di
Edouard Pertus
1
I
INTRODUZIONE GENERALE
Attualità
dell'islam
L'islam è in piena espansione;
dal Senegal alla Nuova Guinea, per un raggio di circa 20.000
chilometri, i Paesi islamici cinturano il globo; diverse
centinaia di milioni di musulmani (400 secondo alcuni, 800
secondo il quotidiano Le Point del 13 marzo 1984),
ricchi del petrolio racchiuso nei loro deserti, ricchi dei
figli che mettono al mondo, osteggiano la loro volontà di
potenza, malgrado le guerre intestine che li dividono. In
Europa, la presenza di parecchi milioni di immigrati di
origine musulmana è un fenomeno che ci concerne
direttamente. «Quattrocentomila di essi sono
naturalizzati, e circa quarantamila francesi si sono
convertiti all'islam. In Francia, fino a cinque anni fa, non
si contavano che ventitre moschee, mentre ora ne esistono
cinquantuno; se si chiamano moschee, come è stato fatto con
superficialità, anche le sale di preghiera ove si raccolgono
questi musulmani, tale numero sale a circa cinquecento
unità» 2. Ora, cosa
incredibile, malgrado questi fatti, l'islam è quasi
sconosciuto. Certamente, a riguardo di questo soggetto, le
opere abbondano, e forse la vita di un uomo non basterebbe
per esaurirne la bibliografia. Una tale profusione scoraggia
la persona non specializzata che desidererebbe disporre di
una documentazione facilmente accessibile sui punti chiave
dell'islam... In qualche modo, la foresta nasconde
l'albero...
Obiettivo e limiti di questo studio
Islam: che cosa si deve
intendere con questo termine? Quale religione? Quale
ideologia? Quale organizzazione della società? Quale volontà
di conquista politica? Quali punti in comune - e quali
differenze - con il cristianesimo? Quale specificità di
fronte all'Occidente? Il presente studio vorrebbe dare a
queste domande delle risposte elementari, qualche dato
fondamentale, e alcune spiegazioni basilari che
costituiscano un bagaglio minimo sull'argomento. Il filosofo
francese Joseph Hours (1896-1963) ha scritto: «Per
studiare l'islam occorre stabilirsi al centro della sua
ispirazione, e cioè nella sua nozione di Dio. Privi di
questa luce, molti non-credenti hanno applicato a questa
nuova materia dei metodi troppo vecchi. Essi si sono immersi
nella filosofia e nella lingua araba, prestandovi eccessiva
importanza, e si sono persi nei dettagli del diritto
islamico [...]. Troppo spesso il loro ateismo gli ha
impedito di capire il fatto fondamentale che l'islam
è innanzi tutto una religione» 3.
La storia della sua propagazione, delle sue conquiste e dei
suoi riflussi, quella delle dinastie successive dei califfi,
dell'arte e della letteratura islamiche... costituiscono
sicuramente tanti aspetti degni di interesse, ma che non
affronteremo in questo breve studio essenzialmente
incentrato sul fatto religioso, e sul suo impatto sulle
mentalità, sui costumi e sulle strutture attuali del mondo
musulmano.
Principali fonti utilizzate
Nel corso di questo studio, ci
appoggeremo essenzialmente sui seguenti testi:
- Il Corano
4
In effetti, quale fonte più
obiettiva che il libro sacro dei musulmani (dall'arabo
muslim, participio del verbo arabo salima, ossia
«sottomettersi», il cui infinito sostantivo è appunto
islam)? Citeremo, dunque, il più sovente possibile molti tra
i suoi versetti più idonei ad illustrare un determinato
dogma, un determinato atteggiamento, o una determinata
opzione dell'islam. Per far ciò, utilizzeremo una delle
traduzioni più apprezzate, ovvero quella di Arnaldo
Fracassi.
- L'islam:
croyances et institutions 5
Avendo compiuto i suoi studi
nel seminario di Gazir, ed essendo quasi sempre vissuto in
Libano, il gesuita Padre Henri Lammens s.j.
(1862-1937) ha consacrato allo studio dell'islam una lunga
vita di ricerche e di contatti prolungati con l'ambiente
musulmano. Inoltre - ed è questa una delle ragioni della
nostra scelta - Padre Lammens è considerato dagli
specialisti come un critico distaccato e imparziale; ancora
oggi, non esiste in materia un'autorità migliore per
abbordare questo argomento.
-
Le Dialogue islamo-chretien
sous le calife Al-Mamun
Le più grandi biblioteche
mondiali (Città del Vaticano, Beirut, Damasco, Dublino, Il
Cairo, Leningrado, Parigi e Yale) conservano i manoscritti
in lingua araba o in karsunì (arabo in caratteri
siriaci) di uno scambio epistolare avvenuto sotto il regno
di Al Mamùn (786-833), califfo di Bagdad, nel lasso
di tempo che va dall'813 all'834 della nostra era, ossia ad
appena due secoli dalla nascita dell'islam. Esso è composto
da due lettere; nella prima, un musulmano convinto (Al
Hashimi) scrive ad un suo amico cristiano (Al Kindi),
esponendogli la dottrina dell'islam e invitandolo a
convertirsi. Nella seconda, il cristiano riprende punto per
punto gli argomenti dell'amico per confutarli, ed espone a
sua volta il cristianesimo, invitandolo ad aderirvi. Fin dal
1141, questi manoscritti furono tradotti in latino da
Pedro de Toledo (1484-1553), su richiesta di Pietro
il Venerabile (1092-1156), abate di Cluny. Essi furono
successivamente tradotti in francese dal pastore protestante
Georges Tartar, professore di arabo. Oltre a queste
fonti principali, citeremo, strada facendo, quegli autori
che ci sembreranno utili per migliorare la comprensione di
un determinato punto che analizzeremo.
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|
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Padre Henri
Lammens |
L'islam:
croyances... |
Pedro de Toledo |
II
LA CULLA DELL'ISLAM
Il quadro geografico
L'islam è nato nell'Arabia
occidentale, e precisamente nella regione che costeggia la
penisola arabica ad Est del Mar Rosso chiamata Hegiaz, una
zona accidentata e montuosa, con qualche oasi generalmente
poco fertile, caratterizzata da un calore opprimente e da
lunghi periodi di siccità interrotti da piogge torrenziali,
e che appartiene all’attuale Arabia Saudita.
Il quadro umano
-
I beduini
Come ai nostri giorni, a quel
tempo i beduini costituivano l'immensa maggioranza della
popolazione. Di razza e di lingua araba, essi erano dei
pastori nomadi. Tuttavia, una parte di essi si era
sedentarizzata nelle oasi e in tre città di quell'epoca:
Medina, La Mecca e Taif. «Malgrado le sue apparenze
rozze, il beduino non è né un primitivo, né un barbaro. Egli
apprezza la poesia. A partire dal secolo VI dell'era
cristiana, il poeta occupa nella tribù, a fianco del capo,
un posto a parte. Nondimeno, questa poesia è povera di
immagini originali, di motivi religiosi o morali»
6. Per ciò che concerne le qualità
morali, Padre Lammens reagisce contro «l'infatuazione
delle ammirazioni romantiche»; egli vede
nell'individualismo del beduino la fonte principale dei suoi
difetti, e la causa della sua incapacità di fondare una
forma stabile di potere e di organizzarsi. «Qualcuno ha
detto che il beduino è coraggioso. Alcuni eruditi hanno
attribuito i successi delle prime conquiste musulmane alla
qualità eccezionale del suo valore» 7.
Padre Lammens non condivide senza riserve tale opinione e
sottolinea che, a questo riguardo, l'autore del Corano non
si fà alcuna illusione. Il beduino prova ripugnanza a
combattere allo scoperto, e vede nel coraggio un'imprudenza
gratuita, preferendo cogliere di sorpresa il suo nemico e
facendo uso della fuga come di un semplice stratagemma
bellico. Esso non pratica che la razzia, sempre che la
razzia possa essere definita guerra. Ciò nonostante, la
tenacità è la sua più incontestabile qualità. Essa gli ha
forgiato un temperamento d'acciaio che gli permette di
vivere e di prosperare ove tutto inaridisce.
- Gli ebrei
Essi si insediarono
ripartendosi nelle diverse oasi (di cui possedevano la
maggior parte), e nelle tre già citate grandi città; in
particolare, essi erano molto numerosi a Medina, dove
costituivano oltre la metà della popolazione. Proprietari a
Medina delle migliori tenute, del commercio e
dell'industria, essi avevano come clienti gli arabi che
guardavano dall'alto in basso, come dei «gentili», dei
«non-scritturali», nel senso che gli arabi non possedevano,
al pari di essi, un libro rivelato.
- I cristiani
Meno numerosi e meno favoriti
degli ebrei, i cristiani intrattenevano buone relazioni con
gli arabi; si trattava in buona parte di monaci ed eremiti,
i quali godevano di una certa popolarità, e il Corano stesso
riporterà persino l'eco di questa simpatia. «Tuttavia,
essi appartenevano ad alcune sètte eterodosse, e
principalmente al giacobitismo 8,
e in seguito al nestorianesimo 9,
e a quel cristianesimo d'Abissinia fortemente intriso di
elementi ebraici. Alla Mecca, Maometto sembra aver ricercato
la loro compagnia. I contatti con questo genere di
informatori, spiriti rozzi che parlavano una lingua
straniera, e che conoscevano assai male la loro religione, i
loro successivi disaccordi, le loro divisioni dottrinali ed
altre circostanze, contribuirono a formare le idee che
Maometto si fece dei dogmi e del valore del cristianesimo» 10.
Il quadro religioso preislamico
presso i beduini dell'Hegiaz
Qual'era il contesto religioso
alla vigilia dell’entrata in scena di Maometto? Abbiamo
appena visto le minoranze ebraica e cristiana. Per l'arabo,
grazie anche ad alcune osservanze locali, la religione
presentava due tratti caratteristici: il politeismo e la
litolatria.
- Politeismo: esso
venerava una dozzina di divinità, tra cui figurava una
triade femminile - Allàt, Al'Uzzà e Manàt
(vedi foto sotto) - elemento questo
che denota una certa arguzia per una società in cui la donna
era già tenuta in disprezzo e in uno stato di inferiorità.
Più oltre, vedremo come il Corano ironizzi su «coloro che
attribuiscono figli ad Allah» (contrazione del vocabolo
arabo al-ilàh, ovvero «la divinità» per eccellenza).
- Litolatria: (dal
greco «culto delle pietre») essa consisteva nell'adorazione,
molto popolare e predominante, delle «pietre sacre», ovvero
di monoliti o blocchi erratici modellati dalle erosioni.
Situata alla Mecca, la Kaaba (il «cubo» o il «dado»)
è un edificio rettangolare in pietra lavica di circa dieci
metri di lunghezza, dodici di larghezza e quindici di
altezza, che sembra essere stato oggetto di un vero culto
fin dagli inizi del primo millennio. In un angolo di questo
edificio, è incastonata la «Pietra Nera»
(probabilmente un meteorite di circa trenta centimetri di
diametro raccattato in passato tra le sabbie del deserto,
che - secondo la tradizione musulmana - sarebbe stato posto
nella Kaaba dallo stesso Patriarca Abramo), anch'essa
venerata dai beduini litolatri di cui abbiamo già parlato.
L'islam si appropriò di questo santuario (la Kaaba
costituisce in un certo senso il cardine del pellegrinaggio
rituale dei musulmani alla Mecca), facendone il perno e
l'unico punto di incontro dei pellegrini musulmani di tutto
il mondo.
|
A
sinistra, la Kaaba. A destra, la pietra nera. |
Il quadro economico e politico
-
La Mecca, crocevia
commerciale
La «sterile vallata» della
Mecca costituiva il passaggio obbligato per innumerevoli
carovane che trasportavano pelli, spezie e diverse derrate
provenienti da Oriente e dall'Arabia, dirette verso l'Africa
del Nord. «Paradiso dei carovanieri, dei mediatori, dei
cambiavalute, dei prestatori a pegno e dei banchieri usurai
[...], febbre di lucro, furore di speculazione
[...], così condiviso che ben poche carovane o tutta la
popolazione, uomini e donne compresi, non vi erano
coinvolte». Così Padre Lammens descrive questa piazza
«borsista» e il suo ronzio di alveare umano.
- Nessuna struttura
politica
Metropoli religiosa e
commerciale dell'Hegiaz, essa vide dominare una tribù:
i coreiscìti (dall’arabo qurays). Nessun governo
propriamente detto, ma solo la mala, una sorta di
assemblea di notabili, i più ricchi e i più influenti.
Notiamo anche l'esistenza di una specie di sindacato dei
mercanti. Ma di fatto non esisteva nessuna struttura
politica reale, giacché anche La Mecca era dominata dai
costumi e dai pregiudizi dell'arabo individualista.
III
il fondatore: Maometto
Le fonti storiche
La vita di Abùl-Kàsim
ibn Abd-Allah, detto Maometto (in arabo
Muhammad, «il glorificato») ci è nota:
-
Tramite il Corano
(dall'arabo al-quràn, e cioè «recitazione ad alta
voce», scritto nel 657 - ossia venticinque anni dopo la
sua morte - da Zàid ben Thabit, un suo
discepolo), sebbene in maniera eccessivamente allusiva
(non una sola volta il nome di Maometto vi è citato);
-
Tramite la Sirah o
«Vita di Maometto» (scritta da Ibn Isham, morto
nell'anno 833), di cui i musulmani hanno iniziato a
raccogliere il materiale un secolo circa dopo la morte
di quest'ultimo, e che è stato considerevolmente
arricchito nel corso degli anni e dei secoli.
