
gli ebrei applichino questo passo a Gesù Cristo e a Maria
SS.ma lo dimostra chiaramente il loro libro Toldoth
Iesciu, che in ebraico significa «Origini di Gesù»,
dove, quasi con le stesse parole, è narrata la nascita del
nostro Salvatore 8. Sempre in
questo senso un'altra narrazione è data nel Sanhedrin 67 a:
«Fra tutti coloro che, per aver contravvenuto alla legge,
sono ritenuti rei di morte, solo verso questi ultimi
9 essi procedono, per l'accertamento
delle loro colpe, servendosi di insidie.
E quali insidie
preparano? Predispongono una stanza interna illuminata da
una candela, e collocano testimoni in un'anticamera, in modo
che essi possano vedere il tentatore e udirne le parole, ma
non questi quelli. Colui che era stato dapprima circuito dal
tentatore improvvisamente domanda a quest'ultimo: "Ti prego:
ripetimi qui in segreto, ciò che prima mi hai detto". Se
l'altro aderisce, subito il tentato gli chiede: "In che
modo
abbandoneremo il Signore nostro che è nei cieli e serviremo
gli idoli"? Se a queste parole il tentatore si converte o ha
comunque resipiscenze, bene; ma se invece esclama: "Ecco il
nostro dovere; ecco quello che dobbiamo fare in tutto e per
tutto", allora i testimoni che sono nella stanza esterna e
che hanno ascoltato tutto, subito lo conducano in giudizio e
lo lapidino. Così fecero al figlio di "stada" ("meretrice")
in Lud, e lo crocifissero la sera di Pasqua. Questo figlio
di "stada" ("meretrice") dev'essere inoltre considerato
figlio di "pandira". Poiché disse Rabbi Sciasda: "Il marito
di sua madre, "stada pandira", è Pafo, figlio di Giuda
10. Ma io aggiungo che sua madre
è stata la meretrice Maria di Magdala, cioè quella tale
acconciatrice di teste femminili, la quale, come dicono nel
Pumbaditano, si allontanò da suo marito"». Ciò equivale
a dire che anche Maria SS.ma veniva chiamata
stada, cioè «meretrice», perché,
secondo i Pumbaditani, aveva tradito il marito con
adulterio. Simili cose si possono leggere nel Talmud
di Gerusalemme 11 e in
Maimonide 12. Per quanto
riguarda quella Maria di cui è fatta sopra menzione, di essa
si dice nel trattato Sciaghigà 4 b: «Trovandosi un
giorno Rabbi Bibai presso l'Angelo della morte gli disse:
"Va, e portami qui Maria acconciatrice di capelli muliebri"
(che equivale a dire: "Va, e uccidila"). L'Angelo andò e gli
portò Maria acconciatrice di fanciulli (vale a dire un'altra
Maria)». Una glossa marginale illustra così questo
passo: «Questa storia di Maria acconciatrice di capelli
muliebri accadde sotto la seconda casa. Ella fu quindi la
madre di N. ("peloni"), come si legge nel trattato Sciabbat»
(fol. 104 b). Nondimeno, nello Sciabbat questo
episodio viene così riportato: «Disse Rabbi Eliezer ai
sapienti: "Non fu forse il figlio di "stada" ("meretrice") a
fare uscire le arti magiche dall'Egitto per mezzo di un
taglio nella propria carne"? Essi risposero: "Egli fu
stolto, e non si chiede l'approvazione degli stolti. Il
figlio di "stada", il figlio di "pandira"...», come
sopra nel Sanhedrin 67 a».
Tale magia, operata dal
figlio di stada, viene così spiegata nel libro Bet
Jacob, f. 127 a: «Prima di uscire dall'Egitto, i Magi
investigarono minuziosamente dappertutto che non
trafugassero l'arte magica per mezzo di qualche scritto, in
modo che la potessero poi insegnare agli altri popoli.
Perciò, egli escogitò un nuovo sistema, e fu quello di
scrivere l'arte magica sulla pelle o d'includervela sotto.
La ferita, non appena sanata, non l'avrebbe certamente
lasciata scoprire» 13.
«Da tutto ciò - dice Johannes Buxtorf (1564-1629)
14 - si può capire in modo non
troppo oscuro chi mai sia stato "ben stada" ("il figlio
della meretrice") o chi mai, esaminati tutti i punti, per
lui debba intendersi. Comunque, molte considerazioni
dimostrano che nonostante i rabbini nelle addizioni
talmudiche si sforzino di dichiarare che essi non vogliono
riferirsi a Gesù Nazareno e cerchino di coprire la loro
malizia, tuttavia la frode si viene subito a scoprire poiché
appare manifesto che essi, nello scrivere tali cose, non
vogliono altro intendere e scrivere che di Lui. Infatti: in
primo luogo, egli è chiamato anche ben pandira. E che così
fosse chiamato da loro Gesù Nazareno appare evidente anche
in altri punti nel Talmud
15, dove si fà espressa menzione di "Gesù,
figlio di pandira". Anche San Giovanni Damasceno (675-750)
16 nella genealogia di Cristo
menziona le parole "pantheræ" e "bar pantheræ". In secondo
luogo, questa "stada" ("meretrice") si dice che fosse Maria,
e questa Maria viene anche detta madre di "peloni", di N., e
con questa espressione si vuole senza dubbio identificare
Gesù Cristo. Gli ebrei, infatti, usano mascherare il Suo
nome perché si vergognano di pronunciarlo. Se fossero a
nostra portata di mano i manoscritti originali, la cosa
sarebbe chiaramente provata. Appare dunque evidente che
anche questo fu uno dei nomi attribuito alla Madre di Gesù
Nazareno. In terzo luogo, Egli viene chiamato "seduttore del
popolo". E che per tale fosse ritenuto Cristo dagli ebrei,
lo attesta il Vangelo stesso 17,
mentre gli scritti odierni confermano che anche oggi gli
israeliti lo considerano come tale
18. In quarto luogo, si dice che
fosse chiamato l'"appeso"; in ciò è chiaro il riferimento
alla crocifissione di Gesù Cristo, specialmente se si
aggiunge la circostanza di tempo - la sera di Pasqua - la
quale si accorda con il tempo della crocifissione di Nostro
Signore.
Nel Sanhedrin 43 a., così essi scrivono: "La sera di
Pasqua crocifissero Gesù". In quinto luogo, perché nel
Talmud di Gerusalemme si parla di due discepoli dei sapienti
posti come vedette e come testimoni, e quindi prodotti
contro di Lui. Ciò deve riferirsi a quei due falsi testimoni
dei quali fanno menzione gli evangelisti San Matteo
19 e San Luca
20. In sesto luogo, perché del
medesimo "ben stada" scrivono che in un taglio della propria
carne egli trafugò le arti magiche dall'Egitto. Qualcosa di
simile riferiscono a proposito di Gesù Cristo nel
velenosissimo libro "Toldoth Iesciu". In settimo luogo, e in
questo si accorda anche il periodo di tempo, perché si dice
che questo "ben stada" sia vissuto ai giorni di Pappo,
figlio di Ieuda, il quale fu contemporaneo di Rabbi Achiba.
Achiba, inoltre, visse al tempo dell'Ascensione di Cristo e
oltre. Anche Maria si dice che sia vissuta sotto il secondo
tempio. Sommando le cose, risulta chiaro a tutti come in
questi passi gli ebrei, in modo subdolo e blasfemo, vogliano
intendere sotto il nome di figlio di "stada" non altro che
il nome "figlio di Maria", ossia Gesù Cristo. Il fatto che a
queste interpretazioni si oppongano altre circostanze non
significa nulla. Ciò non è nuovo nei libri dei giudei,
poiché essi cercano di mascherare la verità ai cristiani con
l’inganno» 21.
- Inoltre, «nei libri più
segreti che cercano di non far cadere facilmente nelle mani
dei cristiani, gli ebrei dicono che lo spirito di Esaù è
passato in Gesù Cristo, il quale è stato tanto empio
quanto Esaù stesso» 22.
- Da qualcuno Egli viene
chiamato anche stolto e demente 23:
«Dissero i Sapienti ad Eliezaro: "Stolto fu il
figlio di "stada" ("meretrice") e non si chiede
l’approvazione degli stolti"».
- Gesù Cristo era un
prestigiatore e praticava le arti magiche
Nel nefando libro Toldot
Yeschu, il nostro Salvatore viene sacrilegalmente
bestemmiato con queste parole: «Disse Gesù: "Non hanno forse
così profetizzato di me Isaia e Davide miei proavi? Il
Signore mi disse: "Tu sei mio figlio; oggi ti ho
generato" 24.
Così in altro passo: "Disse il Signore al mio Signore:
"Siedi alla mia destra" 25.
