CAPITOLO VI
CULTO E ISTITUZIONI
Introduzione
Dopo le difficoltà che abbiamo
incontrato nel tentativo di definire la teologia dell'islam
(molto più complessa e, allo stesso tempo, molto più confusa
di quel semplice monoteismo che talvolta si tenta di far
credere), questo capitolo dovrebbe apparire meno arduo al
lettore. In effetti, il culto, gli obblighi religiosi
dell'islam, e - in una certa misura - le sue istituzioni,
sembrano molto più semplici da presentare.
Il culto e gli obblighi religiosi
-
I cinque pilastri dell'islam
I doveri religiosi essenziali
del musulmano sono cinque. Data la loro gravità, essi
vengono chiamati i «pilastri» (in arabo arkàn)
dell'islam. Essi obbligano il musulmano sotto pena di
infedeltà, e sono:
-
La professione di fede (shahàda);
-
La preghiera rituale (salàt);
-
L'elemosina (zakàt);
-
Il digiuno nel mese di
ramadàn (sawàn);
-
Il pellegrinaggio alla
Mecca (hagg).
A questi conviene aggiungere
«il sesto pilastro»:
- La professione di fede
Si tratta di una formula:
«Allah è Allàh (Allah è unico) e Maometto è il suo
profeta» (in arabo rasùl, e cioè il suo inviato).
La prima parte di questa breve formula, colloca l'islam nel
gruppo delle religioni monoteiste, mentre la seconda lo
contraddistingue affermando la missione profetica di
Maometto. Pronunciarla con fede è il primo atto di ogni
convertito 129.
- La preghiera rituale
Essa è di tre specie: alla
prima appartiene la preghiera individuale libera. Ogni
credente può, in qualsiasi momento, indirizzarsi ad Allah,
senza formule o riti particolari. Alla seconda appartengono
le preghiere rituali (salàt): «La tradizione ha
fissato il numero di cinque salàt quotidiane: quella
dell'alba, quella di mezzogiorno, quella tra mezzogiorno e
il tramonto, quella del tramonto, e quella della notte
fonda» 130. Dovendo essere
eseguite in stato di purezza rituale, esse sono precedute da
abluzioni e accompagnate da riti la cui minuzia è
indubbiamente imparentata con il ritualismo cavilloso e
farisaico dell'ebraismo. Il fedele dev'essere
girato in direzione della Mecca (qibla). Egli si
inginocchia e si prosterna su di un tappeto, su cui vengono
spesso ricamati alcuni versetti del Corano
131. Alla terza, infine, appartiene
la preghiera collettiva del venerdì. Essa viene fatta alla
moschea, a mezzogiorno, ed è obbligatoria per ogni maschio
adulto (le donne non vi partecipano, benché l'accesso alle
moschee non sia loro interdetto). Essa è preceduta da
allocuzioni pronunciate in arabo dal presidente
dell'assemblea (in arabo khatib, ossia «portavoce» o
«oratore»). Negli stati musulmani, tale compito viene
assolto dal capo di Stato.
- L'elemosina
É una specie di tassa sul patrimonio, il cui importo è
soggetto ad una precisa regolamentazione. Essa dev'essere
destinata a scopi umanitari (ai poveri e agli orfani), ai
volontari della guerra santa, o ai potenziali convertiti
all'islam. È forse tale obbligo che ha contribuito ad
inculcare nei musulmani questa disposizione d'animo che ben
conoscono coloro che li hanno frequentati: in un contesto
normale, nella routine della vita quotidiana abituale,
quando nessun disordine (terrorismo, agitazione politica,
ecc...) viene a turbare i rapporti umani, il musulmano è per
sua natura caritatevole, accogliente e generoso.
- Il digiuno
Il digiuno dura un mese. Esso è unicamente diurno. Il
credente deve astenersi totalmente dal cibo, dal bere, dal
tabacco e dai rapporti coniugali. Giunta la notte, tutto
ridiventa permesso. Esso comincia all'alba e termina al
tramonto; diversi mezzi vengono impiegati (i muezzin, i
colpi di cannone, ecc...) per dare il segnale dell'inizio e
della fine della giornata di digiuno 132. Alcune dispense
temporanee sono previste per i casi di malattia, di viaggio,
di guerra santa, ecc..., ma si deve poi recuperarli con
altrettanti giorni di digiuno supplementare
133.