Lacune ed incertezze
In effetti, la nostra
conoscenza della personalità e della carriera del fondatore
dell'islam, non si fonda su alcuna certezza storica. La
stesura della Sirah, come abbiamo appena visto, è
iniziata non meno di un secolo dopo la sua morte, e la
maggior parte di essa è stata elaborata a partire da alcune
vaghe quanto enigmatiche allusioni del Corano. Un gran
numero di storici arabi, quali ad esempio Lahbani e
Mahsudi, hanno raccontato la vita di Maometto. In
Occidente, le prime opere su questo argomento sono apparse
solamente verso la fine del secolo scorso - Ludolf von
Krehl (1861-1937), Theodor Nöldeke (1836-1930),
ecc...
Tuttavia, «lo studio critico delle tradizioni più
antiche sembra dover modificare alquanto l’idea che fin qui
ci si è fatti della vita e del carattere del profeta arabo» 11.
Nöldeke, al termine di lunghi anni di studio, dichiarò di
«rinunciare a scrutare il mistero della personalità storica
di Maometto». L'ebreo Ignàc Goldziher
(1850-1921), un altro illustre islamologo, nella sua opera
Muhammadische studien («Studi su Maometto»;
1889-1890), dopo aver sottoposto i racconti della vita di
Maometto ad una critica scientifica rigorosa, mise in luce
«il carattere tendenzioso di questi scritti, la cui unica
fonte risiede in un'interpretazione più o meno esaustiva di
versetti più o meno oscuri del Corano».
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Ludolf von
Krehl |
Theodor Nöldeke |
Ignàc Goldziher |
Realtà, leggende ed estrapolazioni
Se gli autori musulmani della
Sirah hanno spesso dato prova di possedere una viva
immaginazione estrapolando a partire da «versetti più o
meno oscuri del Corano», anche alcuni specialisti
occidentali, dai quali pertanto ci si aspettava una più
esigente obiettività, non sono stati risparmiati da questa
stessa inclinazione. Tale fenomeno è sufficientemente
frequente nella letteratura occidentale consacrata
all'islam, per cui ci attardiamo un istante citando un paio
di esempi:
- Primo esempio
Sura LXXIV
(Il mantello)
1. «Tu che sei
coperto col mantello»! 12
2. «Alzati e
istruisci...» (F). |
Partendo da questi versetti,
la tradizione musulmana conclude: «Un giorno Maometto si
trovava sul Monte Hirà, allorché intese una voce che lo
chiamava; non vedendo nessuno, egli alzò gli occhi e vide
l'angelo Gabriele. Spaventato, rientrò in casa e disse alla
sua donna: "Avvolgimi in un mantello". Fu allora che
Gabriele discese nuovamente e lo chiamò: "Tu che sei coperto
col mantello!..."». Così Régis Blachère
(1900-1973) commenta questo versetto: «"Colui che è
coperto con un mantello": senza alcun dubbio possibile,
questa espressione designa il profeta in stato di estasi».
Senza alcun dubbio possibile, in stato di estasi! Sulla
traccia di Padre Gabriel Théry o.p.
(1891-1959), citato da don Joseph Bertuel 13,
e al quale dobbiamo questo esempio, ci si può interrogare
circa il rigore scientifico di un tale commento.
- Secondo esempio
Sura XCIV (La
dilatazione)
1. «Non abbiamo
dilatato il tuo cuore»?
2. «Non ti abbiamo
scaricato di un fardello»?
3. «Esso opprimeva
le tue spalle col suo peso» (F). |
Così commenta la Sirah:
«Un compagno di Maometto, che con lui custodiva gli
armenti, vide un giorno due angeli gettare a terra il
giovane Maometto, aprirgli il petto e togliere dal suo cuore
una macchia nera». Ed ecco il commento di Emile
Dermenghem 14: «Si
tratta di una morale basata su di un senso erroneo [...],
ma la cui importanza sta a significare che ad appena quattro
o cinque anni di vita il profeta venne lavato dal peccato
originale, da cui solo Gesù e Maria (sic!) erano
stati preservati sin dalla nascita». È lecito domandarsi
chi, tra l'autore arabo della leggenda e il Dermenghem, si
spinga più lontano nell'audacia interpretatrice. È, dunque,
alla luce di questi elementi e con le dovute riserve che ora
andremo a passare in rivista i punti principali di ciò che
si sa - o si ritiene di sapere - sulla personalità e sulla
carriera del fondatore dell'islam.
Le principali tappe della vita di Maometto
-
Dalla nascita alla
predicazione
Secondo Padre Lammens, la data
di nascita di Maometto dovrebbe porsi verso il 580 d.C.
(sempre che risponda a verità che egli non abbia superato la
cinquantina), anziché verso il 570, data comunemente
ritenuta giusta dalla maggior parte degli islamologi. A
quell'epoca, la tribù araba dei coreiscìti costituiva
alla Mecca una specie di oligarchia commerciale, con un
consiglio di notabili. La famiglia di Maometto - quella
degli hasimìti - pur facendone parte, era caduta
nell'indigenza. Secondo la tradizione musulmana, tradizione
che si fonda sul Corano, Maometto nacque «povero ed orfano»:
Sura XCIII
(Il sole al più alto della sua carriera)
1. «Non eri tu
orfanello? Non ti accolse nell'infanzia»?
2. «Ti ha trovato
nell’errore; egli ti ha illuminato».
3. «Tu eri povero;
egli ti ha arricchito» (F). |
- Infanzia e giovinezza
L'orfano sarebbe stato
raccolto dal nonno Abd-al-Muttalib
(custode alla Mecca della «Sacra fonte di Zamzam»,
una sorgente che sgorga presso la Kaaba, la cui acqua
possiederebbe, secondo i musulmani, qualità miracolose), e
in seguito dallo zio Abù Tàlib (il cui figlio Alì
sposò più tardi Fàtima, una delle figlie di
Maometto). Come mai Maometto, nato e cresciuto nell'ambiente
politeista dell'epoca, giunse ad intraprendere una carriera
come la sua? Cosa predispose tale evoluzione? Secondo Padre
Lammens, «Maometto possedeva uno spirito riflessivo. Egli
si interessava alle questioni religiose che lasciavano
indifferenti i suoi scettici concittadini. Lo si scopre alla
ricerca di un ideale religioso superiore a quello dei suoi
contemporanei» 15.
Torneremo in seguito su questo punto.
Maometto era analfabeta?
Sì, afferma la tradizione
islamica, e i musulmani vi intravedono una prova
dell'origine divina del Corano; se Maometto non sapeva né
leggere né scrivere, l'autore del Libro non può che essere
stato lo stesso Allah... Ecco un punto molto importante
meritevole della nostra attenzione. Ancora una volta,
l'islam si basa su alcuni passi del Corano, di cui
presentiamo la traduzione di Albert de Biberstein
Kazimirski (1808-1887):
Sura VII (Elaraf)
157. «Dì: sono l'interprete del cielo; la mia
missione è divina. Essa abbraccia tutto il genere
umano. Non c'è che Allah, il sovrano del cielo e
della terra, che dà la vita e la morte. Abbracciate
l'islamismo; seguite il profeta analfabeta, che
crede in Allah, e camminerete sulla via della
salvezza». |
Sura LXII (Il
venerdì)
2. «È lui che suscitò, fra un popolo di
illetterati, un apostolo scelto tra loro per
spiegargli la fede, purificarlo e insegnargli la
dottrina del Libro della sapienza. Prima di lui, gli
arabi erano sepolti in profonde tenebre». |
É dunque chiaro che la
versione di Kasimirski degli estratti di queste due sure,
non solo non contraddice la tradizione musulmana
sull'origine divina del Corano, ma, al contrario, la
rafforza. Ma ecco che tutto cambia con la versione di Régis
Blachère, arabista contemporaneo, la cui traduzione da a
questi versetti un senso e una portata completamente
diversi:
Sura VII (Elaraf)
157-158. «Dì: «Uomini! Io sono l'apostolo di
Allah (inviato) a voi tutti».
158. «(Da Allah)
che ha la sovranità dei cieli e della terra. Nessuna
divinità eccetto lui! Egli è (colui che) fà vivere e
fà morire. Credete in Allah e nel suo apostolo, il
profeta dei gentili che crede in Allah e nei suoi
decreti! Seguitelo! Forse sarete sulla retta via». |
Sura LXII (Il
venerdì)
2. «È lui che ha inviato, tra i gentili, un
apostolo uscito da essi, che comunica loro i suoi "aya",
li purifica, gli insegna la Scrittura e la saggezza.
In verità (questi gentili) si trovavano prima in uno
smarrimento evidente». |
Così, secondo Blachère, non
bisogna leggere «il profeta analfabeta», ma «il profeta dei
gentili», o meglio, «degli analfabeti», cioè dei
«non-scritturali», dei beduini che, a differenza degli ebrei
e dei cristiani, non avevano ancora ricevuto le Scritture e
non possedevano un Libro Santo... Per certi versi, seguendo
questa tesi, Maometto, profeta dei «gentili», sarebbe stato
il San Paolo dell'islam. Numerosi islamisti occidentali
hanno seguito Blanchère in questa traduzione. Occorre
tuttavia sottolineare che l'ortodossia musulmana, nella sua
stragrande maggioranza - ed è questo che ci interessa - si
attiene ancora a quanto si diceva poc'anzi: Maometto era
analfabeta; dunque, il Corano è di origine divina.
Difficoltà di traduzione dalla lingua araba
Com'è possibile che due
arabisti così quotati come Kasimirski e Blachère possano
aver attribuito allo stesso vocabolo arabo un senso
radicalmente diverso? Dopo il paragrafo precedente, non è
possibile ignorare tale questione. Evidentemente, per un
coranista occidentale razionalista (come del resto - anche
se per ragioni ben diverse - per un cristiano), la tesi
dell'origine divina del Corano è inaccettabile, e quindi, la
traduzione di Régis Blanchère dei summenzionati versetti
soddisfa maggiormente lo spirito (dell'uomo moderno).
Nondimeno, non è lecito dubitare circa l'«onestà»
intellettuale dei traduttori in questione, e, di
conseguenza, il problema rimane irrisolto. Il Prof.
François Gautier ha riassunto il problema in questi
termini: «Lo spirito orientale è completamente diverso
dal nostro. I vocaboli della lingua araba e i concetti che
essi rendono, non corrispondono mai esattamente ai nostri
vocaboli e ai nostri concetti. Tradurre dall'arabo al
francese, o in qualunque lingua occidentale, è una fatica
che non può essere minimamente rapportata ad una traduzione
da una lingua occidentale ad un altra lingua occidentale.
Gli orientalisti sono fin troppo coscienti di questa
difficoltà, con la quale sono in perpetuo contatto, e la
evitano per prudenza limitandosi ad una traduzione
letterale. Ciò premesso, è evidente che gli storici arabi
sono doppiamente inaccessibili: sia in sé stessi, che
tramite i loro traduttori» 16.
Gautier ci fornisce quindi una spiegazione (anche se di
parte) circa le innumerevoli oscurità che ci confondono nel
Corano, opera già intrinsecamente confusa, e spesso
incoerente in innumerevoli passi.
Egli ci illumina anche
sulle diversità, talvolta considerevoli, che constatiamo tra
le varie traduzioni del Corano attualmente in commercio. Ci
si può domandare se alcuni traduttori non usino, o non
abusino un po', onde adeguare a loro piacimento il senso e
la portata dei versetti alle loro tendenze personali, o
all'immagine che essi vogliono dare del messaggio
islamico... È per tale motivo che, a nostro avviso, quando
si esamina questo o quest'altro concetto del dogma
musulmano, occorre sempre sforzarsi di verificare se il
senso fornito dalla traduzione concorda con i fatti, e cioè,
nel modo in cui il musulmano percepisce, vive concretamente
e mette in pratica questo punto del dogma. La constatazione
di Gautier spiega infine, più in generale, la difficoltà
esistente ad intendersi in maniera chiara e precisa con
interlocutori arabi, dal momento che si tratta di parlare di
tutt'altra cosa che della pioggia o del bel tempo,
difficoltà che, ad esempio, conoscono bene coloro che, per
via della loro professione, sono abituati a trattare con
degli arabi, e ad accordarsi sui termini e sulle clausole di
un contratto.
Primo matrimonio di Maometto
Maometto si sposò nell'anno
595 all'età di venticinque anni. In un Paese in cui le
ragazze vengono considerate nubili molto presto, si rimane
sorpresi nell'apprendere che il giovane beduino sposò in
prime nozze Cadìgia (555-620), una ricca vedova della
Mecca che aveva già passato la quarantina. Come osserva
Padre Lammens, i beni portati in dote dalla sua sposa lo
liberarono dalle preoccupazioni materiali che, sin dalla
nascita, sembravano dover essere il suo destino. Il
manoscritto di Al Kindi descrive questa fase della carriera
di Maometto in questi termini: «Poi, egli crebbe in
questa situazione (povero e orfano), fino al momento in cui
entrò come cammelliere al servizio di Cadìgia, figlia di
Huwaylid, alle cui dipendenze lavorava. In seguito, tra lui
e Cadìgia nacque qualcosa, ed egli la sposò per la ragione
che tu ben conosci» 17.
È
piccante notare che in una società in cui la donna era già
ritenuta di gran lunga inferiore all'uomo, e nella quale la
nascita di una figlia veniva considerata una sventura, il
padre dell'islam non abbia generato che figlie; ciò
nonostante, egli riaffermò questa convinzione anche nella
religione da lui più tardi fondata. In realtà, la coppia
ebbe anche dei figli maschi (sembra due o tre), ma che
morirono alla nascita, e solo quattro figlie sopravvissero,
tra cui Fàtima. Torneremo più avanti sulla discendenza di
Maometto e sul suo legame con lo scisma sciita.