Ora io salirò verso il Padre mio che sta nei cieli e siederò
alla sua destra e questo voi vedrete con i vostri occhi; ma
tu Giuda 26 non
riuscirai mai ad elevarti fino a Lui". Pronunciò quindi Gesù
il gran nome di Dio (IHWH), ed ecco che subito si levò un
gran vento che lo sollevò fra il cielo e la terra. Anche
Giuda pronunciò quel nome e anche lui fu sollevato dal vento
tra il cielo e la terra. In questo modo, entrambi
volteggiavano nell'aria davanti allo stupore di tutti gli
astanti. Allora Giuda, pronunciato nuovamente il nome
divino, afferrò Gesù cercando di precipitarlo a terra. E
Gesù, allo stesso modo di Giuda, cercava di precipitare
l'altro. Così l'uno e l'altro, alternatamente, si
colluttavano. Vedendo allora Giuda di non poterla avere
vinta, orinò sopra Gesù e così, essendosi resi
immondi, caddero entrambi a terra e non poterono più
pronunciare il nome divino prima di essersi purificati».
Davvero non so se siano degni di misericordia piuttosto che
di odio quelli che prestano fede a simili menzogne
fabbricate dal demonio in persona 27.
In un altro passo dello stesso libro, viene narrato come nel
Santuario vi fosse una pietra che il Patriarca Giacobbe
aveva spalmato d'olio 28. In
questa pietra erano scritte le lettere del tetragramma
IHVH 29 e tutti gli
studiosi israeliti sostenevano che la pronuncia di questo
nome avrebbe devastato il mondo. Perciò, deliberarono che
nessuno potesse comprenderlo, e misero due cani legati a due
colonne di ferro davanti al Santuario.
Se mai qualcuno
avesse interpretato il valore di quelle lettere, nell'atto
di uscire dal Santuario, atterrito dall'abbaiare dei cani,
avrebbe completamente perduto la memoria di esse. «Venne
Gesù, entrò nel Santuario, interpretò il valore di quelle
lettere, le scrisse su una pergamena, tagliò un lembo di
carne dal proprio femore e ve la nascose; quindi,
pronunciato il nome divino, la pelle si richiuse»
30.
- Gesù Cristo era idolatra
Nel trattato Sanhedrin
103 a., le parole del Salmo 91, versetto 10 «e la piaga
non si avvicinerà al tuo tabernacolo», sono così
spiegate: «Perché non vi sia tuo figlio o il tuo
discepolo il quale cosparga di troppo sale, e troppo salando
corrompa pubblicamente il suo cibo, come Gesù Nazareno».
Bruciare il cibo o cospargerlo con troppo sale o troppo
condimento viene proverbialmente detto di chi corrompe i
suoi costumi, devia dalla sua strada e macchia il suo buon
nome; in una parola, di colui il quale passa all'eresia e
all'idolatria diffondendole e difendendole pubblicamente
31.
- Gesù Cristo era un
tentatore
Nello stesso Sanhedrin
107 b. si legge: «Disse Mar: "Gesù corruppe,
tentò e perse Israele"».
- Gesù fu crocifisso
Già sopra abbiamo visto come
Egli abbia scontato con una morte ignominiosa la pena della
sua empietà e dei suoi delitti, essendo stato appeso al
patibolo della Croce la sera di Pasqua.
- Gesù Cristo fu sepolto
nell'inferno
Lo Zohar 282 b. dice
come Gesù sia perito come una bestia e sia stato sepolto
fra le bestie. «Mucchio di sporcizie [...] su
cui sono stati gettati i cani morti e gli asini morti, e
dove sono sepolti i figli di Esaù (i cristiani) e
quelli di Ismaele (i musulmani); ivi sono sepolti
anche Gesù e Maometto, incirconcisi e immondi,
carogne di cani» 32.
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Trattato
Sanhedrin |
Zohar |
- Dopo la Sua morte,
Gesù Cristo fu venerato come Dio dai Suoi seguaci
George Elia Edzard, nel
libro Aboda zara 32 riferisce le seguenti parole del
commentatore dell'Ilcot acum 5. 3. di Maimonide:
«In molti punti del Talmud si fa menzione di Gesù Nazareno e
dei suoi seguaci. Nessuno all'infuori di lui è riconosciuto
come Dio dai gentili». Nel libro Scizzuc Emunà
(parte I, cap. 36) si legge 33:
«Da questo passo (Zc 12, 10) i cristiani
traggono argomento per confermare la propria fede dicendo:
"Ecco, testimonia il profeta che nei secoli futuri si
lamenteranno i giudei, lacrimeranno e piangeranno per avere
crocifisso e ucciso il Messia mandato loro, Gesù Nazareno,
eterno come Uomo e come Dio; e ciò lo esprimono con queste
parole: "E volgeranno lo sguardo verso colui che hanno
trafitto e piangeranno sopra di lui come si piange l'unico
figlio"». Nell'Ilcot melachim, IX, 4
34, Maimonide si sforza di
dimostrare quanto grandemente si ingannino i cristiani che
venerano Gesù. «Se tutto ciò che fece si compì
felicemente 35, se
costruì nel giusto luogo il Santuario e raccolse i dispersi
figli di Israele, Egli è veramente il Messia. Ma se fino ad
oggi ciò non gli è riuscito, o se fu ucciso, è chiaro che
egli non era il Messia che la Legge ci comandò di sperare.
Egli, in verità, è simile a tutti i Re morti della Casa di
Davide, integri e giusti, i quali Dio Santo Benedetto non
fece nascere ad altro fine se non per illuminare i molti,
così come è detto: "E quelli che avranno capito
trascineranno gli altri a purificarsi, a purgarsi e a
rendersi candidi fino al momento 36
della fine". Anche Daniele, in precedenza, con queste
parole 37 profetizzò di
Gesù Nazareno che si riteneva di essere il Cristo e per
sentenza del Sinedrio fu ucciso: "E i figli dei distruttori
del tuo popolo saranno elevati affinché appaiano saldi e
invece precipiteranno". Esiste avvenimento che sia di
maggiore importanza? Questo fu il detto di tutti i Profeti:
"Gesù Cristo libererà Israele e lo salverà e raccoglierà gli
scacciati suoi figli e confermerà le loro leggi". Mentre
invece quello (Gesù) fu tratto in causa per aver
voluto uccidere di spada Israele, disperdere le sue reliquie
e umiliarle; e ciò perché mutasse la Legge e la maggior
parte degli uomini fosse sedotta a servire un altro Dio. In
verità, a nessun uomo è dato di conoscere i pensieri del
Creatore, poiché non sono le stesse le sue strade e le
nostre, i suoi e i nostri consigli.
Certamente tutte le
istituzioni di Gesù Nazareno e degli israeliti che vennero
dopo di lui ad altro non sono rivolte se non a spianare la
strada al Messia Re e perché tutto il mondo si prepari a
servire il Signore così come è detto: "Allora volgerò ai
popoli il puro labbro affinché tutti invochino il nome di
Dio venerandolo universalmente" 38.
E allora? Già tutto il mondo è pieno della parola di Cristo,
e della Legge e delle dottrine, e si diffondono parole di
lode a Lui nelle lontane isole e fra molti popoli, chi
velato nel cuore e chi nella carne; ed essi parlano e
comunicano fra loro di queste cose che sovvertono la Legge,
e mentre alcuni dicono che i suoi insegnamenti furono veri,
ma poi cessarono di esserlo, altri aggiungono che vi sono in
queste cose non pochi misteri. Il Messia Re è venuto e ha
rivelato gli arcani. Ma quando veramente fosse giunto il
Messia, e le sue dottrine avessero prosperato ed egli fosse
stato innalzato ed esaltato, tutti si sarebbero convertiti e
conoscerebbero che le cose che accaddero furono false e
vane».
- Il crocifisso e l'Eucarestia
sono idoli
Nel trattato Aboda zara
21 a., Tosef., leggiamo: «È necessario che
studiamo su quale fondamento debbano basarsi in questi tempi
gli uomini quando vendono o affittano case ai gentili a
scopo di abitazione. Vi sono alcuni che pensano illecita la
vendita o l'affitto per il fatto che nel Tosefta è scritto:
"Nessuno darà in affitto la sua casa al gentile, sia in
terra d'Israele che fuori, perché è chiaro che egli vi porta
dentro l'idolo". Nondimeno, è lecito affittare loro stalle,
magazzini e botteghe, nonostante sia noto che in questi
luoghi introdurranno i loro idoli. La ragione è chiara:
perché si distingue fra il luogo nel quale l'idolo viene
introdotto in modo che abbia sede stabile, e il luogo nel
quale viene introdotto, ma non con sede fissa. Da qui la
liceità della cosa. Ora, i gentili fra i quali viviamo non
introducono nelle loro case l'idolo in modo che vi abbia
fissa dimora, ma soltanto quando vi si trovi un morto o
qualcuno sia in agonia; anzi, nemmeno in questi casi essi
compiono funzioni religiose. Date queste circostanze,
vendere od affittare case è lecito». Altrettanto dice
non meno chiaramente Rabbi Ascer nel suo commentario ad
Aboda zara 83 d: «Oggi che i gentili non usano
introdurre l'idolo nelle loro case se non quando uno di loro
giace ammalato, è lecito affittarle». Lo stesso Rabbi Ascer, nel medesimo libro, poco più sopra (83 b) dice:
«Oggi, essi usano bruciare incenso all'idolo». Tutte
queste cose e molte altre simili ad esse, ci tolgono ogni
dubbio sul fatto che i rabbini quando parlavano degli idoli
dei gentili, tra i quali essi vivevano a quei tempi in cui
non esistevano idolatri, non avevano dinanzi agli occhi se
non l'idolo dei cristiani, venerato o nelle specie
eucaristiche o nell'immagine della croce.