- Il pellegrinaggio
Esso si effettua nell'Hegiaz,
e in special modo alla Mecca. Salvo dispensa (per i
minorenni, per le donne prive di accompagnatore, o se
incombono gravi pericoli), il pellegrinaggio è obbligatorio.
Vestito di un indumento speciale, il pellegrino, costretto a
determinate astinenze, effettua un itinerario rituale che lo
porta in diversi santuari (al piccolo villaggio di Minà e
alla valle di Arafat), compresi alcuni giri da farsi attorno
alla Caàba. L'ottemperanza a quest'obbligo religioso
gli consentirà, in seguito, di fregiarsi dell'invidiato
titolo di haggi («pellegrino»), che egli potrà
anteporre al proprio cognome. Il pellegrinaggio alla Mecca
costituisce il solo centro di raduno e di coordinamento
dell'islam ortodosso mondiale, e si stima sia compiuto da
circa il 10% dei musulmani.
Il sesto pilastro: la guerra santa o jihàd
-
Il suo posto nell'islam
merita un approfondimento particolare
Al termine del nostro breve
escursus sulla vita di Maometto, abbiamo sottolineato
l'originalità dell'islam, che ammette - anzi esalta -
l'impiego della forza, della jihàd («sforzo»,
«impegno»), a scopo proselitistico. Essendo un elemento
tipico dunque dell'islam, la guerra santa merita che le
consacriamo questo capitoletto, nel tentativo di comprendere
più capillarmente il suo reale significato e le condizioni
necessarie per il suo esercizio; ciò tanto più che la
jihàd continua ad essere sempre più un argomento di
estrema attualità di cui spesso parlano anche i media.
- Un pleonasmo nocivo:
la «jihàd islamica»
Da alcuni anni a questa parte,
e specialmente con l'avanzare del terrorismo internazionale,
si sente sempre più frequentemente parlare di «jihàd
islamica». In realtà, non si tratta di «jihàd
islamica», ma di jihàd senza aggettivi, in quanto
questa particolarità è specifica unicamente dell'islam . Che
degli adepti dell'islam siano - o meno - dietro a questi
attentati terroristici non è cosa che ci interessi ai fini
di questo studio. Ciò che vogliamo mettere in rilievo è che
la banalizzazione di questo pleonasmo annida a poco a poco
negli spiriti l'idea che la jihàd (in realtà, la
gente ne ha un concetto molto grossolano) sia una pratica
comune a tutte le religioni; la prova di questa asserzione
sta nel fatto che si parli di jihàd musulmana. Da una
tale argomentazione, scaturisce la necessità di una
precisazione da parte nostra su questo punto.
- Nozioni preliminari:
il quadro della jihàd
Per meglio comprendere il
concetto musulmano di jihàd, conviene enunciare
subito tre concezioni proprie dell'islam, che costituiscono
in qualche modo le condizioni nelle quali grava l'obbligo
della guerra santa. Esse sono:
-
La divisione del mondo in
Dar el-islam e in Dar el-harb;
-
La ummàh (la
comunità islamica mondiale);
-
I rapporti con gli
scritturali (gli ebrei e i cristiani).
- La divisione del mondo in
Dar el-islam e in Dar el-harb
Per l'islam, il mondo è diviso
in due parti:
-
Il Dar el-islam (dar,
ossia «dimora», o, per esteso, «paese»): sono le regioni
del mondo in cui regna già il diritto musulmano (Arabia
Saudita, Algeria, Libia, Marocco, Egitto, Iran, ecc...).
-
Il Dar el-harb (harb,
ossia «guerra»): è costituito dalle altre regioni,
considerate dai musulmani territorio di guerra.
Tali zone, così come i beni
dei loro abitanti, appartengono per diritto all'islam, e si
dovrà tentare tutto il possibile per farle rientrare nel
diritto non appena le circostanze lo permetteranno. Si
tratta di una semplice questione di opportunità 134.
In realtà, si tratta dello stesso concetto attuato nelle
colonie e nei protettorati europei (di un tempo); è evidente
che questi territori, il regime non-musulmano è un'anomalia.