Gli inizi della carriera religiosa di Maometto
- La vocazione
É verso l’età di trenta, o
forse quarant'anni che, secondo Padre Lammens, prende inizio
la carriera religiosa di Maometto. Su questo punto, la
tradizione si fonda sul seguente versetto del Corano:
Sura X (Giona)
17. «Se Allah avesse voluto, non vi avrei letto i
suoi comandamenti, e non ve li insegnerei. Non ho
forse vissuto tra di voi senza farlo fino all'età di
quarant'anni»? (K) |
Più cauto in merito all'età in
cui Maometto iniziò la sua carriera, Blachère così traduce
questi versetti:
Sura X (Giona)
17. «Dì: Se Allah
avesse voluto, io non vi avrei trasmesso questa
predicazione, ed egli non ve l'avrebbe fatta
conoscere. Ho abitato con voi per una vita, prima di
dare inizio a questa predicazione. Come? Non
capite»? (B) |
«E così - nota Padre
Lammens - a riguardo delle circostanze precise che hanno
gradualmente condotto Maometto a considerarsi come investito
di una missione di predicatore e di moralista, elevato in
seguito al rango di "profeta", non possediamo che le vaghe e
misteriose allusioni del Corano, trascritte e arricchite di
dettagli in seguito, negli innumerevoli e pittoreschi
aneddoti della Sirah. Disgustato dal grossolano feticismo e
dal materialismo dei coreìsciti, egli abbracciò il
monoteismo e la fede nel dogma della resurrezione della
carne. Su questi dogmi si trovava d'accordo con gli ebrei e
con i cristiani, persuaso che, come non esiste che un unico
Dio, non deve sussistere che un'unica rivelazione, al di
fuori della quale non potevano certamente essere stati
lasciati proprio gli arabi; egli si credette dunque chiamato
a predicare la verità tra i suoi compatrioti e nella loro
lingua. Si trattava di un ruolo modesto che si limitava nel
dare una redazione araba della rivelazione universale,
adattata ai bisogni di ciascun popolo»
18.
|
L'arcangelo
Gabriele appare a Maometto. |
Le influenze: giudaismo e nestorianesimo
«Maometto fu nutrito di
spirito ebraico». Questa asserzione dello storico
ebreo Bernard Lazare 19,
diventa subito lampante a chiunque sfogli il Corano, un
libro profondamente ispirato - se non impregnato - dal
giudaismo. È fuor di dubbio che Maometto frequentò a lungo
ed interrogò, soprattutto agli inizi della sua carriera
religiosa e grazie anche ai suoi viaggi, degli ebrei o dei
rabbini, dai quali cercò di trarre degli elementi per dare
un fondamento alle sue nascenti convinzioni. Perché, e in
seguito a quali circostanze egli fu in seguito condotto a
prendere le distanze da costoro, per poi finalmente creare
un sistema religioso tutto suo? Questo rimane uno dei punti
non ancora ben chiariti di questa storia. Tuttavia,
l'impronta ebraica contrassegnò in modo indelebile sia il
contenuto religioso dell'islam, che le pagine del Corano.
Per convincersene, sarà sufficiente seguirà quanto via via
esporremo nelle pagine a seguire. Il lettore interessato a
questo aspetto primordiale di questo tema, potrà consultare
con profitto le opere di Padre Théry. Ai nostri giorni, i
suoi scritti sono pressoché introvabili, anche in
biblioteca, ma l'essenziale delle sue tesi sulle origini
giudaiche dell'islam, è stato ripreso da don Bertuel 20
in una forma accessibile al grande pubblico, pur restando
ricca e documentata. Il manoscritto di Al Kindi non fà
mistero della presenza di alcuni ebrei al fianco di
Maometto, e di un monaco nestoriano 21
che avrebbe cercato di conquistare alle sue idee Maometto.
Questo monaco si faceva chiamare Nestorio, come il suo
maestro, ma «quando la causa del cristianesimo si
sviluppò e fu sul punto di riuscire, Nestorio morì. Allora,
sorsero Abd Allah ben Sallàm e Kab, soprannominato Al-Akbar,
due ebrei che agirono con astuzia e malizia al fianco di
Maometto, lasciando credere che lo avrebbero seguito e che
avrebbero adottato la sua dottrina. Essi perseverarono nella
loro scaltrezza e nel loro stratagemma, dissimulando il loro
vero pensiero e tenendolo segreto fino alla prima occasione
favorevole dopo il suo trapasso. In effetti, alla morte di
Maometto, quando le genti abbandonarono l'islam, e il potere
pervenne ad Abù Bakr (che Alì b. Abì Talib non volle
riconoscere), questi due ebrei compresero che alla fine
avevano ottenuto ciò che avevano cercato e voluto
segretamente» 22.
«Questi due ebrei - prosegue Al Kindi - avrebbero
allora mostrato ad Alì il suo brillante avvenire di
"profeta" sulla scia di Maometto, ma Alì, influenzato da Abù
Bakr, rinunciò. Allora i due ebrei si impadronirono del
libro che possedeva Alì, che aveva avuto dal suo maestro, e
che era stato scritto nel senso del Vangelo. Essi vi
introdussero dei racconti della Toràh 23,
e alcune delle sue leggi» 24.
Principali tappe della carriera religiosa di Maometto
La carriera religiosa di
Maometto propriamente detta, può essere suddivisa in tre
fasi:
610-622 |
primo periodo meccano |
622-629 |
periodo medinese |
629-632 |
secondo periodo
meccano |
- Primo periodo meccano
Uomo maturo, ormai
nell'agiatezza dovuta alle ricchezze di Cadìgia, avendo
acquisito, come si direbbe oggi, un certo standing
mediante questo matrimonio che gli permise di entrare a far
parte della borghesia meccana, Maometto acquistò sicurezza,
e le sue prime convinzioni religiose si fecero più chiare e
forti. Egli si sforzò dunque di propagarle e di farne
partecipi i suoi concittadini. Come abbiamo visto in
precedenza, egli incentrò la sua predicazione sul monoteismo
e sulla resurrezione della carne; ma, assai presto, egli si
scontrò con lo scetticismo dei meccani... Certamente, egli
godeva ancora di un certo rispetto, dovuto alla
considerazione di cui godevano Cadìgia e la sua famiglia, ma
non è difficile immaginare il coro dei sogghigni e delle
burle alle sue spalle; non lo avevano forse conosciuto come
un piccolo e misero orfano, e in seguito, come un semplice
commesso di Cadìgia che, prima del suo matrimonio,
percorreva le piste con le sue carovane? In poche parole:
chi era costui? Chi lo autorizzava a prendersi gioco dei
predicatori (pagani)? Chi si credeva di essere? Il sarcasmo
dei suoi avversari fu principalmente diretto contro la sua
tesi sulla resurrezione dei corpi e contro le sue
predicazioni riguardanti gli increduli meccani. Tuttavia, a
questo scetticismo subentrò ben presto una vera e propria
crescente ostilità.
Su questo periodo della vita di
Maometto, il manoscritto di Al Kindi ci illumina più
crudamente: «Allorché divenne potente, grazie agli averi
della sua donna, egli bramò di regnare e di dominare sulla
sua tribù e sul suo paese. Poi, constatò che ciò non era
possibile, in quanto, essendo vissuto per molto tempo
nell'indigenza, poche erano le persone che lo seguivano
[...]. Quando si stancò di aspettare che si avverasse
quanto anelava, egli pretese di essere un profeta e un
apostolo inviato dal Signore dell'Universo [...].
Essi erano degli arabi nomadi, e non capivano nulla né
dell'apostolato, né dei segni di profezia, poiché nessun
profeta era mai stato inviato loro: fu lì che si svolse
l'insegnamento di un uomo che li istruiva, di cui noi diremo
il nome e racconteremo la storia in un altro punto della
nostra lettera [...]. In seguito, egli scelse per
compagni delle persone oziose, dedite alla razzia, di quelli
che taglieggiano i viaggiatori [...]. Cominciò ad
inviare delle spedizioni nei luoghi dove vanno le carovane
cariche di merci [...]. Queste persone le
intercettavano lungo il tragitto, si impossessavano delle
merci e massacravano gli uomini. La situazione divenne
critica: cosa sarebbe successo»? 25.
- Il periodo medinese
Secondo Padre Lammens,
«alcuni incontri occasionali misero Maometto in
comunicazione con degli arabi di Medina 26,
di passaggio alla Mecca, i cui rapporti con i loro
concittadini ebrei avevano reso più ben disposti verso le
sue idee religiose» 27.
Forse che Maometto pensava di trovare a Medina un uditorio
più interessato alla sua predicazione, e un clima più
favorevole alle sue tesi? Decise di lasciare spontaneamente
La Mecca, o ne fu cacciato dai suoi concittadini? Secondo la
lettera di Al Kindi, «la sua prima partenza fu dovuta a
questa ragione (ovvero, come abbiamo visto più sopra, a
causa delle razzie e delle aggressioni che avevano provocato
l'ostilità dei meccani) [...]. Maometto aveva a quel tempo
cinquantatre anni, dopo che alla Mecca aveva preteso per
tredici anni di essere un profeta. Egli partì con i suoi
compagni che lo frequentavano e si erano legati a lui in
numero di quaranta uomini. Aveva subito tutti i generi di
tribolazioni e di angherie da parte di quei meccani che lo
conoscevano e che adducevano come scusa la sua pretesa
profezia, ma nel loro intimo lo facevano a causa del fatto
certo che, sulle strade, egli si dava al brigantaggio»
28. Sia quel che sia, Maometto e i
suoi primi compagni lasciarono la loro città natale nel 622
per andare a Medina. Ma tralasciamo per un istante questo
rapido sguardo alla carriera del fondatore dell'islam, per
soffermarci su quest’episodio di capitale importanza.
- L'anno 1 dell'islam:
l'égira
L'esodo dalla Mecca inaugurò
l'égira 29. Essa rappresenta il
punto di partenza dell'era musulmana, istituito
ufficialmente diciassette anni dopo dal califfo
30 Omar, e che si pensa abbia
avuto inizio il 16 luglio dell'anno 622. Riteniamo, dunque,
che il 622 sia l'anno 1 del calendario musulmano
31, ma ciò che conta è sottolineare
che con l'égira si ha un'evoluzione importantissima. Secondo
Padre Lammens, più che una semplice emigrazione geografica,
l'égira assegnò a Maometto un nuovo ruolo: «Nella
carriera di Maometto, l'égira segna un cambiamento [...]
interessante: l'evoluzione politica dell'islam. Maometto,
dapprima predicatore monoteista, e in seguito profeta,
diventa capo di Stato. Nel vecchio diritto arabo, l'égira
non significava solamente la rottura con la sua città
natale, ma equivaleva ad una specie di dichiarazione di
guerra. Su questo punto, il sindacato meccano non si
ingannava. Fino a quel momento la parola d'ordine per i
discepoli di Maometto era stata quella di "tenere duro" in
mezzo alle contrarietà, e di non fare uso che di mezzi
pacifici di persuasione. La gihàd 32
era una guerra spirituale. A Medina si aprì un periodo di
azione, e venne raccomandato di lottare con le armi sino che
l'islam non avesse preso il sopravvento»
33. A Medina, la predicazione di
Maometto ottenne maggior successo, e raccolse rapidamente
tra i pagani un certo numero di discepoli (sembra numerose
centinaia): erano gli ansar (gli «ausiliari») mentre
i meccani convertiti che avevano seguito il maestro a Medina
erano i muhagirun (gli «emigrati»). «Emigrati» e
«ausiliari» formavano i ranghi della futura aristocrazia
dell'islam. A Medina, dunque, mentre le conversioni andavano
moltiplicandosi, Maometto, la cui influenza cresceva di
giorno in giorno, tentò di consolidare la sua autorità
nascente; egli cercò per mezzo di un trattato abilmente
redatto, di
farsi arbitro tra i musulmani, gli ebrei e i
pagani di Medina, e di far confluire tutte le contestazioni
davanti al suo tribunale. In tal modo, egli preparò gli
animi ad accettare la sua supremazia religiosa e politica.
«Tuttavia - prosegue Padre Lammens - ciò
significava non tenere conto dell'ostinazione e
dell'orgoglio degli ebrei, che egli aveva cercato di
avvicinare alle sue tesi, in quanto fortemente convinto di
attingere alla loro stessa fonte della rivelazione» 34.
Ciò nonostante, i disaccordi dottrinali si fecero presto
strada, in quanto gli ebrei professavano il principio
secondo cui la profezia era un privilegio esclusivo di
Israele, rifiutando pertanto le pretese del profeta
«gentile». Alla fine, Maometto li dichiarò «i peggiori
nemici dell'islam», lottò apertamente contro di essi,
espulse i clan più deboli, di cui uno - quello di
Banù Quràyza - vide i suoi seicento uomini massacrati fino
all'ultimo, e donne e bambini venduti come schiavi
35. Un'intesa non fu nemmeno
possibile con i cristiani; Maometto, dopo averne lodato le
benevole disposizioni d'animo e l'assenza di orgoglio - il
Corano ne conserva l'eco - ruppe anche con essi, non
avendoli trovati più arrendevoli degli ebrei. Ma Maometto
non aveva dimenticato La Mecca, la sua città natale; è
contro di essa che egli scagliò in seguito i più portentosi
ardori della gihàd. Da semplici raid, gli
attacchi contro i meccani e contro le loro carovane si
mutarono con il tempo in vere e proprie battaglie; dopo la
vittoria di Badr 36 (nel
gennaio del 624), e gli insuccessi di Uhud
37 e Mouta (nella primavera del
625), in cui circa 3.000 razziatori furono completamente
sbaragliati dagli arabi cristiani della Siria, Maometto
giudicò senza dubbio giunto il momento di prendere il
controllo della città natale. Riallacciando segretamente i
contatti con il coreìscita più qualificato, Abù Sofian,
di cui aveva sposato la figlia, Maometto promise un'amnistia
e il rispetto dei costumi e del culto meccano, pur
assicurandosi dei complici sul posto. Si realizzò quindi la
fath Makka, la «conquista della Mecca», in cui
Maometto alla testa di 10.000 uomini penetrò senza colpo
ferire nel mese del ramadàn del 629. L'unica mancanza
alla promessa fatta, fu costituita dall'uccisione di alcuni
tra i suoi più acerrimi nemici. Quanto alla popolazione,
essa si sottomise. Da allora, La Mecca è la città santa per
eccellenza, quella nella cui direzione il fedele deve
orientarsi durante le preghiere e gli atti devozionali.