- Nota sulla croce
Nella letteratura ebraica non
si trova il nome che designa direttamente la croce dei
cristiani. La croce T, cui venivano appesi i condannati alla
pena capitale, presso i fenici e gli ebrei si chiamava
tau. Questo nome e questo simbolo vennero poi accolti
nell'alfabeto degli ebrei, dai greci e dai romani. Ma tra
gli ebrei la croce, venerata con tanto onore dai cristiani,
viene chiamata in diversi modi:
-
Tsurat attalui:
«figura dell'appeso» 39;
-
Elil: «vanità»,
«idolo»;
-
Tselem: «immagine».
Per questo motivo, anche i crociferi, nei libri degli
ebrei, sono chiamati tsalmerim;
-
Sceti veereb:
«ordito e trama»; nome derivato dall'arte tessile;
-
Cocab: «stella»,
per i raggi che si diramano dalle parti;
-
Pesila: «scultura»,
cioè «idolo scolpito».
Qualunque sia il nome con il
quale essi la chiamano, si deve sempre intendere in senso di
idolo o di cosa grandemente esecranda. L'Orac sciaim,
113, 8 afferma: «Se si presenterà un cristiano che ha in
mano la stella a un giudeo intento nella preghiera e il
giudeo sia al punto della sua orazione in cui è il momento
di inchinarsi, egli non si inchinerà. È lecito in questo
caso che il suo cuore sia diretto in cielo verso Dio,
affinché non sembri che egli sia inchinato dinanzi a
quell'immagine». Lo Iore dea 150, 2 dice : «Se
per caso, al cospetto dell'idolo si sia confitta una spina
nel piede di un ebreo, o gli sia caduta una moneta, egli non
si curverà per togliersi la spina o per raccogliere il
denaro, affinché non sembri che cada in adorazione
dell'idolo; sieda piuttosto o volti le spalle all'idolo e si
estragga la spina». Poiché simile diversivo non può
essere utilizzato dall'ebreo senza rischio, viene data una
regola sul come ci si debba comportare in tali occasioni.
Dice lo Iore dea 150, 3. Agà
40: «Davanti ai principî o ai
sacerdoti che hanno sopra le vesti la croce o che ne portano
sul petto l'immagine, come è abitudine di coloro che
comandano, non è lecito curvarsi o togliersi il copricapo.
Curerà tuttavia l'ebreo di negare questo onore senza che
nessuno si accorga del diniego. Per esempio, gettando a
terra delle monete o alzandosi in piedi prima che arrivino i
cristiani. In tal modo, si scoprirà e si inchinerà prima del
loro arrivo».
Gli ebrei distinguono la croce che si
venera dalla croce che si porta al collo in memoria di
qualche avvenimento o per semplice ornamento. La prima la
ritengono idolo, la seconda no. Afferma Iore dea 141,
1. Agà: «L'immagine della croce dinanzi alla quale
si inchinano i cristiani, dev'essere ritenuta come un idolo
e non è lecito usarne prima di distruggerla; invece,
la croce pendente dal collo per ricordo, non dev'essere
considerata un idolo; quindi, è lecito usarne senza
distruggerla. Il segno della croce fatto con le mani con il
quale i cristiani sono soliti segnarsi, viene chiamato in
lingua ebraica "movimento delle dita di qua e di là"»
41.
La dottrina di Gesù Cristo
Un seduttore e un idolatra
come Gesù Cristo non poté insegnare altro se non l'errore e
l'eresia, impossibili da praticare e da osservare.
- Gesù Cristo insegnò l'errore
L'Aboda zara 6 a.
Tosefot sentenzia: «Nazareno è chiamato chi segue
l'errore di colui il quale comanda di santificare il primo
giorno dopo il sabato».
- Gesù Cristo insegnò l'eresia
Nello stesso libro Idolatria (cap. I, 17 a.
Tosefot), si parla dell'eresia di Giacomo. Che questo
Giacomo altro non sia se non l'Apostolo di Gesù Cristo, lo
si deduce da alcune parole riferite poco più sotto. In
Aboda zara 27 b. si legge infatti: «Giacomo secanita,
uno dei discepoli di Gesù, com'è detto nel capitolo primo...».
Giacomo non predicava la propria dottrina, ma quella di Gesù
Cristo.
- La Legge di Cristo è
impossibile da osservare
L'autore del libro
Nizzascion 42, circa tale
espressione argomenta nel modo seguente: «I cristiani
hanno questa legge: "Se un ebreo ti percuote una guancia,
porgigli l'altra; in nessun caso dovrai restituirgli la
percossa"» 43. Al cap. VI,
v. 27, dello stesso libro è detto: «"Amate i vostri
nemici; beneficate i vostri avversari, benedite coloro che
vi esecrano, pregate per coloro che vi usano violenza; a chi
ti dà uno schiaffo su di una guancia, porgigli l'altra. A
chi ti porta via la toga, senza contrastare dagli anche la
camicia...". Ciò si può leggere anche presso il Vangelo di
Matteo (Mt 5, 39). Ma non mi è mai accaduto di
vedere dei cristiani comportarsi in tale maniera. E
perfino lo stesso Gesù non si comportò nel modo che aveva
insegnato agli altri. Ecco quello che troviamo presso il
Vangelo di Giovanni (Gv 18, 22), dov'è detto
che avendogli un tale dato uno schiaffo, Egli non gli porse
affatto l'altra guancia per essere nuovamente colpito, ma,
dopo il primo colpo, emozionato gli disse: "Perché mi
percuoti"? Si può leggere negli Atti degli Apostoli (At
23, 3): "Avendo il Pontefice ordinato di percuotere la
guancia di Paolo, questi non porse affatto l'altra guancia,
ma imprecando rispose: "Dio possa percuotere te...". Dunque,
questo modo di fare è un argomento a loro sfavore e
distrugge i fondamenti della loro religione, mentre essi
millantano che è cosa facile osservare la legge di Gesù
Cristo. Se dunque Paolo, che dev'essere considerato quasi al
pari di Gesù diffusore della dottrina, non fu in condizione
di obbedire al suo precetto, chi degli altri che credono in
Lui mi potrà convincere»? All'autore, nelle cui mani
erano i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, non poteva
sfuggire il vero senso nel quale Gesù aveva comandato di
porgere l'altra guancia a chi su di una fosse stato
percosso; come pure non può sfuggire il vero significato
delle Sue parole là dove dice 44:
«Se la tua mano ti dà scandalo, tagliala [...]. E
se il tuo piede ti dà scandalo, taglialo [...]. E se
il tuo occhio ti dà scandalo, cavatelo».
Peraltro,
nessuno, sia pur poco versato in Sacra Scrittura, pensò mai
di prendere alla lettera questi precetti. È dunque con somma
malizia e somma ignoranza dell'indole dei tempi nei quali
visse su questa terra il nostro Salvatore che gli ebrei,
spesso e volentieri anche oggi, traggono occasioni da questi
passi dei Vangeli per alterare la dottrina di Gesù
45.
CAPITOLO II
I CRISTIANI
In questo capitolo tratteremo
questi tre argomenti:
-
Con quali nomi vengono
chiamati i cristiani nel Talmud;
-
Chi sono i cristiani
secondo la dottrina degli ebrei;
-
Cosa dice il Talmud
del culto divino dei cristiani;
-
I nomi dei cristiani nel
Talmud.
Così come nella nostra lingua
i cristiani derivano il loro nome da quello di Gesù Cristo,
allo stesso modo, nella lingua talmudica, essi, da Gesù
Nazareno, sono chiamati notsrim 46.
Inoltre, essi sono chiamati con tutti quei nomi con i quali
nel Talmud sono designati i non-ebrei, come: aboda
zara, acum, obde elilim, minim,
nocrim, edom, amme aarez, goim,
apicorosim, cutim e tanti altri.