Non si deve tollerarlo che per quel lasso di tempo in cui
non si potrà fare altrimenti 135.
|
Manifestanti islamici ripropongono in Occidente slogan
musulmani piuttosto inquietanti e tutt'altro che
ecumenici: «L'islam dominerà il mondo. La libertà
può anche andare all'inferno»; «L'islam
conquisterà Roma». É questo l'islam tollerante? |
- L'ummàh,
comunità mondiale islamica
Con ummàh (termine
arabo che significa «madre» in senso carnale, e quasi
uterino), viene designata la comunità mondiale islamica dei
musulmani; la sua unificazione è, come abbiamo appena visto,
la grande ambizione dell'islam. La riunificazione mondiale
dell'islam urta contro due ostacoli che ne impediscono la
realizzazione; il primo è rappresentato dal risveglio dei
nazionalismi: musulmani entrambe, nazioni come, ad esempio,
il Marocco e l'Algeria sono separate da interessi economici,
politici, militari diversi e opposti. Il secondo è invece
rappresentato dalle differenze etniche; esse sono più
sensibili mano a mano che l'islam si estende a delle razze
non arabe; che cosa c'è in comune - fuorché la religione -
tra un musulmano dell'Arabia Saudita e un suo
correligionario dell'Indonesia?
Non certamente il sangue
arabo, né gli usi e i costumi, ad esempio. L'ummàh è
una forma di solidarietà «contro i non musulmani» piuttosto
che tra i musulmani stessi. Divisi tra loro, i musulmani si
ritrovano uniti per combattere un avversario comune,
soprattutto se essi lo annoverano nel numero degli
«infedeli»; è il caso, ad esempio, del Libano, i cui Stati
confinanti musulmani, nonostante siano divisi a causa di
alcune divergenze, fanno - apertamente o subdolamente -
causa comune contro i cristiani o, nel migliore dei casi, si
astengono dal condannare le violenze di cui sono vittime.
Tale fenomeno fu riscontrato anche in certi conflitti
sociali esplosi all'interno dell'industria automobilistica
francese alcuni anni fa; mosaico etnico a prevalenza
musulmana, il personale era costituito prevalentemente da
marocchini, tunisini, algerini, mauritani e turchi, spesso
divisi nella vita di tutti i giorni da gelosie e da
antipatie ancestrali. La C.G.T. (un sindacato
francese; N.d.T.) riuscì così bene nel realizzare l'unione
utilizzando il catalizzatore religioso (sic!), che tutti gli
operai si schierarono contro la direzione della fabbrica
136, contro i quadri direttivi,
contro la maestranza e, più o meno consciamente, contro il
cattolicesimo.
I rapporti con gli «scritturali» (ebrei e
cristiani)
-
Il Corano è talvolta
testimone della simpatia accordatagli
Sura II (La vacca)
59. «Certo, i
musulmani, i giudei, i cristiani e i sabei
137, che credono nel
Signore e all'estremo giorno e operano il bene, ne
riceveranno la ricompensa dalle sue mani: essi
saranno esenti dal timore e dai supplizi» (F). |
Kasimirsky da sfoggio, in una
lunga nota, della sua erudizione per dimostrare che bisogna
guardarsi dal concludere da questo versetto che tutti gli
uomini saranno salvi, purché essi credano nell'unità divina,
nella vita futura e compiano buone opere, ma al contrario
«qualunque sia il vero significato del versetto in esame, il
sentimento generale dei dottori musulmani è che esso sia
abrogato dal versetto 79 della Sura III 138,
e da altri passi del Corano in cui la fede in Allah, nella
vita futura e nella missione di Maometto è considerata
indispensabile per conseguire la salvezza». Ancora una
volta, sottolineiamo che ciò che conta nel farsi un'idea
esatta di ogni punto-chiave dell'islam, è conoscere la
percezione che ne hanno i musulmani stessi, e non ciò che
possiamo soggettivamente dedurre dai versetti del Corano,
spesso così difficili da interpretare e da tradurre (o
«abrogati» da altri versetti; N.d.T.).
- Tuttavia, l'ostilità
verso gli ebrei e verso i cristiani domina nel Corano
Sura III (La famiglia
d'Amram)
106. «(Voi
musulmani) siete il popolo migliore dell'Universo
intero. Ordinate la giustizia, punite il delitto e
credete in Allah. Se i giudei e i cristiani
sposassero la vostra fede, avrebbero un destino
migliore. Taluni di loro credono, ma la maggior
parte sono perversi» (F).