- Secondo periodo meccano
Tuttavia, è solamente per un
bisogno di semplificare che abbiamo chiamato «meccana»
questa terza fase della carriera di Maometto. In realtà,
sembra che dopo la resa della Mecca, Maometto non si sia
fermato affatto nella sua città natale, ma si sia
reinsediato assai rapidamente a Medina; nel 631, egli
condusse alcuni raid in direzione della Siria, e
inviò delle bande a taglieggiare le città della Nabatea e i
piccoli porti del Mar Rosso. Il pellegrinaggio alla Mecca
esisteva già; da quel momento egli decretò che gli infedeli
(i non-musulmani) non ne avrebbero mai più preso parte, e,
all'inizio del 632, decise di recarvisi personalmente e di
assicurarne egli stesso la direzione. «La conversione
dell'Arabia aveva fatto grossi progressi unicamente nell'Hegiaz.
Solo Medina poteva essere considerata come definitivamente
assoggettata alla nuova dottrina. D'altronde, ovunque
l'islamizzazione non era che iniziata: nondimeno, tutti
riconoscevano soprattutto la potenza politica dell'islam» 38.
Morte e successione di Maometto
L'8 giugno dell'anno 632,
ossia tre mesi dopo il suo ritorno a Medina, Maometto morì
di malattia. Secondo Padre Lammens, egli non aveva ancora
superato i cinquant'anni, o, secondo l'opinione più
corrente, la sessantina. Secondo la tradizione musulmana,
Maometto aveva ordinato ai suoi compagni di non seppellirlo
dopo la morte, in quanto sarebbe asceso al cielo. «I suoi
compagni erano talmente persuasi di ciò che, quando egli
morì lunedì 12 rabì-al-awwal, all'età di sessantatre anni,
in seguito ad una malattia durata quattordici giorni, lo
lasciarono, credendo che sarebbe salito in cielo come aveva
predetto. Dopo un'attesa di tre giorni, il suo odore mutò, e
la loro speranza di vederlo salire in cielo si dissolse.
Delusi da queste premesse illusorie, e constatando la sua
menzogna, essi lo seppellirono il mercoledì»
39. Alcuni musulmani sostengono che
Maometto sapeva che, dopo la sua morte, avrebbe avuto il
privilegio di essere elevato in cielo, ma che vi rinunciò
liberamente, scegliendo la sorte comune ad ogni mortale.
- La successione: le
mogli di Maometto
Maometto scomparve dunque
dalla scena. Aveva forse preparato la sua successione? Chi,
tra i suoi discepoli, doveva riprenderne la missione,
organizzare e consolidare la struttura politico-religiosa
che, come abbiamo appena visto, era nata ed era cresciuta
tra mille difficoltà? I problemi posti dalla successione di
Maometto, e le circostanze in cui essa avvenne, non possono
essere compresi con chiarezza se prima di tutto non si
prende conoscenza, almeno a grandi linee, di quella che fu
la vita coniugale e la discendenza di Maometto. Così, prima
di esaminare quest'ultima e postuma fase della vita di
Maometto, cerchiamo di redigere uno stato di famiglia del
fondatore dell'islam. Maometto rimase fedele a Cadìgia - e
dunque ufficialmente monogamo - fino alla morte di
quest'ultima. In seguito, la tradizione musulmana gli
attribuì diciassette spose legittime (Cadìgia
compresa), di cui quindici donne libere e due schiave, e
un numero imprecisato di concubine 40.
Il nome, la filiazione e certi tratti particolari di
ciascuna delle diciassette spose, costituiscono dei dettagli
che non possiamo qui riportare per motivi di spazio, ma che
si possono ritrovare, ad esempio, nella lettera di Al Kindi
41. Notiamo che il Corano limita
a quattro il numero delle spose legittime che il
musulmano può avere; e così, alcuni versetti «derogatori»
regolarizzano il «caso» di Maometto 42.
In effetti, la donna, e più in generale la sessualità, hanno
occupato un posto particolare nella vita e nelle
preoccupazioni di Maometto. Al Kindi non fà che riprendere
la tradizione islamica, allorché ricorda al suo amico
musulmano che Maometto «dichiarò di essere infiammato
dall'amore, dal profumo e dalle donne, e che uno dei segni
della sua profezia (della sua missione profetica) era
costituito dal fatto che gli era stata donata una potenza
sessuale pari a quella di quaranta uomini per copulare con
le donne» 43. Questo
aspetto della personalità del fondatore dell'islam, sembra
mettere a disagio certi commentatori o autori occidentali, i
quali si sforzano di ridurlo, di idealizzarlo, o molto
semplicemente, di cancellarlo. Questo modo di procedere è
prova di una profonda misconoscenza del musulmano, per il
quale la sessualità esuberante del padre dell'islam non è
affatto incompatibile con la missione religiosa di cui si
credette investito, ma è esattamente vero il contrario! Ma
ritorniamo alle alleanze e alla discendenza di Maometto,
elementi che giocarono in seguito un ruolo decisivo nel
processo della sua successione politico religiosa.
- La successione:
discendenza di Maometto
Abbiamo già rilevato come
Maometto ebbe da Cadìgia quattro figlie, tra cui Fàtima, che
sposò Alì, figlio di Abù Tàlib (zio di Maometto, che lo
aveva raccolto orfano), che fu per giunta uno dei primi e
più fedeli compagni di Maometto. Lo schema sottostante - un
abbreviato albero genealogico - ci permette di capire
meglio: per non complicare le cose inutilmente, vi facciamo
figurare, al fianco di Cadìgia, solamente le mogli di
Maometto (ÿscia
e Hafsa) che, come vedremo, furono implicate nella
successione.
- La successione:
intrighi e discordie
I primi califfi sono
nell'ordine:
632: Abù Bakr |
634: Omar |
644: Uthman |
656: Alì |
661: Moawia |
|
La morte inattesa di Maometto
- ci dice Padre Lammens - creò disordini e dissapori nel suo
entourage, prima ancora che si iniziasse a sotterrare
il suo cadavere. Alì, cugino di Maometto 44,
che fu poi uno dei suoi primi e più fedeli compagni, e a cui
Maometto concesse la mano di sua figlia Fàtima - che gli
diede una discendenza maschile (Hasan e Husayn) - sembrava
designato a succedere al maestro, e ad accedere al primo
califfato 45. Ma Àiscia,
la sposa favorita di Maometto, riuscì con i suoi intrighi e
con l'appoggio di Omar a far imporre suo padre Abù
Bakr, con grande disappunto di Alì, con il quale essa era in
pessimi rapporti 46. Nel 634,
Abù Bakr morì designando come suo successore Omar, padre di
Hafsa, un'altra moglie di Maometto. Alì rimase dunque
tagliato fuori dalla corsa per la conquista del potere.
Allorché Omar venne assassinato nel 644, fu eletto Uthman,
genero di Maometto, di cui aveva sposato le figlie Erkia e
Um Kesun. Nel 656, Uthman fu a sua volta assassinato; Alì,
attraverso mille intrighi e lotte, che non possiamo per ovvi
motivi riportare, poté infine accedere al califfato, ma non
vi rimase che faticosamente per essere anch'egli assassinato
nel 661. Gli succedette Moawia, ex governatore della
Siria, e nemico di Alì, che, a quanto pare, fu promosso
califfo grazie in parte anche all'appoggio di Àiscia. Il suo
successore fu il figlio Yésid. Ma ritorniamo ad Alì:
Hasan - suo figlio maggiore, che inaugurò la dinastia
degli «sceriffi» 47 - abdicò e
si ritirò a Medina, dove morì avvelenato. Husayn, il
secondogenito, si ribellò contro Yésid, ma venne massacrato
dai suoi uomini nel corso di una battaglia presso Kerbelah.
Più avanti, vedremo come questi dissensi attorno alla
successione di Maometto diedero vita allo scisma sciita.
Come abbiamo già scritto all'inizio di questo opuscolo, lo
studio delle successive dinastie islamiche non sarà oggetto
di trattazione, limitandoci alla presente breve relazione.
Tuttavia, fin da ora, prima di chiudere questa rapida
carrellata sulla carriera del fondatore dell'islam, possiamo
fare alcune riflessioni.
Brevi note su Maometto e sulla
nascita dell'islam
Fin dalla sua nascita, l'islam
si caratterizzò:
La forza «legittimamente»
utilizzata per la conversione: ecco un concetto che non ci è
affatto familiare... Confusione tra spirituale e temporale;
nessuna frontiera marcata, nessuna distinzione tra il
dominio di Cesare e quello di Dio... In realtà, questi due
aspetti caratteristici che abbiamo appena sottolineato, non
sono che un'unica cosa, o più esattamente, sono così
intimamente legati che è impossibile concepire uno senza
l'altro. L'islam li ha trovati nella sua culla; Maometto
glieli ha imposti allo stesso modo in cui, nel corso della
sua carriera - come abbiamo appena visto - utilizzò tutti i
mezzi coercitivi (razzie, battaglie, uccisioni, ecc...), con
la propagazione della nuova religione che era stata via via
elaborata dallo spirito del suo fondatore. I sanguinosi
episodi che segnarono questa carriera, e le lotte per la
successione di Maometto, mostrano bene come in gioco non
c'era solamente il potere religioso, ma il potere stesso,
civile, militare, economico, ecc... Dei primi quattro
califfi, tre (Omar, Uthman e Alì) morirono assassinati.
Quale contrasto con i primi Papi della Chiesa cattolica, il
cui canone della Messa venera, dopo quella di San Pietro, la
memoria di:
San Lino, 2º
Papa, martirizzato nell'anno 79; |
San Cleto, 3º
Papa, martirizzato nell'anno 90; |
San Clemente,
4º Papa, martirizzato nell'anno 94. |
Predicatore, Maometto divenne
contemporaneamente capo di una banda, poi capo di una
guerra, e infine capo di Stato; più sopra, abbiamo
sottolineato il fatto che nell'Hegiaz preislamico non
esistesse né una struttura politica, né uno Stato
organizzato. Alla morte di Maometto, la conversione alla
nuova dottrina non aveva ancora varcato i confini dell'Hegiaz
- forse solo Medina e La Mecca - ma tutta l'Arabia conosceva
già la potenza politica dell'islam.
- Maometto fu un «profeta»?
Diciamo subito che la maggior
parte delle opere o degli articoli dedicati all'islam -
anche quelli che portano la firma di autori cattolici -
impiegano correntemente il termine di «profeta» per
designare Maometto, e generalmente con una «P» maiuscola,
come per sottolinearne la portata. Il Dizionario Robert
da, come significato improntato al latino ecclesiastico,
«interprete di Dio», e per esteso, «colui che predice
l'avvenire e pretende, in nome di Dio, di rivelare delle
verità nascoste». Il Dizionario Larousse aggiunge
che in termini assoluti, «profeta» è il «titolo che i
musulmani attribuiscono a Maometto»
48. Molto bene; ma per il musulmano è in senso
proprio (quello fornito più sopra dal Robert) che si
tratta di sapere se il titolo di «profeta» conviene o meno
al fondatore dell'islam. Maometto è stato l'«interprete di
Dio»? Ha forse predetto l'avvenire e rivelato, in nome di
Dio, alcune verità nascoste? Undici secoli prima di noi, il
cristiano Al Kindi pose questa domanda all'amico musulmano,
e gli diede una risposta: «"Profeta" significa
"annunciatore", e cioè colui che informa di un fatto
sconosciuto o che annuncia un evento futuro che si deve
realizzare [...]. Si crede che ciò che egli annuncia
è vero mediante i segni che confermano le sue parole, e che
attestano la verità di ciò che egli dice e racconta» 49.