- Aboda zara
Parola che significa «culto
straniero» o «idolatria». In tal modo è chiamato
anche il trattato talmudico sull'idolatria. Da qui, il
termine obdè aboda zara, ovvero «cultori di
idolatria». Che le parole aboda zara significhino
veramente «culto idolatrico», frutto di grande
contaminazione per coloro che a tale pratica si dedicano,
appare manifesto nello stesso Talmud. Nel trattato
Aboda zara 3 a., Nimrod viene addotto come testimone che
Abramo non era stato cultore di idoli: «Venga Nimrod e
faccia testimonianza che Abramo non fu servo di "aboda
zara"». Certo è che ai tempi di Abramo non esisteva un
culto straniero, né degli ismaeliti, né dei nazareni, ma
soltanto il vero culto di Dio e l'idolatria. Lo stesso si
dice nello Sciabbat 82 a.: «Dice Rabbi Achiba: "Da
dove sappiamo che "aboda zara" contamina coloro che lo
praticano come può contaminare una donna immonda? Perché è
detto (Is 30, 22): "E allontanerai da te quelle cose così
come si allontana un'immonda donna mestruata. E le dirai:
fuori di qui"». Nel primo emistichio del medesimo
versetto 22 si fà menzione degli idoli d'oro e d'argento
47. Che anche i cristiani siano per
gli ebrei aboda zara lo dimostra chiaramente il
sapientissimo Maimonide. Leggiamo infatti in Aboda zara
78 c. Perusc': «E sappi che questa genia di
cristiani, che errano dopo la venuta di Gesù, sebbene la
loro dottrina sia varia e diversa, sono tutti cultori dell'"aboda
zara"».
- Acum
Questa voce è composta dalle
lettere iniziali delle parole Obdè Cocabim U Mazzolat
48, ossia «adoratori delle stelle
e dei pianeti». Così un tempo gli ebrei chiamavano i
goim, ritenendoli privi di ogni cognizione del vero Dio.
Da molti passi dei libri degli ebrei, e specialmente dallo
Sciulsian aruc, traspare chiaramente che la voce
acum designa i cristiani. Nell'Orac scixim 113,
8., vengono chiamati acum coloro che venerano la
croce.
Nello Iore dea 148, 5, 12 sono chiamati
adoratori delle stelle e dei pianeti coloro che celebrano la
festività di Natale e, otto giorni dopo, quella di
Capodanno. «Perciò, se si manda un dono ad un "acum" al
tempo dell'ottavo giorno dopo il Natale, giorno da essi
chiamato Capodanno...».
- Obdé elilim,
ovvero «servi degli idoli»
Questo nome ha il medesimo
significato del precedente (acum). Spesso con questo
nome sono chiamati i non-ebrei. Ad esempio, nell'Orac sicaim 215, 5 è detto: «Non siano pronunciate parole
di benedizione sopra gli aromi che appartengono ai servi
degli idoli». Tuttavia, nel tempo in cui fu pubblicato
lo Sciulscian aruc non vi erano acum, i
«cultori di stelle e di pianeti», né «servi degli idoli» se
non fra coloro presso i quali vivevano sempre gli stessi
ebrei. Così si esprime l'autore del commentario allo
Sciulc. aruc, intitolato Maghen Abraham, il
rabbino Calissense, morto in Polonia nel 1775, nella nota nº
8 al paragrafo 244 dell'Orac sciai, laddove permette
all'ebreo di compiere il lavoro nel giorno di sabato con
l'aiuto dell'acum: «Nella nostra città si discute
circa il prezzo per rimunerare gli adoratori delle stelle e
dei pianeti, i quali spazzino le vie e le piazze e
continuino il lavoro anche il giorno di sabato»
49.
- Minim, ossia «eretici»
Nel Talmud vengono
chiamati minim anche quegli eretici che possiedono i
libri detti Vangeli. Dice lo Sciabbat 116 a.:
«Rabbi Meir chiama i libri dei "minim" "aven ghilaion" ("volumi
di iniquità") per il fatto che essi li chiamano Vangeli».
- Edom, cioè «idumei»
Rabbi Aben Esdra, laddove ci
dice che l'Imperatore Costantino mutò religione e pose nel
vessillo l'immagine dell'«appeso», aggiunge queste parole:
«Perciò Roma è chiamata il Regno degli idumei». Rabbi Besciai, nel Cad
acchemasc' fol. 20 a., in Isaia (Is
66, 17), così si esprime: «Si chiamano "edomiti" coloro
che usano muovere le dita di qua e di là» (cioè coloro
che si fanno il segno della croce). Lo stesso Rabbi Besciai,
dopo le seguenti parole di Isaia, estratte dal passo già
citato, «i quali mangiano carne suina», aggiunge:
«Questi edomiti...». Rabbi Chimisci invece dice:
«Questi cristiani...». Rabbi Abarbinel, nell'opera
Masmia Iesciua 36 d., scrive: «Nazareni sono i
romani, figli di Edom».
- Goym, ovvero la
«gente» o il «popolo»
Gli ebrei definiscono goi
anche un uomo singolo, un «gentile»; goià è detta
la donna del gentile. Con questo nome sono talvolta chiamati
anche gli israeliti, anche se molto raramente
50. Molto spesso invece lo si usa
per identificare i non-ebrei, gli idolatri. Nei libri degli
ebrei che trattano dell'idolatria 51,
molte volte con il vocabolo goim sono chiamati i
cultori degli idoli. Per questa ragione, nelle più recenti
edizioni del Talmud 52
questa voce viene evitata ad arte e al suo posto si usano
altre denominazioni per i non-ebrei.
Oggi, tutti quelli che
hanno dimestichezza con loro, sanno che con il nome goim
si vuole, in lingua ebraica, identificare i cristiani. Non
lo negano nemmeno gli stessi ebrei. Tuttavia, essi nei loro
libri scritti in volgare cercano di dimostrare di non
attribuire nulla di male o di offensivo a questo termine
53. Ma a dire il vero, appare
manifesto il contrario nei libri scritti in lingua ebraica.
Nello Scioscen Ammispat 34, 22, ad esempio, il
vocabolo goi viene usato per significare «misura di
cattiveria»: «I traditori, gli epicurei e gli apostati
sono anche peggiori dei "goim"».
|
L'immagine blasfema di una Madonna con la testa di
mucca (!) è apparsa sul numero di maggio del 1997
della rivista scientifica ebraica Galileo.
Padre Iliyas 'Awdah, parroco della
comunità latina nella città di Raynah, nel distretto
di Nazareth, ha commentato questa immagine dicendo
che essa «tradisce una mentalità che vede negli
ebrei il popolo eletto di Dio e negli altri degli
stranieri di cui non si devono rispettare sentimenti
e sensibilità [...]. Se la cosa avesse avuto
a che fare con un'offesa agli ebrei tutti avrebbero
rumoreggiato e sarebbero ricominciate grida e
discorsi sull'antisemitismo, e ci sarebbe stato
chiesto di prosternarci per espiare» (cfr.
Al-Quds, Gerusalemme, del 5 luglio 1997, pag.
1s). |
- Nocrim, ossia
«forestieri» o «estranei»
Con questo nome viene
designato chiunque non sia ebreo, e quindi anche i
cristiani.
- Ammè aarez,
ovvero i «popoli della terra» o gli «ignoranti».
Alcuni dicono 54 che con questo
nome non siano designate persone forestiere ed estranee ad
Israele, ma soltanto gli uomini rozzi e incolti. Ma
viceversa, ci sono alcuni testi i quali non lasciano alcun
dubbio circa tale significato. Nella Sacra Scrittura (Esd
10, 2) è detto: «Noi abbiamo prevaricato contro il nostro
Dio e abbiamo sposato mogli straniere ("nocriot") che
appartenevano ai popoli della terra». Dal libro Zohar
I, 25 a., appare evidente che la definizione «popoli della
terra» denota anche gli idolatri. «Popoli della terra», od
obdé aboda zara (gli «idolatri»)
55.
- Basar vedam,
ossia «carne e sangue», vale a dire gli uomini carnali,
creature destinate alla perdizione, e quindi prive di
qualsiasi comunione con Dio. Che i cristiani siano chiamati
basar vedam risulta chiaro dal libro delle preghiere:
«Colui che vede un saggio o un erudito cristiano dica:
"Benedetto tu sia o Signore, Re dell'Universo, che hai
elargito la tua sapienza alla carne e al sangue"». Allo
stesso modo, in un'altra preghiera nella quale viene
scongiurato Dio affinché restituisca al più presto possibile
il Regno di Davide e mandi il Profeta Elia e il Messia, e
allontani per sempre la prigionia, essi chiedono di non
essere costretti alla povertà per non dovere accettare
regali dalla carne e dal sangue o istituire con essi scambi
o essere stipendiati 56.