In seguito, Al Kindi cita, ad esempio, Mosè, Isaia, Geremia,
Daniele, le loro profezie e i segni che le accompagnarono,
evocando infine Gesù Cristo, di cui sottolinea, in onore del
suo amico musulmano, la posizione a parte, in quanto «la
sua condizione è al di sopra della profezia, poiché il suo
rango è infinitamente più elevato, più nobile e più degno di
quello dei profeti». E il cristiano interroga Al Hashimi:
«Facci dunque conoscere, a riguardo del tuo maestro, cui
tu attribuisci (il dono della) profezia, ciò che egli
profetizzò, la profezia che proferì, e perché egli
meriterebbe da te e dalla tua gente sensata il titolo di
"profeta", e quale prova diede di esserlo. Se tu dici che
egli ci ha insegnato i racconti dei profeti [...]
come Noè, Abramo, Isacco [...], io ti rispondo che
egli ci ha insegnato ciò che noi conoscevamo già, e che i
nostri bambini imparano...». In effetti, il Corano
contiene numerosi racconti estratti direttamente dall'Antico
Testamento, e alcuni se ne fanno meraviglia, ritenendo che
ciò costituisca un fattore di unione tra cristiani e
musulmani. Senza dubbio, non si tratta di cose false; ma
allora, in che cosa consiste la novità dell'islam? «Se tu
pretendi - prosegue Al Kindi - che egli abbia
annunciato degli avvenimenti futuri, noi esigiamo che tu ci
dica quali. Ecco che in effetti sono ormai trascorsi oltre
duecento anni 50 dalla
sua epoca, nel corso dei quali si sarebbe
dovuto realizzare
o verificare qualcosa annunciato da lui. Ora, tu sai che su
questo punto egli non annunciò assolutamente nulla, né disse
una sola parola e non articolò neppure una lettera, il che
chiaramente non soddisfa la "seconda condizione necessaria
ad autenticare la profezia"». E i segni? Prosegue Al
Kindi: «Ha forse compiuto dei miracoli? No, il Corano non
ne menziona nemmeno uno, e Maometto non ne ebbe mai la
pretesa, mentre riconobbe (nel Corano stesso) quelli di Gesù
Cristo» 51. Riprendiamo
dunque la definizione del Dizionario Robert, e
ripetiamo la domanda: Maometto è stato l'«interprete di
Dio»? Ha egli predetto l'avvenire e rivelato delle verità
nascoste in nome di Dio? In breve: fu (letteralmente
parlando) un «profeta»? La critica di Al Kindi risponde
negativamente, e non senza una logica, a questo
interrogativo. Per il musulmano, Maometto è sicuramente
l'interprete di Dio e, a questo titolo, egli è certamente un
«profeta» (o, più precisamente, un rasùl, un
«inviato»). Per il non-musulmano, nulla gli impone di
seguire gli islamici su questo terreno. E per il cristiano?
L'ammiraglio
Gabriel Paul Auphan (1894-1982)
52 faceva notare nel resoconto di un
colloquio cristiano-islamico, tenuto sotto la direzione di
un religioso del Segretariato delle relazioni con l'islam a
Versailles il 10 maggio 1979, questa frase: «Si dice che
Maometto sia un falso profeta; peccato, perché il messaggio
coranico contiene il messaggio biblico
53. Si tratta - commentò
l’ammiraglio Auphan - di una presa di posizione
teologica, di cui lascio la responsabilità agli
organizzatori del colloquio, poiché la Chiesa insegnava e
insegna ancora, che non esiste altra Rivelazione che quella
della Sacra Scrittura - Antico e Nuovo Testamento -
illuminata dalla Tradizione, completamente priva di alcuna
"continuazione" da attendere, che se non ciò che
l'intelligenza, penetrata dalla fede, o le grazie accordate
ad alcune anime privilegiate, che permettono di fare
precisazioni sull'insieme teologico così circoscritto»
54. Non potendo dire di meglio,
cerchiamo dunque di concludere. Personaggio sicuramente
fuori del comune, Maometto presenta a distanza di tredici
secoli una statura storica sufficientemente di rilievo
perché ci sia il bisogno di aggiungervi qualcosa. Ci sembra
che l'appellativo di «profeta», con tutto ciò che esso
significa nella nostra lingua, sia improprio per qualificare
il fondatore dell'islam. Inoltre, dal punto di vista
cristiano, questa improprietà va evitata, in quanto essa
contribuisce a perpetuare un'opinione falsa, secondo cui il
messaggio islamico si inscriverebbe nell'insieme della
Rivelazione.
IV
FONTI PRINCIPALI DELLA DOTTRINA
E DELLA DISCIPLINA DELL'ISLAM
Le fonti dottrinali e
disciplinari dell'islam sono contenute nel Corano, nella
Sunna (dall'arabo sunnàh, ossia «tradizione»), e
infine nella legge o sharìa. Esaminiamole in
successione.
Il Corano
-
Le Scritture
Nelle pagine del Corano, gli
ebrei e i cristiani vengono designati come gli
«scritturali», o «genti della Scrittura», e cioè - in
trasparenza - coloro che, prima dell'islam, furono favoriti
da Dio con una rivelazione scritta; l'Antico Testamento per
gli ebrei e per i cristiani, completato dal Nuovo testamento
per questi ultimi. «O voi che riceveste le Scritture»!
Vedremo più oltre il Corano interpellare così gli
«scritturali», prima di esortarli ad aderire all'islam. O
voi che avete ricevuto prima di noi questi «assaggi» della
Parola divina, come potete restare sordi al messaggio di
Maometto, dell'Ispirato?
- Il libro
Secondo Padre Lammens, la
parola «Corano», più che «recitazione» significherebbe
«lettura». Ma per i musulmani, la parola «Libro» designa a
priori il Corano; se si afferma di un uomo che egli «legge»,
l'uso di questo verbo senza complemento indica che
quest'uomo legge il Corano, altrimenti bisognerebbe
precisare che «egli legge il tal libro...». Se il beduino
preislamico era ghiotto di poesia, e usava una lingua ricca
ed evoluta che impedisce di classificarlo tra le nazioni
primitive, al contrario, la tradizione nell'Hegiaz era
essenzialmente orale e la letteratura pressoché inesistente.
Ricordiamoci anche che gli ebrei, questi «scritturali» - e
come tali favoriti - guardavano con disprezzo questi beduini
politeisti e litolatri. Ma ora, ecco che con Maometto, con
la rivelazione del Corano e con la verità dell'islam, il
beduino entra a sua volta a far parte della casta degli
«scritturali»; anche a lui, e specialmente a lui, Dio ha
parlato e ha dettato un libro... Forse era l'unico libro
dell'arabo dell'Hegiaz, ma che libro! Alla luce di questi
rilievi, andiamo ora ad affrontare il tema trattato nel
capitolo che segue.
Origine del Corano: il suo autore
-
Per i musulmani
Secondo la tradizione, mentre
Maometto se ne stava a meditare in una grotta del Monte Hira,
gli apparve l'angelo Gabriele (in arabo Jabrà),
messaggero di Allah, e gli trasmise tutto il contenuto del
Corano. Fu la «notte della rivelazione». Riavutosi da questa
specie di estasi, e ridisceso a valle in mezzo ai suoi,
Maometto, durante i giorni e le settimane successive,
trasmise loro questa rivelazione mano a mano che, in modo
frammentario, questi gli ritornavano alla memoria; i suoi
compagni si affrettavano poi ogni volta a metterli per
iscritto. Tutto ciò non ci rammenta nulla? Ma sì, è
evidente!! Mosè che scende ancora sfolgorante dal Monte
Sinai verso il suo popolo, con le tavole della Legge. Eccoci
dunque in presenza di un'analogia caratteristica, di cui,
nel corso di questo studio, evocheremo molti altri esempi.
Ogni cosa accadde come se Maometto volesse in qualche modo
rafforzare la credibilità della dottrina e della tradizione
che stava elaborando, ricorrendo ad alcuni precedenti
storici attinti dall'eredità degli «scritturali»,
accaparrandoseli liberamente come se fossero stati ricevuti
da lui per grazia divina.
- Autore probabile per i
non-musulmani: Maometto
Padre Lammens 55
considera il Corano come l'opera personale di Maometto,
stimando che ciò non sarebbe mai stato rimesso in questione,
e pensa che la composizione delle diverse parti del Corano
sia avvenuta tra il 610 ed il 632. Tuttavia, ciò non esclude
affatto le mutuazioni dall'Antico Testamento e dal Talmud
56, mutuazioni alle quali ha
massicciamente provveduto il redattore del Corano. Le opere
di Padre Théry hanno messo in evidenza in modo
impressionante la realtà di questi plagi, e la somiglianza
pressoché letterale che talvolta esiste tra alcuni versetti
del Corano e diversi passi dell'Antico Testamento. Altrove,
si rimano sorpresi nel constatare nel Corano il ruolo che
occupano i precetti - minuziosamente dettagliati - relativi
alle donne; ora, questi stessi precetti occupano circa una
settima parte del contenuto del Talmud...
- Forma materiale del
Corano: Sure e versetti
Il Corano è diviso in 114
capitoli, detti Sure (dall'arabo srah, ossia
«capitoli» o «parti»), ma per designarli i musulmani non
impiegano i numeri, ma dei nomi (Sura «La Vacca»,
Sura «La Luce», ecc...) che generalmente si ispirano
al tema principale trattato in quel capitolo. A loro volta,
le Sure sono suddivise in versetti (in arabo àyàt,
ovvero «versi» o «righe»), ognuno dei quali termina con
un'assonanza, tenendo conto della rima. Il Corano contiene
in totale 6.200 versetti (circa, perché il modo di troncare
i versetti varia a seconda delle diverse edizioni).
- Classificazione delle
Sure in ordine decrescente
Nella sua forma materiale, il
libro sacro dei musulmani presenta una prima singolarità: le
Sure sono classificate in ordine decrescente di lunghezza,
ad eccezione della prima di esse, detta Fatihat-el-kitab
(«che apre il libro» o la «preliminare»), la quale non
contiene che sette versetti.
- Mancanza di ordine logico
e cronologico nel Corano
La seconda particolarità più
sconcertante per il lettore del Corano è costituita dal
disordine che vi regna. Manca di ogni ordine logico:
l'insegnamento su questo quel tema preciso (la donna, il
paradiso, l'inferno, ecc...) è spezzettato a caso; oltre a
ciò, si aggiunga che nella stessa Sura i discorsi senza capo
né coda, da un versetto all'altro, sono legione. Manca anche
un ordine cronologico: sebbene la redazione del Corano abbia
richiesto tre decenni e contenga numerose allusioni a fatti
storici precisi riguardanti la carriera di Maometto, lo
svolgimento dell'opera stessa è una «carambola [...],
una vera sfida alla storia e all’intelligenza del testo» 57.
- La recensione del califfo
Uthman
L'edizione del Corano, nella
sua forma esteriore di cui abbiamo or ora sottolineato le
peculiarità, viene attribuita al califfo Uthman (644-656).
«Uthman comprese la necessità di fermare in tempo la
pericolosa diffusione di redazioni e copie di carattere
privato, contenenti una caterva di imprecisioni e varianti»
58. Il manoscritto di Al Kindi
aggiunge alcuni ulteriori particolari sulle circostanze che
motivarono la decisione del califfo Uthman: «Quando il
potere passò nelle mani di Uthman [...], le genti
leggevano diversamente gli uni dagli altri [...]. In
quel tempo, qualcuno leggeva il tal versetto, e un altro lo
leggeva in un modo diverso, e l'uno diceva all'altro: "La
mia lettura è migliore della tua". Ognuno faceva riferimento
al maestro presso cui leggeva, dimodoché il testo veniva
allungato o abbreviato, cambiato o alterato. A Uthman venne
dunque riferito che la gente leggeva il testo in modi
diversi; che essa aggiungeva qualcosa o lo toglieva a
piacimento, e che su questo punto si facevano delle dispute;
che l'inimicizia andava propagandosi, e che le persone
finivano per dividersi in partiti opposti; che se la
situazione si fosse prolungata e aggravata, si rischiava di
vedere gli uomini uccidersi gli uni gli altri, alterarsi il
libro, e ricominciare l'apostasia» 59.
Per dirla in breve, Uthman fece riunire tutti i rotoli e le
pergamene, e designò una commissione incaricata di dare
forma ad una redazione definitiva, dopodiché «scrisse ai
prefetti ordinando di raccogliere tutto ciò che potevano e
di distruggere tutto quanto, e che si fosse appreso che
qualcuno avesse tentato di custodire una copia del libro, di
minacciarlo e di punirlo. Tutti i testi raccolti furono
gettati nell'aceto bollente ed inzuppati fino ad essere
completamente distrutti» 60.
Questo fatto ci sembra fornire lo spunto per una
riflessione: da queste contese, alle quali il califfo mise
fine, ognuno dei protagonisti era indubbiamente animato
dalla volontà di far prevalere la propria versione della
parola del Maestro, giudicata come sicuramente la più fedele
all'originale. Poc'anzi, abbiamo però dimostrato che ciò che
si era impiantato nell'Hegiaz non era un potere unicamente
religioso, ma era anche una supremazia politica,
legislativa, militare, e anche finanziaria... Ci si può
dunque domandare se ciascuno degli adepti rivali non fosse
anch'egli spinto dal movente di provare di essere stato -
più di ogni altro - vicino al Maestro e suo intimo, e che
quindi detenesse legittimamente e in maniera incontestabile
anch'esso una parte di questo potere. La nostra storia non
manca di esempi di situazioni analoghe, in cui,
immediatamente dopo la dipartita di qualcuno, scoppiavano
delle rivalità che, sotto le apparenze di una difesa della
purezza del messaggio, celavano dei contrasti tra
arrivisti... Non si vede quindi perché l'islam avrebbe
dovuto essere risparmiato da tali situazioni.
- Tentativo di
riclassificazione delle Sure
Riprendendo gli studi di Padre
Théry, don Bertuel sottolinea che qualsiasi studio del
Corano esige che, prima possibile, sia restituito l'ordine
cronologico delle Sure, al fine di poter fissare le diverse
tappe della predicazione di Maometto, prima alla Mecca e in
seguito a Medina. Verso la fine del secolo scorso e
all'inizio del nostro, numerosi esegeti occidentali hanno
cercato di ristabilire quest'ordine; tra di essi, ricordiamo
Hubert Grimme (1892), Hartwig Hirschfeld
(1902), o ancora Noldeke (1909), la cui classificazione fu
accolta con maggior favore dagli eruditi 63. Queste
riclassificazioni poggianti su alcune analisi stilistiche,
letterarie o concettuali, permettono di distinguere una
prima serie di novanta Sure, detta «meccana», e una seconda
di ventiquattro, detta «medinese», posteriore quindi alla
prima. Naturalmente, il nuovo ordine delle Sure, così
stabilito, non ha più nulla in comune con quello del Corano
uthmaniano ufficiale, ed una tale manipolazione del loro
libro, non potrebbe essere considerata dai musulmani che con
riprovazione.
Ciò che il Corano è per i musulmani
-
Libro divino e «increato»
Per i musulmani, il Corano è il Libro e la Parola di
Allah,
tanto che ogni citazione coranica viene sempre introdotta
dal preambolo «Allah ha detto...» 61.
«L'ortodossia
musulmana considera il Corano come increato nel senso che
non solo esso riproduce una copia conforme al prototipo
della rivelazione divina - Omm-al-kitab
62 - conservata in
Cielo fin dall'eternità (Sura XIII, 39; Sura XLIII, 3), ma
che nella sua forma attuale, nella sua riproduzione fonetica
e grafica, e nel suo rivestimento linguistico arabo, esso è
identico e coeterno all’originale celeste»
63.
- Rivelato a Maometto
Più avanti, nel corso di
questo articolo, si comprenderà meglio l'importanza del
seguente concetto: è a Maometto, e a lui solo, che Allah,
con la mediazione dell'angelo Gabriele, ha rivelato il
Corano. Non che Maometto abbia ricevuto l'esclusiva del
Messaggio divino (giacché l'islam ammette la realtà, ma non
l'integrità del contenuto), ma è a lui solo che Allah ha
rivelato il Messaggio per eccellenza, quello che contiene
tutti gli altri, che li perfeziona e che li supera. Su
quest'ultimo punto è necessario riportare una considerazione
che ci pare caratteristica.
Scrive il filosofo Mohammed
Arkoun (1928-2010): «Si tratta, oggi, di rendere
possibile una riflessione religiosa scevra di preconcetti
teologici e aperta a tutte le esperienze religiose
dell'umanità» 64. A tal
fine, egli cita Al-Hassan al-Basrî
(542-728), intellettuale musulmano: «Allah ha incluso nel
Corano le scienze dei Libri anteriori, e ha poi incluso le
scienze del Corano nella Fatiha 65;
chiunque dispone del commento di quest'ultima assomiglia
a colui che possiede l'esegesi di tutti i libri rivelati».
Árkoun stima che questo testo «ci metta in guardia contro
ogni lettura riduttrice» (del Corano). Si potrebbe
contestare a questi autori il diritto a tali affermazioni.
Tuttavia, tali riflessioni ci sembrano alquanto scarne
perché il lettore possa trarne motivo di convinzione.
|
|
Mohammed
Arkoun |
Fatiha |
- Scritto in lingua araba
Come abbiamo visto in
precedenza, l'originale celeste del Corano, custodito dagli
Angeli in Cielo, è scritto in arabo. Difficilmente si
immagina la portata di un simile concetto, motivo per cui
addurremo ora alcuni esempi. Innanzi tutto, va sottolineato
che, per il musulmano, ogni traduzione del Corano in
un'altra lingua che non sia l'arabo è in qualche modo una
pratica peccaminosa - harâm 66
- ovvero sulla linea di confine della liceità, e quindi
impensabile. Tempo addietro, una giovane coppia di nostri
amici, all'uscita dalla Messa davanti alla chiesa di Rueil,
è stata avvicinata da un musulmano di circa vent'anni, alla
ricerca di un indirizzo. Dopo che i nostri amici gli
fornirono le indicazioni necessarie, si passò a discutere di
altre cose. Questo ragazzo studiava presso una facoltà
universitaria parigina, e anche suo padre, immigrato
marocchino, abitava a Parigi. Avendo inteso dei canti
all'uscita della chiesa, egli ne chiese il significato e
l'origine, e si iniziò così a parlare di temi religiosi:
-
Amici - «E
lei conoscerà certamente il Corano»!
-
Marocchino -
«No - rispose un po' confuso l’interessato - confesso di
no averlo mai letto, poiché non conosco l'arabo...».
-
Amici - «Ma
esistono numerose traduzioni francesi...», obiettarono
con prudenza i nostri amici...
-
Marocchino -
«No; ho posto tale questione a mio padre, ed egli mi ha
risposto che il Corano in francese non esiste»!
Aggiungiamo che, nello spirito
musulmano, si tratta di un'inesistenza, di un non-essere,
quasi nel senso filosofico del termine... Uno dei nostri
amici, aveva sentito dire che presso la grande moschea di
Parigi, era possibile reperire - gratuitamente e in formato
tascabile - alcuni esemplari «di volgarizzazione» del
Corano. Mosso dalla curiosità, si recò alla moschea; alcuni
impiegati, tanto gentili quanto perplessi, lo mandarono da
un ufficio all'altro, finché alla fine gli venne mostrato
quasi con reticenza tutto ciò che era disponibile: una
lussuosa edizione in due volumi, formato Larousse,
dal prezzo molto elevato, contenente - sembra - le Sure del
Corano, ma anche tante altre cose, il tutto vivacemente
miniato. Ma del Corano in francese per il proselitismo non
vi era assolutamente nessuna traccia. È fuor di dubbio che
l'islam sia conquistatore e cerchi di convertire. Ciò
nonostante, esso stenta a diffondere in grande scala il
Corano tradotto in un'altra lingua che non sia l'arabo.
Nondimeno, esso dovrebbe avere presente questi problemi e
tenere conto di certe evoluzioni: è indubbio, infatti, che
la maggior parte dei musulmani del Marocco - tranne le
ultime generazioni - quando sono in grado di leggere,
leggono il francese, e un po', o per nulla, l'arabo. Com'è
dunque possibile in queste condizioni insegnare la loro
religione alle giovani generazioni senza troppo derogare dai
principî? Una risposta a questo interrogativo può essere
trovata nel modo in cui è stata presentata l'edizione del
1983 dell'Istruction islamique, utilizzata negli
istituti dell'insegnamento secondario in Marocco
67.
Tutto il testo, composto da
seicento pagine, è praticamente in francese, ma tutte le
citazioni estratte dal Corano sono in arabo, e seguite dalla
traduzione in francese. Oltre a ciò, tali menzioni sono
stampate su fondo verde (il colore prediletto dell'islam) e
circondate da miniature, per mettere maggiormente in risalto
il testo sacro e staccarlo così dal resto dell'opera. Resta
il fatto che la lingua araba è, in un certo qual modo, il
passaggio obbligato di chi voglia abbracciare l'islam, visto
che generalmente ogni neofita è tenuto ad apprendere in
arabo le Sure più importanti. Non si può forse affermare
che, in una certa maniera, nell'islam l'arabo occupa lo
stesso ruolo che occupava il latino presso il cattolicesimo
fino a qualche decennio fa (anche se è sempre stato
possibile convertirsi al cattolicesimo senza passare
obbligatoriamente per il latino), e che l'islam ha saputo
conservare questo fattore di unità abbandonato con tanta
leggerezza dall'Occidente cristiano? Occorre perciò
aggiungere che - parallelamente all'espansione dell'islam -
il mondo arabo dispone così di un efficace strumento per
l'espansione mondiale della sua lingua, e quindi, della sua
influenza.
- Somma di tutte le
conoscenze «lecite»
Affronteremo ora uno degli
aspetti più essenziali dell'islam; se non lo si afferra in
modo corretto, è meglio rinunciare a comprendere la
mentalità del musulmano, la sua storia, la sua civiltà e
alcuni dei suoi atteggiamenti odierni. A tale scopo,
iniziamo citando dal Professor Gautier una delle migliori
analisi che conosciamo su questo punto-chiave dell'islam:
«Il Corano non è, come il Vangelo, un semplice libro sacro
su cui si basa la vita religiosa; esso è il Codice, la
raccolta di tutti codici, e la base unica della vita
giuridica. Esso è la costituzione, la fonte teorica di ogni
potere politico, e il principio di ogni amministrazione di
qualsiasi Stato islamico [...]. Ma il colmo per noi
occidentali è costituito dal fatto che il Corano è per di
più il compendio stabilito una volta per sempre di ogni
conoscenza. Abbiamo già una certa dimestichezza con
alcune conseguenze derivanti da questa concezione. Ad
esempio, la mancanza di interesse del musulmano di fronte ai
prodigi della scienza; "djenun fih", "c'è di mezzo il
diavolo", e "tutto ciò è sospetto di eresia"» 68.
Fin dalla sua tenera età, la scuola coranica radica
nell'animo del musulmano questo concetto e questa
inclinazione: il Corano contiene tutto,
assolutamente tutto, ciò che è necessario e sufficiente
alla conoscenza umana, sia per condurre la sua vita terrena,
che per guadagnare il Paradiso.
Di conseguenza, tutto ciò
che non è contenuto nel Corano è privo di reale e profondo
interesse per l'uomo. Il Corano, dunque, libro
sacro dei musulmani, racchiude certamente tutte le scienze,
ma anche tutte le scienze «permesse» al conoscere umano da
Allah, l'Onnisciente. Conseguentemente, tutto ciò che non è
contenuto nel Corano è macchiato di sospetto, hâram...
o, come sostiene il Gautier, al limite del diabolico. Per
finire, questo libro divino, questo Corano coeterno,
raccolta necessaria e sufficiente di tutto ciò che l'uomo
deve conoscere, è scritto in arabo, ed è stato rivelato a
Maometto, e a lui solo. Da ciò ne deriva che l'islam detiene
il monopolio non solamente del vero, ma anche del vero
«utile».
- Una conoscenza chiusa
Come abbiamo appena visto, per
i musulmani il Corano contiene la somma di tutte le scienze,
e che «nulla è stato omesso». A questo punto, non si può
fare a meno di constatare come interi settori della
conoscenza, laboriosamente edificati in millenni dal genio
infuso nell'uomo dal suo Creatore, siano totalmente assenti
dal Corano. In esso, infatti, non si fà menzione della
fisica, della chimica, della metallurgia, delle scienze
agrarie, della medicina, della biologia, ecc..., e - non
certo in misura maggiore - dell'insegnamento o dei
contributi esistenti nell'immenso dominio delle arti:
musica, pittura, scultura, ecc... A questo proposito, scrive
Hours: «Questo atteggiamento è la negazione di ogni
sforzo scientifico, di ciascuna scienza particolare, della
"scienza" stessa. Non c'è nulla di inspiegabile quindi nell'inerzia
dell'islam sia di fronte a qualsiasi sforzo
scientifico, che ad ogni tipo di applicazione delle scoperte
della scienza» 69. Ciò
nonostante, siccome siamo convinti che lo spirito dell'arabo
musulmano non sia minimamente inferiore a quello dell'uomo
occidentale, ci poniamo questa domanda: com'è possibile che
a tredici secoli dalla nascita dell'islam, che i popoli
musulmani, compresi quelli più ricchi, siano ancora
tributari dell'Occidente per qualsiasi applicazione delle
scoperte scientifiche? Possiamo forse fare menzione di
almeno un'automobile, di una macchina-utensile, di un
farmaco o di un prodotto industriale un tantino evoluto,
concepiti e prodotti da un Paese arabo islamico? Nel
constatare che ciò non è possibile, insistiamo sul fatto che
non si tratta di intelligenze inferiori, ma di un profondo
disinteresse, spesso leggermente tinto di un sospettoso
disprezzo per tutte queste cose. E per chiudere queste brevi
note, richiamiamo con Hours un'obiezione che viene spesso
sollevata: «Come negare l’attitudine dell'islam
all'attività scientifica, quando è proprio lui che in un
periodo lungo cinque secoli, che va dall’Alto Medio Evo ai
nostri giorni, ha ricevuto dai greci la fiaccola della
ricerca per poi trasmetterla a noi? Come negarlo, dal
momento che tutti i campi, dalla filosofia alla matematica e
all'"algebra", dalle scienze naturali alla medicina e
all'"alchimia", li dobbiamo con riconoscenza proprio
all'islam, e che la nostra stessa lingua conserva ancora il
ricordo di questo debito? Già molto tempo fa (e precisamente
nel corso di una conferenza tenuta alla Sorbona il 29 marzo
1883),
Ernest Renan 70
ha dato una risposta a tale obiezione. Infatti, egli
dimostrò che se l'estendersi delle conquiste arabe permise
agli islamici di entrare in contatto con civiltà diverse
[...], e che se questi contatti favorirono su numerosi
punti l'accrescimento delle reciproche conoscenze, essi non
furono generalmente l'opera di arabi propriamente detti, e
che l'elemento arabo fornì unicamente a questa attività una
lingua per comunicare [...]. Tale attività continuò
non per effetto dell'islam, ma indipendentemente da esso e
senza godere della sua simpatia; la potente reazione
musulmana [...] finì in seguito per arrestare questo
movimento e per estinguerlo ben presto radicalmente. E Renan
concludeva: "In realtà, i liberali che difendono l'islam non
lo conoscono affatto. L'islam è la coesione indivisibile
dello spirituale con il temporale, è il regno di un dogma,
è la catena più pesante che l'umanità abbia mai
portato. Nella prima metà del Medio Evo [...]
l'islam [...] ha tollerato la filosofia perché non ha
potuto fare altrimenti. Ma quando esso ha avuto a sua
disposizione delle masse ardentemente credenti, l'ha
completamente distrutta"». Questa citazione ci sembra
costituire un interessante sviluppo della constatazione di
Gautier sull'atteggiamento dell'islam di fronte alla
scienza.