- Apicorosim,
ossia «epicurei»
Sono così chiamati tutti
coloro che non osservano i precetti di Dio e giudicano le
cose della fede secondo il proprio beneplacito. Questo nome
si riferisce non soltanto agli stranieri, ma anche agli
stessi ebrei 57. Quindi, a
maggior ragione esso viene riferito ai cristiani.
- Cutim, ovvero
«samaritani»
Dal momento che oggi i
samaritani non esistono più, mentre nei più recenti libri
degli ebrei si fà spesso menzione dei cosiddetti cutei, chi
potrebbe dubitare che con questo nome essi non vogliano
intendere i cristiani? Peraltro, a proposito dei nomi con i
quali sono chiamati i non-israeliti, bisogna soprattutto
osservare questo, e cioè che gli scrittori ebrei adoperano
questi nomi promiscuamente e senza discriminazione quando
trattano lo stesso argomento esprimendosi quasi con le
stesse parole.
Ad esempio: nel trattato Aboda zara 25
b., viene usato il nome goim. Nello Sciulsan aruc,
nella parte Iore dea 153, 2., viene invece usato
acum. Il Cheritut 5 b. usa goim; lo
Iebammot 61 a. usa nocrim; il Ghittin 45
b. usa nocri; l'Orac sciaim 3 c, 1. usa
acum; l'Aboda zara 2 a., usa obdé elilim;
il Thosef usa goim; l'Obdé aboda zara e
lo Scioscen ammispat 388, 15. (edizione veneziana),
usano cutim, mentre l'edizione slava usa acum.
E qui gli esempi si potrebbero moltiplicare. Maimonide, nel
suo libro sull'idolatria, chiama senza alcuna
discriminazione gli idolatri goim, acum,
obdé cocabim, obdé elilim, ecc...
Chi sono i cristiani secondo la
dottrina talmudica?
Nel capitolo precedente,
abbiamo visto in che considerazione gli ebrei tengano
l'Autore della religione cristiana e quanto si adoperino
affinché il Suo Nome sia detestato. Nessuno dopo di ciò si
aspetterà che essi abbiano migliore opinione di coloro che
essi considerano caduti nell'errore dopo Gesù Nazareno. Tra
le cose abominevoli niente è più abominevole di ciò che essi
pensano e dicono dei cristiani.
Essi li chiamano: idolatri,
pessimi uomini, assai peggiori dei musulmani, omicidi,
puttanieri, animali impuri, contaminati come lo sterco,
indegni di essere chiamati uomini, bestie in forma umana,
vere bestie, buoi e asini, porci, cani, peggiori dei cani.
Dicono anche che essi si propagano come le bestie, che sono
di origine diabolica, che le loro anime derivano dal
diavolo, e che al diavolo nell'inferno ritorneranno dopo la
morte; perfino il cadavere di un cristiano non dev'essere
distinto dalla carogna di una bestia scannata.
- I cristiani sono idolatri
Siccome i cristiani seguono la
dottrina di «quell'uomo», che per gli ebrei era un seduttore
e un idolatra, e lo adorano come Dio, è chiarissimo che essi
devono essere chiamati con il vero nome di idolatri, non
dissimili da coloro con i quali gli ebrei abitavano prima
della nascita di Gesù Cristo e che avevano avuto il precetto
di sterminare in ogni modo.
Ciò è chiaramente provato dai
nomi con i quali sono chiamati i cristiani, nonché dalle
evidentissime parole di Maimonide, le quali dimostrano che
tutti coloro i quali recano il nome di cristiani, altro non
sono se non idolatri. Ma anche i libri ebraici di edizione
più recente che trattano ai nostri giorni «degli adoratori
delle stelle e dei pianeti», dei «samaritani», degli
«epicurei», ecc..., non vogliono significare altro con
queste parole se non i cristiani. Infatti, i musulmani
ovunque sono chiamati con il nome di «ismaeliti» e non con
quello di idolatri.
- I cristiani sono peggiori
dei musulmani
Nell'Ilcot macalot asavorot
(cap. IX) 58, Maimonide
dice: «Non è lecito bere il vino del proselita avventizio
quale è colui che, come già dicemmo, pratica i sette
precetti dei figli di Noè 59. È
tuttavia concesso trarre un certo vantaggio dal suo vino. Ed
è permesso soltanto lasciarlo, ma non portarlo presso di
lui. In questa maniera bisogna comportarsi con tutti i
gentili che non sono idolatri come gli ismaeliti. Non è
lecito bere il loro vino. È permesso invece all'ebreo trarne
comunque vantaggio. E in ciò convengono tutti i più
eccellenti rabbini. Ma essendo i cristiani idolatri, dal
loro vino non è lecito ricavare alcun vantaggio».
- I cristiani sono omicidi
Dice l'Aboda zara 22
a.: «L'ebreo non si accompagnerà ai gentili, essendo essi
sospetti d'aver sparso sangue». Lo stesso in Iore dea
153, 2: «L'israelita non si accompagnerà con il cristiano
("acum") essendo esso sospetto d'aver sparso sangue». L'Aboda
zara 25 b. dice: «I rabbini insegnarono: "Se un
israelita dovrà camminare per strada con un cristiano
("goi") ponga quest'ultimo dal suo lato destro»
60. Rabbi Ismael, figlio di Rabbi
Ioscianan, nipote di Beruca, soggiunge: «Se il cristiano
("goi") ha al fianco la spada, ponetelo al lato destro
61. Se egli porta un bastone,
ponetelo al lato sinistro 62.
Se dovete salire dei gradini e scendere per un luogo in
pendenza non stia l'ebreo sotto e il cristiano ("goi")
sopra, ma l’israelita sopra e il cristiano ("goi") sotto, né
l'ebreo dovrà piegarsi davanti a lui per non toccare
accidentalmente con la propria testa il cranio dell'altro.
Se infine il cristiano domandi dove vada, l'ebreo dovrà
indicargli una strada molto più lunga, come si regolò
Giacobbe padre nostro con l'empio Esaù dicendo: "Fino a che
io arriverò dal mio signore nel Seir"
63; e subito nello stesso passo viene detto:
"Giacobbe invece partì per il Sucot"». Nell'Orac
sciaim 20, 2. È scritto: «Non bisogna vendere al
cristiano ("acum") un'uniforme ufficiale ("talit") affinché
questi, capitato per caso ad incontrarsi per strada con un
ebreo non lo uccida. È anche vietato scambiare o prestare
un'uniforme al cristiano se non per breve tempo, in modo che
non ci sia nulla da temere».
- I cristiani sono
puttanieri e praticano la bestialità
L'Aboda zara 15 b.
afferma: «Non bisogna porre nelle stalle dei cristiani ("goim")
bestie di sesso maschile con gli uomini, né bestie di sesso
femminile con le donne. Tanto meno è lecito porre nelle loro
stalle bestie di sesso femminile presso gli uomini o di
sesso maschile presso le donne. Non è neanche lecito
affidare le greggi ai loro pastori, né unirsi a loro, né
affidare loro i fanciulli perché imparino da essi le lettere
o un mestiere».
La ragione per la quale non è lecito
porre bestie nelle stalle dei gentili, né unirsi con loro,
viene spiegata nello stesso trattato poco dopo. Afferma l'Aboda
zara 22 a.: «Non bisogna porre bestie nelle stalle
dei cristiani ("goim") essendo questi sospetti di coito con
gli animali, né si deve unire una donna con loro, sospetti
come sono di concupiscenza». Inoltre, la ragione precisa
per la quale non è lecito porre bestie di sesso femminile
presso le donne, viene spiegata nello stesso foglio 22 b.:
«Perché è noto che i gentili quando vanno nelle case del
loro vicino per sedurre le mogli altrui, e non le trovano in
casa, copulano con le bestie. Non solo, ma anche quando
trovano in casa la moglie del loro vicino copulano anche con
le bestie. Poiché sono loro più gradite le bestie
israelitiche che non le proprie donne». Per la medesima
ragione non è lecito affidare bestie a pastori, né fanciulli
a precettori cristiani.
- I cristiani sono immondi
I cristiani (goim) sono
chiamati nel Talmud immondi per un duplice motivo:
sia perché essi mangiano cose immonde, sia perché non sono
stati purificati dal peccato originale presso il Monte
Sinai. Dice lo Sciabbat 145 b: «Perché i cristiani
sono immondi? Perché mangiano cose abominevoli e vili».
Lo stesso si afferma in Aboda zara 22 b: «Perché i
cristiani sono immondi? Perché non furono purificati al
Monte Sinai. Poiché quando il serpente giacque con Eva la
insozzò. Cessò il peccato per gli ebrei che furono
purificati al Monte Sinai, ma non per i cristiani che non
erano andati presso il Monte».