- Le arti figurative sono
proscritte dall'islam
Il giudaismo antico riteneva
che, onde evitare ogni ritorno a qualsiasi ritorno
all'idolatria, occorresse proibire la rappresentazione di
uomini e di animali; l'islam ha ereditato dall'ebraismo
questa e molte altre cose, l'ha interpretata a modo suo, e
l'ha inoltre amalgamata con un concetto che gli è proprio:
«Rappresentare un essere vivente, equivale a voler
scimmiottare il Creatore (pretesa diabolica)». Ecco un
apologo che dimostra questo concetto: un giorno un uomo
scolpì una statua d'uomo e se ne inorgoglì; egli morì, e il
Giorno del Giudizio, Allah lo interrogò alla presenza degli
Angeli:
- «Dimmi: cos’hai fatto di
buono sulla terra»?
L'uomo esibì la sua statua e
rispose: «Ho fatto questa, Signore»!
E Allah gli chiese: «E tu
ne sei fiero?»
«Sì, Signore, ne sono
fiero»!
E Allah gli ordinò: «Dona
la vita a questa immagine»!
E l'uomo confessò
vergognosamente: «Non ci riesco! Tu solo, o Signore, ne
hai il potere»!
Poiché egli aveva voluto
imitare Allah, fu ridicolizzato davanti a tutto l'Universo!
Come stupirsi di tutto questo visto che l'islam (del quale
tuttavia numerosi storici attestano il ruolo decisivo svolto
a suo tempo nello sviluppo delle arti architettoniche, e che
non è assente - benché fino ad un certo grado - in altre
arti come la musica, o la ceramica) non ha mai partorito un
Michelangelo o un Rubens?
- Tentativi musulmani di
correggere questa immagine
Attualmente, alcuni pedagoghi
musulmani stanno tentando di inculcare nelle giovani
generazioni la convinzione che, lungi dall'essere una
religione antiscientifica o ascientifica, l'islam è al
contrario la religione non solo della ragione, ma anche
della scienza. È interessante osservare il modo in cui essi
spingano in questa direzione; si tratta certamente di
elemento rivelatore. Ecco ciò che chiunque può leggere nella
summenzionata Instruction islamique pubblicata in Marocco
nel 1983:
-
L'islam è la
religione della scienza: «É suo dovere
(dell'uomo) [...] contribuire allo sviluppo di tutte le
scienze. A questo proposito, leggiamo nel Corano: "Il
Signore eleverà a dei ranghi privilegiati i credenti tra
voi; difatti, per coloro ai quali Egli avrà rivelato la
scienza"... e il profeta Maometto ha detto in un hâdìt:
"L'acquisizione della scienza è un dovere per ogni
musulmano"» 71.
-
La scienza non è la
conoscenza esclusiva della religione: «L'islam
[...] ci esorta ad apprendere ciò che ci è utile. (In
questo modo), Allah ci ordina di studiare la biologia
(eccone la prova) nei seguenti versetti: "Che l'uomo
consideri ciò con cui egli fu creato. Egli è stato creato da
una goccia d'acqua (il seme) uscita dallo spazio tra i lombi
e le costole". Lo stesso manuale affronta in seguito il tema
dell'agricoltura: «Il fatto che l'islam inviti ad occuparsi
dell'agricoltura è manifesto nelle parole dell'Altissimo:
"Che l'uomo consideri il suo nutrimento; abbiamo solcato
profondamente la terra, e ne abbiamo fatto uscire dei
cereali, delle vigne, dei legumi"» 72.
Poi è la volta dell'industria: l'islam la conosce, la
pratica e la prova: «Nel Corano è detto: "Noi abbiamo
appreso a fabbricare delle cotte d'armi per premunirvi
contro il pericolo"» 73.
Occorrerebbe citare tutto...
L'autore non si basa su delle constatazioni, su dei fatti, o
su dei ragionamenti. Tutta la forza di convinzione -
tipicamente musulmana - risiede nell'affermazione, e l'unica
fonte su cui poggiare le proprie argomentazioni rimane il
Corano. La scoperta dell'elettricità ha rivoluzionato il
pianeta, e questa forma di energia occupa ormai nelle nostre
esistenze un posto di primaria importanza. Cosciente di
questo, e anche del fatto che tale scoperta non deve nulla
né agli arabi, né all'islam, un dottore musulmano scrisse
alcuni anni fa che l'islam conobbe l'elettricità prima di
tutti gli altri popoli. «La prova - sentenziava -
sta nel fatto che cercando nel Corano, ho trovato la parola
"folgore"». Non c'è forse qualcosa di patetico in questo
goffo tentativo dell'islam, che cerca di trarsi d'impaccio
da un peso, ricorrendo allo stesso peso per tentare di
dimostrare il contrario? Per concludere, citiamo un altro
estratto del succitato testo scolastico:
-
L'islam combatte
l'ignoranza: «Alcune branche della scienza furono
esplorate e approfondite, ed è per questo che numerosi
musulmani possedevano biblioteche ricche di opere in
persiano, in greco e in indiano che trattavano temi di
filosofia, matematica, astronomia, medicina, chimica, ecc...
In seguito, queste scienze divennero arabe e furono
trasmesse all'Europa» 74.
- Il Corano si iscrive
nella Rivelazione?
Non di rado, si legge o si
sente parlare di «Corano rivelato», o di «Rivelazione» a
proposito del libro sacro dei musulmani, o del suo contenuto
religioso. Dal punto di vista del cristiano, che cos'è
esattamente il Corano? Il cristiano deve forse ammettere che
l'insieme del messaggio coranico si inserisce nella
Rivelazione divina? Per non incorrere nel rischio di
ripeterci, rinviamo il lettore al paragrafo intitolato
«Maometto fu un «profeta»?, dove si troverà che
l'insegnamento costante della Chiesa cattolica esclude il
messaggio coranico dalla Rivelazione divina.
La Sunna
75
La Sunna è un insieme
di regole di vita religiosa, morale e sociale estratto dalla
vita di Maometto e dal suo insegnamento.
- Composizione
Pare che l'elaborazione della
Sunna sia stata iniziata già durante il primo secolo
dell'égira, per poi arricchirsi considerevolmente nel corso
dei secoli successivi. Essa viene confermata dagli hâdìt;
l’hâdìt consiste in una frase o in una sentenza
attribuita a Maometto o ai suoi compagni, mediante la quale
si cerca di giustificare o confermare una pratica della
Sunna. «Le fazioni politiche e religiose che crebbero
in seno all'islam primitivo, cercarono ben presto di
utilizzare il metodo dell'hâdìt per raggiungere le loro
rispettive mire particolari. Omayyadi, abbasidi e alidi
poterono così combattere e polemizzare tra loro avvalendosi
degli hâdìt» 76. Padre
Lammens ci rivela che, fin dal V secolo, la ricerca di nuovi
hâdìt era divenuta un vero e proprio sport:
«Alcuni mohadditi si vantavano di conoscerne a memoria
100.000, o persino 1.000.000 [...]. É in questa
situazione - mal vista dai sapienti ufficiali - che si
giunse ad attribuire a Maometto questo aforisma: "Se
incontrate una bella frase, non esitate ad attribuirmela:
devo averla sicuramente detta"» 77.
- Utilità
La Sunna ha lo scopo di
completare e spiegare il Corano (il cui testo - quantunque
il suo autore affermi «di non avere omesso nulla» -
Sura VI, 38 - contiene molte oscurità e lacune). Così, ad
esempio, il Corano raccomanda la preghiera, ma senza
fissarne le modalità (numero, riti, ecc...), e i dettagli
che si trovano invece sulla Sunna, ottenuti
dall'esempio o dalle indicazioni di Maometto. «In tutti i
casi, dunque, in cui nessuna usanza era stata prestabilita,
o laddove il testo del Corano non aveva stipulato alcunché,
ci si rivolgeva alla Sunna, all'Usanza del Profeta [...],
talvolta anche per pia finzione non si esitava a supporre o
a presentare come realmente accaduto - o in altri termini -
ad inventare ciò che si era deciso trovandosi di
fronte a nuove situazioni» 78.
- Infallibilità
Maometto agì sotto
l'ispirazione dell'Altissimo; e così anche la Sunna,
insegnata da lui o tracciata sul suo esempio, beneficiò del
privilegio dell'infallibilità, comportando quindi per i
fedeli l'obbligo a sottomettervisi. È per tale motivo che i
musulmani ortodossi si auto-definiscono «gente della
Sunna» (o «sunniti»).
La legge dell'islam (sharìa
e giurisprudenza)
- Origine: il
diritto o fiqh
«L'espansione dell'islam al
di fuori dell'Arabia, la fondazione e l'organizzazione del
califfato, determinarono la formulazione del diritto o "fiqh",
che letteralmente significa "saggezza", ed equivale alla "prudentia"
dei romani. Come presso questi ultimi, ma in senso molto più
stretto, il "fiqh" è [...] la conoscenza e la
definizione delle leggi divine e umane [...]. La
teoria ortodossa afferma che sostanzialmente non esistono
azioni buone o cattive, indipendentemente dalla legislazione
rivelata. Il loro valore morale dipende dalla volontà
divina, iscritta nelle rivelazione coranica. L'islam è
essenzialmente una religione legale. Nulla viene lasciato né
all’arbitrio, né all’iniziativa del fedele. Il fiqh
abbraccia dunque l'insieme degli obblighi che la legge (in
arabo sharìa) coranica impone al musulmano, nella sua
triplice qualità di credente, di uomo e di cittadino di una
teocrazia. Il Corano rappresenta per lui il Discorso sulla
Storia universale. Da esso egli ha appreso il mistero dei
destini religiosi delle società umane e la preminenza della
collettività islamica. Ecco dunque che la sharìa,
proponendosi come l'interpretazione della rivelazione, gli
detta lo statuto familiare, il diritto penale, il diritto
pubblico e internazionale, le relazioni con i non-musulmani,
e infine regola la sua vita religiosa, politica e sociale,
di cui essa si riserva di sorvegliare le molteplici
manifestazioni e di dirigerne il complicato ritmo»
79.
- Le diverse scuole
giuridiche
Principalmente, si distinguono
quattro scuole giuridiche ortodosse, ciascuna delle quali
porta un nome derivante da quello del suo fondatore:
-
scuola sciaffiita (fondata
dall'imam - «guida», «modello» o «esempio» -
al-Shàfiì-Abù-Abd-Allah Muhammed ibn Idris;
767-820);
-
scuola malikita (fondata
dall'imam Màlik ben Anas; 710-795);
-
scuola hanifita (fondata
dall'imam iracheno Abù Hanìfa; 696-767);
-
scuola hanbalita (fondata
dall'imam Ahmed ibn Hanbal; 780-855).
Ognuna di esse privilegia una
fonte piuttosto di un'altra, ed è proprio questo aspetto che
le differenzia; tuttavia, tali diversità non poggiano che
alcuni dettagli. Eccone un esempio: si può dire «io sono
credente» senza aggiungere «insh'Allah»? Sì, dice
la scuola hanifita; no, dicono le altre.
- Gli uléma
Essi, come ci dice Padre
Lammens, sono gli interpreti autorizzati del consensus,
e cioè dell'idjma (l'accordo tra i dottori
qualificati e gli uléma di un certo periodo su tale o
su tal'altra interpretazione dei testi della Sunna).
In caso di dubbio, i semplici fedeli debbono ricorrere ad
essi. Il loro responso - scritto - costituisce una
«decisione».
- Il cadi
Scelto nella classe degli
uléma, egli è il titolare di una magistratura
giudiziaria.
NOTE
1 Traduzione dall'originale francese Connaissance
élémentaire de l'islam («Conoscenza elementare dell'islam»),
a cura di Antonio Casazza.
2 Cfr. Le Point, del 13 marzo 1984.
3 Cfr. J.
Hours, La conscience chrètienne devant l'islam
(«La coscienza cristiana di fronte all'islam»), 1962; ristampato
a parte sui nn. 60 e 65 della rivista Itinéraires, pag.
8.
4 Cfr. Il Corano, Brancato Editore, Catania
1989, pagg. 467. Di volta in volta, per la traduzione di alcuni
particolari versetti, oltre alla traduzione italiana di A.
Fracassi, verranno usate altre due versioni: quella di
Kasimirski (Maisonneuve et Larose, Parigi 1980) e quella di
Blachère (Editions Baudoin, Parigi 1980), che a seconda del
traduttore saranno contrassegnati con la sigla (K) o con la
sigla (B), mentre quelli di A. Fracassi con la sigla (F).
5 Libraire Orientale, Beirut 1943.
6 Cfr. P. H.
Lammens s.j., op. cit., pag. 11.
7 Ibid., pag. 15.
8 Sètta monofisita fondata in Siria dal monaco
Giacomo Baradeo († 578) Vescovo di Edessa. Il monofisismo (unità
di natura) predicava una dottrina che negava la distinzione
delle due nature, umana e divina, di Gesù Cristo, e pretendeva
che la prima avesse assorbito la seconda; il Concilio di
Calcedonia (451) definì che queste due nature sono unite, ma non
confuse, e condannò questa eresia.
9 Dottrina ereticale della sètta di Nestorio
(380-440), Patriarca di Costantinopoli, secondo il quale Gesù
Cristo non era che un uomo in cui il Verbo di Dio risiedeva come
in un tempio; essa distingueva in Lui due persone: una umana e
l'altra divina. Maria doveva essere chiamata «Madre di Cristo» e
non «Madre di Dio». Tale dottrina fu condannata dal Concilio di
Efeso (431).
10 Cfr. H.
Lemmans, op.
cit., pag. 30.
11 Cfr. B.
Carra De Vaux,
Dictionnaire théologique, pag. 1138.