- I cristiani sono simili
allo sterco
Dice l'Orac sciaim 55,
20: «Quando siano in uno stesso luogo dieci ebrei in
orazione e pronuncino le parole "caddisc'" o "chedoscià",
chiunque non appartenga alla loro religione può rispondere
"amen". Alcuni rabbini tuttavia aggiungono: "Purché non vi
sia lì vicino né sterco, né cristiani». Aggiunge lo
Iore dea 198, 48. Agà: «Le donne ebree devono
aver cura, quando escono dal bagno, di incontrare una loro
amica e non una cosa immonda o un cristiano. In questo
secondo caso, se la donna israelita vuole essere veramente
purificata si deve nuovamente lavare». È degno di nota
l'elenco delle cose immonde nel Biur etib,
commentario allo Sciulsc. In questo stesso passo l'Aruc
afferma: «La donna dovrà lavarsi di nuovo se ha visto
cose immonde, come: cani, asini, popolo della terra,
cristiani, cammelli 64,
scrofe, cavalli o lebbrosi».
|
Nel
dicembre del 2008 ha avuto luogo a Tel Aviv il
Love Day Sex Festival, una manifestazione di tre
giorni segnata da diverse esibizioni come quella in
fotografia: un uomo crocifisso (una chiara allusione
blasfema a Cristo) con due donne seminude che
ballano lascivamente con grosse croci al collo. |
- I cristiani non sono
uomini, ma sono simili alle bestie
Nel Cheriut 6 b. (pag.
78) è scritto: «Dice la dottrina dei rabbini: "Colui che
sparge l'olio dell'unzione sopra la bestia, sopra il
cristiano e sopra i morti è libero dalla pena". Quanto alla
bestia ciò è vero, poiché essa non è un uomo»
65. Ma ungendo un cristiano come può
dirsi di essere libero dalla pena essendo egli stesso un
uomo?
Nient'affatto, poiché è scritto 66:
«Voi o gregge mio, o gregge del mio pascolo, siete
uomini. Voi siete chiamati uomini, non i cristiani"»
67. Nel trattato Maccot 7 b.
si parla del reo di omicidio: «Tranne il caso nel quale
un ebreo volendo uccidere una bestia uccida un uomo o
volendo uccidere un cristiano uccida un israelita».
Afferma l'Orac sciaim 225, 10: «Chi abbia veduto
belle creature sebbene siano cristiani o bestie [...]
dica: "Benedetto tu o Signore Dio nostro Re dell'Universo
nel cui mondo sono tali cose"».
- I cristiani sono diversi
dalle bestie soltanto nell'aspetto
Dice il Midrasc' Talpiot,
fol. 255 d. 68: «Dio li creò
in forma di uomini in onore d'Israele, poiché i cristiani
non furono creati ad altro fine se non a quello di
servire gli ebrei giorno e notte, né mai dev'essere loro
concesso riposo e cessino da simile servizio. Sconviene al
figlio del re (l'israelita; N.d.A.) che lo servano
vere bestie, ma è conveniente che lo servano bestie in
forma umana». A questo proposito, si può riportare
ciò che si legge nell'Orac sciaim 376, a: «Se si
spargerà la lebbra fra i porci, bisognerà digiunare e
dolersi, perché i loro intestini sono simili a quelli dei
figli degli uomini; quanto maggiormente ci si dovrà dolere
se la lebbra imperverserà fra i cristiani ("acum")»
69.
- I cristiani sono bestie
Afferma lo Zohar II, 64
b: «I popoli adoratori di quegli idoli che si chiamano
bue ed asino secondo quanto è scritto: "Io ebbi il bue e
l'asino"». Osserva Rabbi Besciai, al cap. I del libro
Cad acchemasc, che comincia con la parola ghèulà,
ossia «redenzione», nel punto del Salmo 80, versetto 14:
«"Ed essa fu consumata dal cinghiale selvatico". La lettera
"ain" è sospesa, perché così sono gli adoratori di colui che
fu appeso» 70.
Questo
autore vuole con la locuzione «cinghiale selvatico»
intendere i cristiani perché questi mangiano i porci, e come
porci devastarono la vigna d'Israele, la città di
Gerusalemme, e perché la lettera ain, nella succitata
voce, è come sospesa nella parola, quasi a significare che
in tal modo sono sospesi gli adoratori di Gesù Cristo appeso
alla croce. Mordacità ebraica! 71.
Così si esprime Rabbi Edels, nel Chetubot 110
b. 31: «Il salmista paragona il cristiano all'immonda
scrofa selvatica».
|
Il
sottotitolo del film sull'Olocausto Schindler's
List (Universal 1993), diretto dal famoso
regista ebreo americano
Steven Spielberg,
è una frase estratta dal Talmud (Sanhedrin,
37 a) che direbbe: «Chiunque salva una vita umana
è come se avesse salvato il mondo intero». In
realtà, il Talmud, che considera i goim
non come esseri umani, ma come bestie, si esprime in
modo ben diverso. Per sincerarsene è sufficiente
dare uno sguardo all'home page sulla rete
dell'associazione ebraica Jews For Judaism
(«Ebrei per il giudaismo»), dov'è riportata la
stessa frase, ma un po' diversa: «Whoever saves a
single Jewish soulis as if he saved an entire world»
(«Chiunque salva una sola vita ebraica è come
se avesse salvato un mondo intero»). Viene da
chiedersi chi sia veramente razzista... |
- I cristiani sono peggiori
delle bestie
Rabbi Schlomo Iarci (Rasci),
celeberrimo commentatore ebreo, spiegando la Legge di Mosè (Dt
14, 21) circa la proibizione di mangiare le carni di carogne
dilaniate dalle bestie, ma della facoltà di darle allo
straniero, o di venderle agli estranei, oppure, secondo il
Libro dell'Esodo (Es 22, 30), di gettarle ai
cani, nelle ultime parole «e gettatele ai cani» così
si esprime: «Perché egli è come un cane. Bisognerà forse
intendere la parola "cane" nel vero senso? Nient'affatto.
Dice il testo parlando della carogna: "Vendila allo
straniero"; tanto maggiormente ciò varrà per le carni
dilaniate dalle bestie, dalle quali, tuttavia, è lecito
trarre vantaggio. Stando così le cose, perché la Scrittura
dice "le getterai al cane"? Per farti sapere che il cane
è più onorevole del cristiano» 72.
- I cristiani si
riproducono come le bestie
Dice il Sanhedrin 74 b.
Tosefot: «Il coito del cristiano è come il coito
della bestia». Aggiunge il Chetubot 3 b.
Tosefot: «Il suo seme (del "goi") dev'essere stimato
come il seme di una bestia». Da cui si può arguire che i
matrimoni dei cristiani non devono essere considerati veri
matrimoni. Dice il Chidduscin 68 a.: «Da dove
trarremo noi tale verità? Dice Rabbi Una: "Leggi; restate
qui con l'asino, cioè con il popolo simile all'asino". Da
queste parole appare manifesto che essi non sono capaci di
contrarre matrimonio». Ancora in Eben aezer
44, 8: «Se il giudeo contrae matrimonio con una cristiana
o con una serva, esso è nullo non essendo essi capaci di
contrarre matrimonio; similmente, se un cristiano o un servo
sposerà un'ebrea il matrimonio è nullo». Aggiunge lo
Zohar II, 64 b.: «Dice Rabbi Abba: "Se soltanto gli
idolatri copulassero, il mondo (degli uomini) non potrebbe
sussistere. Da ciò siamo avvertiti che l'ebreo non deve
lasciare alcun luogo a questi pessimi ladroni, Poiché se
costoro si riproducessero maggiormente sarebbe impossibile
esistere a causa di essi, dal cui fianco si origina una
figliolanza che si chiama "cane"».
- I cristiani sono figli
del diavolo
Afferma lo Zohar I, 28
b.: «E il serpente era il più furbo di tutte le bestie
del campo 73 [...]. "Più
furbo" per compiere il male. "Fra tutte le bestie", cioè fra
tutti i popoli idolatri della terra. Poiché questi sono
figli dell’antico serpente che sedusse Eva»
74. Il fatto che i cristiani non
siano circoncisi, è un ottimo argomento per gli ebrei per
considerarli di stirpe diabolica; infatti, il prepuzio dei
non-ebrei impedisce che i prepuziati vengano chiamati figli
di Dio Onnipotente. Poiché con la circoncisione viene
segnato e completato il nome di Dio «Sciaddai» sulla
carne dell'ebreo circonciso. Nelle narici infatti è
rappresentata la lettera «c»; nel braccio la lettera «d»;
nella circoncisione la lettera «y». Quindi, nelle genti non
circoncise, quali sono i cristiani, appaiono solamente le
due lettere «dc», che significano sced, ossia
«diavolo». Essi sono dunque i figli di sced, cioè
figli del diavolo 75.