12 Questa disposizione del testo verrà
usata ogni qualvolta useremo, nel corso di questo opuscolo, un
versetto del Corano. «Le rivelazioni coraniche [...]
erano accompagnate da fenomeni impressionanti: la tradizione
musulmana narra che quando Maometto le sentiva venire era scosso
da forti brividi, cadeva a terra febbricitante e gridava:
“Avvolgetemi in un mantello”»! Alla fine, restava esausto,
madido di sudore e con fortissimi dolori al capo (cfr. C. M.
Guzzetti, Il
Messaggio di Allah, Leumann, Torino 1979; cit. in
J. M. De La Croix,
Le religioni e la religione, Mimep-Docete, Milano 1990,
pag. 123).
13 Cfr. J.
Bertuel,
L'islam: ses véritables origines («L'islam: le sue vere
origini»), N.E.L. 1981.
14 Cfr. E.
Dermenghem,
Mahomet et la tradition islamique («Maometto e la tradizione
islamica»), du Seuil, 1955, pag. 14.
15 Cfr. P. H.
Lammens s.j., op. cit., pag. 33.
16 Cfr. E. F.
Gautier, Le
passé de l'Afrique du Nord («Il passato dell'Africa del
Nord»), Payot, 1952, pag. 67.
17 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 138. Al Kindi è quel cristiano in contatto
epistolare con un amico musulmano a cui accennavamo in apertura
nell'introduzione generale citando le fonti che avremmo
utilizzato.
18 Cfr. P. H.
Lammens s.j., op. cit., pag. 34.
19 Cfr. B.
Lazare, L'Antisémitisme,
son histoire et ses cause («L'antisemitismo, la sua storia e
le sue cause»), Documents et tèmoignages, 1969, pag. 51.
20 Cfr. J.
Bertuel, op.
cit..
21 L'eresia nestoriana negava la persona
divina di Gesù Cristo; come dunque stupirsi di ritrovare questa
stessa negazione, ripetuta con forza e veemenza, anche nel
Corano?
22 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 181.
23 Termine ebraico (Toràh, ossia
«insegnamento») designante la Legge mosaica, e che comprende i
cinque libri del Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e
Deuteronomio.
24 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 182. A sostegno della tesi della giudaizzazione
dell'islam nascente, si è espresso anche Hanna Zacharias
(pseudonimo di Padre G. Théry), autore del libro Vrai
Mohammed et faux Coran («Vero Maometto e falso Corano»),
secondo il quale Maometto divenne il genero del rabbino della
Mecca (cfr. E. Latour,
Le quattro cause della rivoluzione, Gotica, Ferrara 1990,
pag. 13). Non è quindi affatto azzardato supporre che, come
avvenne a causa delle influenze nestoriane, giacobite, manichee
e gnostiche, l'islam abbia mutuato dall'ebraismo talmudico il
rifiuto radicale della SS.ma Trinità, della divinità di Gesù
Cristo, e il conseguente odio per il cristianesimo.
25 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 138.
26 A quel tempo, la città si chiamava
ancora Yatrib, e solo in seguito all'esilio di Maometto fu
denominata Medina (dall'arabo Madìnat an Nabì, ossia «la città
del profeta»).
27 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 36.
28 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 140.
29 Égira deriva da Higra, termine
arabo che significa «emigrazione», ma in tono vendicativo.
30 Con questo termine, che significa
«successore del messaggero di Allah», vengono designati i
successori di Maometto.
31 Il calendario musulmano è iniziato il
16 luglio del 622. Da notare che l'anno musulmano, che si conta
in mesi lunari, è più corto di dieci giorni circa dell'anno
gregoriano. Ciò spiega perché vediamo ogni anno le feste
musulmane avanzare progressivamente nel nostro calendario. A
titolo di esempio, il 6 settembre 1986 è stato per l'islam il
Giorno dell'Anno dell'era egiriana 1407.
32 Gihàd, termine arabo
significante «sforzo», ma generalmente utilizzato per
identificare la «guerra santa».
33 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 38.
34 Inizialmente, onde captare la
benevolenza degli ebrei, Maometto aveva ordinato che la
preghiera islamica fosse fatta in direzione di Gerusalemme. In
seguito all'atteggiamento ostile dei giudei, Maometto ordinò di
pregare in direzione non più di Gerusalemme, ma della Kaaba,
scelse che fosse il venerdì il giorno deputato al servizio
divino e sostituì al giorno di digiuno (ashùrà) - che era
stato introdotto sul modello giudaico - con il mese di digiuno (ramadàn)
(cfr. Enciclopedia delle religioni, Garzanti 1989, pag.
485).
35 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 42. Secondo altri autori, gli ebrei decapitati
pubblicamente nel 627 nella piazza di Medina in ottemperanza al
comando del Corano (Sura VIII, 12-13) furono dai 700 ai 900
(cfr. J. M. De La Croix,
op. cit., pag. 124), mentre le altre due comunità
ebraiche della città di Medina furono costrette all'esilio.
36 A proposito del copioso bottino
catturato in questa battaglia, il Corano (Sura VIII, 1) assegnò
tutto a Maometto, ma poi in seguito alle rimostranze della
gente, gliene assegnò solo una quinta parte (cfr.
J. M. De La Croix,
op. cit., pag. 125).
37 Durante questa battaglia, Maometto
venne ferito: una pietra gli tagliò le labbra, una freccia gli
passò da parte a parte una guancia e perse due denti (cfr.
Enciclopedia delle religioni, pag. 486).
38 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 45.
39 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 166.
40 «Tra le mogli di Maometto, la più
amata fu Àiscia, figlia di Abù Bakr, che sposò ancora bambina
all'età di sei anni e tra le cui braccia morì dodici anni dopo;
ma amò molto anche la bella Zàynab, moglie del figlio adottivo
Zàyd, il quale, dietro intervento del Corano si affrettò a
divorziare da lei per darla al profeta» (cfr.
J. M. De La Croix,
op. cit., pag. 125). Ed ecco i versetti Corano (Sura
XXXIII, 37) che «autorizzarono» Maometto a sposare la nuora:
«Quando tu dicevi a colui che Allah aveva arricchito delle sue
grazie, che tu avevi colmato di beni, conserva la tua sposa e
temi il Signore, nascondevi in fondo al tuo cuore un amore che
il cielo stava per manifestare [...]. Zàyd ripudiò la sua
sposa. Ti abbiamo unito con lei, affinché i fedeli abbiano la
libertà di sposare le mogli dei loro figli adottivi, dopo averle
ripudiate. Il precetto divino deve ottenere il suo effetto. Il
profeta non è colpevole di aver usato di un diritto autorizzato
dal cielo, conforme alle leggi divine stabilite».
41 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 151.
42 Ibid., pag. 149.
43 Ibid.
44 Abbiamo visto come Abù Tàlib, padre
di Alì e zio di Maometto, aveva raccolto quest'ultimo quando era
orfano.
45 Dall'arabo hàlifa, ossia
«successore».
46 Secondo alcuni racconti, Alì
l'avrebbe sorpresa mentre «amoreggiava» con un compagno di
Maometto, e avrebbe invano fatto pressioni su quest'ultimo
affinché se ne separasse; ma egli ne era troppo innamorato.
47 Vocabolo che sta ad indicare la
discendenza da Maometto per questa stirpe.
48 D'altronde, ciò non è esatto, in
quanto il significato della corrispondente parola araba rasùl
è piuttosto quello di «inviato».
49 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 153 e ss.
50 Come abbiamo visto, si tratta di un
manoscritto che risale all'inizio del IX secolo.
51 «Maometto [...] sembrava
disprezzare i miracoli. La frequenza con cui nel Corano ritorna
sull'obiezione di quelli che gli chiedevano prodigi, lascia
intravedere un'opposizione persistente. Alcune volte egli si
accontenta di affermare con forza di essere mandato da Allah (Sura
VI, 4-11; 19-21; 25-28; Sura X, 94-97; Sura XII, 8-27, ecc...).
Altre volte osserva che Allah dà il potere dei miracoli a chi
vuole (Sura X, 21), e che i miracoli non servono a nulla con gli
ostinati (Sura III, 121-123). Infine, che Allah, dal quale
deriva la sua missione, è una garanzia sufficiente (Sura IV,
152-164; Sura XV, 89-95). Egli insiste soprattutto sul fatto che
Allah gli ha dato, come ad ogni altro dei suoi inviati, un libro
(Sura XIII, 37-38; XVII, 46, ecc...) e che questo libro, il
Corano, per la sua trascendenza, rende inutile ogni altro
miracolo (Sura VI, 114-159; Sura XVIII, 47-50» (cfr. C.
Falconi, Gli
pseudo-rivelatori di Cristo, in AA.VV. Mondo Cattolico,
Soc. An. Editrice, Bergamo 1941, pagg. 54-55). Inoltre,
«Maometto riconobbe di non essere che un semplice uomo mortale:
"Io non sono che un uomo [...] incaricato di predicare a
voi credenti" (Sura VII, 188, e Sura XVII, 93); riconobbe di
essere peccatore (episodio del cieco di La Mecca, Sura LXXX,
1-11); riconobbe di non saper fare i miracoli (Sura VII, 188),
neppure per comprovarla verità del Corano (Sura II, 23)»
(cfr. J. M. De La Croix,
op. cit., pagg. 126-127). Ciononostante, «alla
naturale venerazione (verso Maometto), si aggiunse presto
l'aureola miracolosa [...]. Sulla base di elementi
folcloristici, di leggende talmudiche e rabbiniche, di racconti
degli apocrifi cristiani circolanti in Oriente, di arbitrarie
interpretazioni di passi coranici, e anche di concetti derivanti
dal parsismo e da dottrine gnostiche e neoplatoniche, a partire
già dal primo secolo dell'égira, le successive generazioni
musulmane andarono elaborando la leggenda miracolosa di
Maometto, in parte anche per fare di lui un contrapposto alla
figura di Gesù presso i cristiani. Scrittori del XIII secolo
fanno salire a più di tremila i suoi miracoli e li classificano
in varie categorie secondo l'oggetto su cui si esercitavano.
Notevoli per la loro popolarità e per il posto loro dato in
catechismi moderni, sono i vari portenti che preannunziarono la
sua nascita, i miracoli della sua infanzia (calcati soprattutto
sugli apocrifi cristiani), il viaggio notturno a Gerusalemme
sulla cavalcatura portentosa al-Bura, la successiva salita al
cielo nel periodo meccano e la scissione della luna operata da
Allah in seguito a una preghiera di Maometto per convertire
alcuni fedeli (un quarto di Luna si sarebbe staccato egli
sarebbe entrato nella manica; da ciò deriva la mezzaluna, il
simbolo islamico per eccellenza» (cfr. C.
Falconi, op.
cit., pag. 54).
52 Dalla prefazione del già citato libro
L'islam, ses véritables origines.
53 Cfr. Neuf, del 12 giungo 1979.
54 Sappiamo che Nostro Signore ha
istituito la Chiesa dotandola di un Magistero infallibile per
conservare fedelmente la dottrina rivelata e dichiararla
infallibilmente (cfr. Denz.-Sch., nº 3020). Ora la
Rivelazione si è chiusa in maniera definitiva con la morte
dell'ultimo Apostolo, San Giovanni.
55 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 50.
56 Il Talmud (dall'ebraico
lamad, ossia «apprendimento», «dottrina», «ammaestramento»)
è, dopo la Bibbia, l'opera principale della letteratura ebraica.
Si tratta di un'ampia raccolta di materiale tradizionale ebraico
(in diversi punti con accenti fortemente anticristiani) che va
dal I secolo a. C. al V secolo d. C. (cfr. Enciclopedia delle
religioni, pag. 343).
57 Cfr. J.
Bertuel, op.
cit., vol. I, pag. 22.
58 Ibid.
59 Cfr. G.
Tartar, op.
cit., pag. 185.
60 Ibid., pag. 188.
61 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 48.
62 Omm-al-kitab, e cioè «madre
della scrittura» o «matrice».
63 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 49.
64 Cfr. M.
Bergé, Les
Arabes («Gli arabi»), Lidis, Parigi 1978, pag. 284.
65 Come abbiamo visto, la Fatiha
è la prima Sura del Corano, contenente sette versetti.
66 Hâram, vale a dire
«interdetto», «sospetto» o «proibito».
67 Cfr. Instruction islamique,
per il 1°, 2°, 3° e 4° anno delle scuole medie, Librerie El
Maârif, Rabat 1983; pubblicato sotto l'egida del Ministero
dell'Educazione nazionale del regno del Marocco.
68 Cfr. E. F.
Gautier, Mœurs
et coutumes des musulmans («Usi e costumi dei musulmani»),
Club du Meilleur Livre, Parigi 1959, pag. 7.
69 Cfr. J.
Hours, op. cit.,
pagg. 19-20.
70 Ernest Renan (1823-1892), esponente
del positivismo, celebre per la sua Vita di Gesù (1863),
in cui la personalità e la predicazione di Cristo vengono
considerate in termini soltanto umani. Ex seminarista, Renan
negava la divinità di Gesù Cristo, motivo per cui gli fu
interdetto l'insegnamento al Collegio di Francia per diversi
anni. Per questa sua viscerale prerogativa anticlericale e
anticristiana, ci pare veramente preziosa la sua testimonianza,
visto che si tratta di un personaggio certamente non di parte e
al di sopra di ogni sospetto.
71 Cfr. Instruction islamique, 4°
anno secondario, pag. 18.
72 Ibid., 1° anno secondario,
pag. 32.
73 Ibid.
74 Ibid., 4° anno secondario,
pag. 18; si noti l'impavida affermazione: «In seguito queste
scienze divennero arabe...».
75 Dall'arabo sunnàh, che
significa «la tradizione».
76 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 94.
77 Ibid., pagg. 94-95.
78 Ibid., pag. 90.
79 Cfr. P. H.
Lammens, op.
cit., pag. 108.
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