- Le anime dei cristiani
sono empie e immonde
La dottrina degli ebrei
insegna che Dio Benedetto creò una duplice natura; quella
buona e quella cattiva. Un doppio ceppo: il puro e
l'immondo. Da questo ceppo immondo che essi chiamano
chelifà, ovvero «corteccia», «pelle» o «crosta rognosa»,
dicono provenire le anime dei cristiani. Dice lo Zohar
I, 131 a.: «Gli altri popoli idolatri, fintanto che sono
in vita, insudiciano perché le loro anime provengono dal
ceppo immondo». Conferma l'Emec ammelec 23 d.
76: «Le anime degli empi
provengono dal "chelifà", che si chiama anche morte e ombra
di morte».
Che questo ceppo immondo sia di origine
sinistra e che appunto da esso provengano le anime dei
cristiani, appare dallo Zohar I, 46 b, 47 a.: «E
Dio creò ogni anima vivente e incedente, cioè gli israeliti,
perché essi sono i figli dell’Altissimo e le loro anime
sante promanano da Lui. Qual'è invece l'origine delle anime
di tutte le altre genti idolatre? Dice Rabbi Eliezer che
esse provengono dal lato sinistro, che rende immonde le loro
anime e per questo sono tutte sozze e sporcano coloro che le
avvicinano».
- Dopo la morte le anime
dei cristiani discendono all'inferno
Insegnano i sapienti che
Abramo siede alla porta della geenna (l'«inferno»)
per impedirne l’accesso ai circoncisi. Tutti i prepuziati
discendono invece all'inferno. Insegna infatti il Rosc’
ascianac 17 a.: «Gli eretici, i traditori e gli
epicurei discendono all'inferno».
- I corpi dei cristiani
morti sono solo carogne
I corpi dei cristiani dopo la
morte sono chiamati con l'odioso nome di pegarim,
nome che nel sacro codice viene spesso usato per
identificare i cadaveri degli empi o delle bestie, e mai per
denominare i morti in grazia, i quali sono viceversa
chiamati metim 77.
Perciò, il Sciulsan aruc ci insegna che tanto vale
parlare del morto cristiano come di una carogna. Dice lo
Iore dea 377, 1.: «Per i servi o le serve morte non
si dicano parole di consolazione ai loro padroni, ma
soltanto: "Dio ti ricompensi del danno che soffri", così
come diciamo ad un uomo quando gli sia morto un bue o un
asino».
Allo stesso modo, non devono essere evitati per
sette giorni, come insegna la Legge di Mosè, coloro che
seppelliscono un cristiano, perché essi non hanno sepolto un
uomo, e seppellire una bestia non comporta contaminazione.
Insegna lo Iebammot 61 a.: «Coloro che
seppelliscono un cristiano non si contaminano verso Dio,
poiché è detto: "Voi, o gregge mio, o gregge del mio
pascolo, siete uomini; voi siete chiamati uomini, non il
cristiano».
Il culto divino dei cristiani
Siccome per gli ebrei i
cristiani sono come i pagani, ogni loro culto è considerato
idolatrico. I loro sacerdoti sono chiamati «sacerdoti di
Baal»; i loro templi «case di fatuità e di idolatria»;
ogni loro paramento, calici e i libri sacri sono per essi
strumenti di idolatria; le loro preghiere pubbliche e
private sono peccati che offendono Dio, e le loro feste
giorni inutili.
- I sacerdoti
Di coloro che amministrano il
culto divino dei cristiani, i sacerdoti, parla il Talmud
come di ministri idolatrici e baalitici e li chiama
comarim 78, ossia «aruspici»
79 e galascim, cioè «chiericuti»,
a causa della chierica che portano sul capo, specialmente
quando si tratta di monaci. Dice l'Aboda zara 14 b.
Tosefot: «È proibito vendere agli aruspici i libri
profani che possono occorrere per compiere fatui riti nella
casa idolatrica. Chi lo fà pecca contro la Legge che vieta
di porre impedimenti al cieco. È anche proibito venderli al
cristiano ("goi") laico, perché certamente costui si
affretterà a darli o a venderli ai sacerdoti».
- Le chiese
A seconda dei casi, il luogo
del culto cristiano viene chiamato:
-
Bet tiflà, ovvero «casa
di fatuità» 80 e «di
insulsaggine», invece di bet tefilà, ossia «casa
di preghiera»;
-
Bet aboda zara,
cioè «casa dell'idolatria»;
-
Bet atturaf scel letsim,
ovvero «casa della turpitudine» o «del
disprezzo» 81.
Dice infatti l'Aboda zara
78 d. Perusc' Maimon: «E ti sia noto che è
indubbiamente proibito dalla Legge passare per una strada
cristiana nella quale vi è la fatuità, cioè la casa
dell'idolatria, e tanto meno abitarvi. È in forza dei nostri
peccati che noi oggi siamo sottomessi a loro e abitiamo
oppressi nella loro terra. Poiché si compie in noi ciò che è
detto 82: "E qui
onorerete dèi stranieri, fatti dalla mano degli uomini con
la pietra e con il legno". Se dunque è necessario che noi ci
comportiamo nel modo suddetto verso la città cristiana, a
maggior ragione così dobbiamo comportarci verso la sede
dell'idolatria, la quale se non ci è nemmeno concesso di
vedere, tanto meno ci sarà concesso di entrarvi. E non
soltanto entrarvi, ma neanche avvicinarci alla chiesa se non
in qualche caso». Conferma lo Iore dea 142, 10.:
«È vietato all'ebreo stare all’ombra della casa
idolatrica, sia all'interno che all'esterno per lo spazio di
quattro cubiti dinanzi alla porta principale. Non è vietata
invece l'ombra retrostante la chiesa. E nemmeno è proibita
l'ombra interna se la chiesa sorge in un luogo dove prima
c'era una via pubblica e, dopo che fu sottratta alla
comunità, vi fu edificata una casa idolatrica. Sempre strada
dev'essere considerata. Se invece dov'è stata edificata una
casa degli idoli è stata aperta una strada, non è lecito
passarvi. Alcuni, tuttavia, lo vietano in entrambi i casi».
Inoltre, non è lecito all'ebreo né ascoltare la musica, né
ammirare le bellezze delle chiese. Insegna lo Iore dea
142, 15.: «È proibito ascoltare la musica del culto
idolatrico, guardare le fattezze degli idoli, le immagini
scolpite o dipinte, nonché gli stessi edifici ecclesiastici,
poiché anche per mezzo degli occhi si può essere contagiati
dal male dell'idolatria». Allo stesso modo, non è lecito
all'ebreo possedere edifici vicino alla chiesa, né
restaurare vecchi edifici di suo possesso. Dice lo Iore
dea, 143, 1.: «Se crollerà una casa attaccata alla
casa degli idoli dei cristiani, non è lecito ricostruirla.
Cosa si dovrà fare? In tal caso, il giudeo si deve
allontanare e ricostruirla, e riempire lo spazio interposto
di sterco e di spine, affinché non rimanga spazio per
ampliare la casa idolatrica».
|
13
giugno 2011 (*): le telecamere
di sorveglianza del Santuario del Primato di San
Pietro, sulle sponde del Lago di Galilea, riprendono
uno spettacolo orribile: piccoli ebrei ortodossi
sputano sulla Croce di Gerusalemme posta sul portone
del luogo sacro. Ecco come vengono educati al
rispetto e alla tolleranza i giovani israeliani...
(*)
Il filmato di questo evento è disponibile alla pagina web
http://www.youtube.com/watch?v=s71S5ez7508 |
Sarà quindi opportuno
riferire dal libro Nizzascion 83
ciò che ha dichiarato a proposito di una chiesa cristiana un
certo Rabbi Chelonimo, al quale l'Imperatore
Enrico III il Nero (1017-1056) diede il permesso di
esprimere liberamente il suo parere circa la Basilica di
Spira da lui costruita da poco. «Accadde una volta in
Spira che l'Imperatore Enrico il Nero, uomo perfido, dopo
che ebbe finito di costruire la fabbrica di quel baratro
84 informe in Spira, comandò di
chiamare Rabbi Chelonimo, al quale disse: "Di grazia, che
cos'è lo splendore del tempio di Salomone a proposito del
quale sono stati scritti tanti volumi, di fronte a questa
Basilica che ho costruito"? Chelonimo rispose: "Signore, se
mi concedi libertà di parlare, e con giuramento mi confermi
che io potrò impunemente dire quello che penso, io parlerò".
Gli rispose l'Imperatore: "Faccio pegno di fede per l'amore
della verità che mi possiede e per la somma dell'Impero che
io reggo, che non ti accadrà alcun male". Allora l'ebreo
disse: "Se si sommassero tutte le spese che hai sostenuto, e
tutto l'oro e l'argento che si conserva nei tuoi forzieri,
ciò non sarebbe tuttavia sufficiente nemmeno a remunerare
gli operai, gli artigiani e i capimastri che adoperò
Salomone per l'edificazione del tempio. Poiché è scritto
85: "Salomone aveva 70.000
caricatori e 80.000 marmisti". E nel Libro delle Cronache
86 sta scritto: "Tremilaseicento
uomini erano preposti a tenere indietro il popolo".
Occorsero otto anni soltanto per le fondamenta del tempio,
quanti non sono occorsi a te per innalzare dalle fondamenta
questa voragine. Una volta che il tempio fu costruito e
completato da Salomone, ascolta quello che testimonia la
Scrittura 87: "I sacerdoti
non potevano rimanere a compiere il loro ministero a causa
di quella nube di cui la gloria di Dio aveva riempito la Sua
stessa casa". Ma se invece qui fosse caricato un asino di
luridissime immondizie e fosse introdotto in questa
voragine, ne uscirebbe illeso"! A queste parole,
l'Imperatore Enrico rispose: "Se io non avessi giurato di
salvarti la vita, comanderei subito che ti mozzassero il
capo"».
- I calici
Dei calici che sono adoperati
per il rito sacrificale della Messa essi parlano come di
vasi nei quali si somministrano all'idolo cose immonde.
Insegna Moses Cozzensis nell'Ilcot aboda zara 10 b.
48: «I calici che l'ebreo compra dopo che il cristiano li
ha rotti e gettati, non debbono essere venduti nuovamente a
loro perché il sacerdote baalitico se ne serve per compiere
riti fatui all'idolo».
- I libri dei cristiani
Nel Talmud, i libri dei
cristiani sono chiamati sifre minim, ossia «libri
eretici», o anche sifre debet abidan, ovvero «libri
della casa di perdizione» 88,
e specialmente quando nel Talmud si parla dei
Vangeli. Dice infatti lo Sciabbat 116 a. Tosefot:
«Rabbi Meir chiama i libri degli eretici "aaven ghilaion"
("volumi di iniquità") appunto perché i cristiani
chiamano i loro libri "Vangeli"». Rabbi Ioscianan,
inoltre, nello stesso libro, li chiama aavon ghilaion,
e cioè «libri inutili». Lo Sciulscian aruc di
Cracovia dà la seguente spiegazione a queste parole ebraiche
Aaven nictab al agghilaion: «Vanità (o "iniquità")
89 scritta nel libro». Annota
il Buxtorf: «In un manoscritto di Aruc ho letto queste
parole ebraiche: "Sceccher nictab al ghilaion", ossia
"menzogna scritta nel libro"». Tutti i talmudisti sono
unanimi nel dire che i libri dei cristiani devono essere
distrutti. Non sono invece tutti d'accordo sul da farsi a
proposito del nome di Dio che molto spesso in essi è
scritto. Dice lo Sciabbat 116 a.: «Se per caso
hanno preso fuoco in giorno di sabato gli orli dei nostri
libri, e quelli del libro degli eretici, non debbono essere
liberati dal fuoco. Afferma Rabbi Iose: "Nei giorni di
lavoro bisogna estrarre i nomi divini dai libri dei
cristiani e nasconderli; quel che avanza sia dato alle
fiamme". Ma Rabbi Tarfon invece disse: "Possa io
sopravvivere ai figli miei se non appena mi saranno venuti
fra le mani i libri dei cristiani non li brucerò con tutti i
nomi divini che essi contengono. E se qualcuno si troverà in
pericolo di morte o perché inseguito da un sicario o perché
attaccato da un serpente, dovrà rifugiarsi piuttosto in un
tempio pagano che in una di queste chiese, poiché i
cristiani lottano consapevolmente contro la verità, mentre i
pagani lo fanno incoscientemente"» 90.
- Le preghiere cristiane
Gli ebrei chiamano le
preghiere dei cristiani non tefillà, ma, cambiata la
punteggiatura e inseritovi uno iod, le chiamano con
il nome di tiflà, parola che significa
«insulsaggine», «fatuità», «peccato» o «trasgressione».
- Le festività cristiane
I giorni festivi di coloro che
seguono Gesù Cristo, e fra questi principalmente la
domenica, sono chiamati dagli ebrei iom ed, ovvero «giorno
di morte», «di perdizione», «di infortunio», «di
disgrazia», o più semplicemente iom notsri, vale
a dire «giorni dei cristiani». Che la parola ed debba
essere interpretata rettamente «giorno rovinoso» o
«sfortunato», appare chiaramente dalla Ghemara e
dalle glosse di Maimonide e di Bartenora
91 nell'Aboda zara
2 a.: «"Edeem" sono le feste
dei gentili perché sta scritto 92: "Prossimo è il giorno "edam",
e cioè della loro
perdizione». Nello stesso luogo, la parola tabra, ossia
«frattura», si dice
essere equivalente. Insegna infatti Maimonide (ad. C. I. fol.
2 a. Aboda zara 78 c.): «Con la voce "edeem" viene denominata la vanità
dei cristiani
("goim") e anche il nome ignominioso dei loro giorni
festivi, i quali non
devono essere onorati con il nome di festivo ("moedim") non
essendo in verità se
non giorni di pura vanità». Lo stesso insegna Bartenora:
«La
parola "edeem"
è la denominazione ignominiosa delle loro feste e delle loro
solennità». Che con
questo nome si chiamino le festività dei cristiani, si
deduce anche dal
testo delle annotazioni marginali al Tosefot. Afferma l'Aboda
zara 6 a.: «Il
giorno della rovina, cioè il giorno Nazareno deve ritenersi proibito
così come gli altri giorni rovinosi dei cristiani». Sono
anche ricordate
con il proprio nome alcune feste dei cristiani come quella
della Natività
di Gesù Cristo e della Pasqua. Mosè Miccozzi
93, al testo Aboda zara appena
ricordato annota: «Dichiara Rabbi Samuele nel nome di
Salomone Iarci
che sono in primo luogo proibiti i giorni della natività ("nithal")
e della pasqua
("chesasc'"), giorni particolarmente rovinosi dei cristiani
e principali della loro religione». Queste cose si
leggono anche nelle interpretazioni dell'Ilcot acum
di Maimonide C. IX 55: «In queste parole, Rabbi Samuele,
figlio di Meir, per bocca di Rabbi Salomone Iarci riferisce
che in primo luogo le feste di natale ("nithal") e di pasqua
("chesasc'") devono essere proibite perché esse si celebrano
in onore di colui che fu appeso».
L'indizio chiaro
dell'empietà ebraica sta nella stessa nomenclatura di queste
feste. Poiché il giorno della Natività di Gesù Cristo, che
qualche volta scrivono adoperando la lettera tav dove
la parola ebraica nithal, spesse volte scrivono
invece adoperando la lettera tet, e lo chiamano
nital (senza la «h»). Inoltre, lo chiamano anche con la
voce latina Natalis, ma corrotta in modo che sia
chiaro agli ebrei che essa deriva dalla radice natal,
che significa «strappo» o «estirpazione».
Stimano nome
indegno la Pasqua dei cristiani e la chiamano Pesasc';
qui le lettere phe sono sostituite dalle lettere
cof, con l'inserimento di uno iod onde
allontanarle maggiormente dal significato genuino. La
chiamano anche chetsasc' o chesasc'. Ad
entrambi i nomi si deve dare significato di «velenosità».
Infatti, nella parola chetsasc' le prime due lettere
sono estratte dalla radice catsà, che significa
«tagliò» o «amputò». Con la parola chesasch si allude
invece al termine simile chesa, che può significare o
«legno» o «patibolo», e ciò perché il giorno di Pasqua viene
celebrato in memoria della Resurrezione dopo la morte in
croce di Gesù Cristo, che essi chiamano con il nome talui,
ovverosia l'«appeso».
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Sopra:
a sinistra, la comica ebrea statunitense Sarah
Silverman mostra divertita una tavoletta
magnetica con cui è possibile vestire Gesù
crocifisso da diavolo, da donna, da ballerina,
ecc... Nel 2005, questa attrice ha portato in
tour uno spettacolo dal titolo Jesus Is
Magic («Gesù è magico»), dal quale è
stato ricavato un DVD (vedi copertina a destra), un
vero concentrato di volgarità che non risparmia
nemmeno i bambini. Durante lo show (intorno
al 72º minuto), la Silverman (che ha una sorella
rabbina femminista) parla dell'uccisione di Cristo
in questi termini: «Spero che siano stati
proprio gli ebrei ad uccidere Cristo. Lo
rifarei, c...zo, lo
rifarei in questo istante»!
Uno
spezzone di questo show con sottotitoli in
italiano è presente alla pagina
http://www.youtube.com/watch?v=nHfTeaXmsLA |
Sarah Silvermann
- Jesus Is Magic