Sura V (La tavola)
56. «O credenti!
Non stringete legami con i giudei e con i cristiani.
Lasciate che essi si uniscano. Chi li accetterà come
amici diverrà simile ad essi, e Allah non è la guida
dei malvagi» (F).
Sura V (La tavola)
62. «O credenti!
Non collegatevi con i cristiani, con i giudei
e con gli empi che fanno del vostro culto
l'oggetto delle loro beffe. Temete Allah, se siete
fedeli» (F). |
Dopo queste citazioni,
affrontiamo il tema della gihàd.
La Guerra Santa
-
Obbligo per i credenti
«La guerra contro i
non-musulmani [...] ha finito col diventare il "sesto
pilastro" dell'islam. Quest'ultimo deve ad essa la sua
espansione, nella quale "la missione" o propaganda
regolarmente organizzata ha giocato un ruolo pressoché
irrilevante [...]. Essa continua ad essere
considerata - al contrario del "dovere personale" - come un
"dovere di sussiego", [...] un obbligo non
individuale, ma che lega collettivamente la collettività»
139. La jihàd diviene un
dovere personale allorché tutti i fedeli vengono invitati a
farne parte. «In teoria - prosegue Padre Lammens -
la jihàd non dovrebbe mai essere interrotta, né terminare
prima della sottomissione del mondo all'islam, del quale
tutti dovrebbero riconoscere la supremazia politica. Questo
concetto è uno dei più incontestabilmente popolari
dell'ideale islamico».
- La guerra santa è spesso
ordinata dal Corano
Sura IX (La
conversione)
29. «Fate la
guerra a coloro che non credono in Allah e
nell'ultimo giorno, che non vietano ciò che Allah e
il profeta hanno proibito, e a coloro tra gli uomini
della Scrittura (gli ebrei e i cristiani;
N.d.R.) che non professano la fede nella verità.
Fate la guerra sino a che essi paghino il tributo,
tutti senza eccezione, e che siano umiliati» 140.
30. «I giudei
dicono che Ozai è il figlio di Allah; i cristiani
dicono lo stesso del Messia. Parlano come gli
infedeli che li precedettero; che Allah gli
faccia la guerra! Essi sono dei mentitori»!
(K). |
- Lo sconfitto non è
obbligato a convertirsi all'islam; gli fissa
in quel caso lo stato di dhimmi
Al versetto 29 della Sura IX,
abbiamo già sottolineato l'opzione teoricamente offerta
all'infedele uscito sconfitto dalla jihàd, che
consiste:
-
nel convertirsi all'islam,
nel qual caso si ritiene che egli debba diventare
«cittadino a pieno titolo» 141;
-
conservare la sua
religione, nel qual caso gli verrà attribuito lo statuto
di dhimmi, ovvero l'aggravio di un'imposta
speciale (dîme) da una parte, e dall'altra
l’assoggettamento ad alcune misure discriminatorie od
umilianti (vietato l'accesso alle funzioni ufficiali,
proibizione di detenere un'arma, di montare a cavallo,
ecc...). É il caso, ad esempio, dei cristiani copti in
Egitto, dei siriaci nell'Iraq e dei greci nella Siria.
- É dunque possibile
parlare di un islam tollerante?
Se la storia è ricca di esempi
sanguinosi di guerre sante musulmane, non mancano altre
situazioni in cui l'islam, trionfante e saldamente
installato, ha dato prova di magnanimità verso i popoli
cristiani assoggettati, o ha chiesto il loro concorso per la
realizzazione di alcuni progetti di cui non possedeva le
capacità tecniche. Questo fu, ad esempio, il caso della
Spagna. Carra de Vaux, dopo aver scritto che
«l'apostolato facendo uso della forza è dunque ammesso da
questa religione, e ciò costituisce uno dei tratti che gli
conferisce un aspetto molto barbaro», minimizza la sua
precedente affermazione aggiungendo che «bisogna tuttavia
riconoscere che, in pratica, le autorità musulmane hanno
spesso usato molta tolleranza nei confronti di quei
cristiani che avevano sconfitto» 142.
Senza dubbio, non si deve generalizzare abusivamente; resta
tuttavia da domandarsi se il termine «tolleranza» sia esatto
per qualificare - in ogni epoca - una condiscendenza verso i
non-musulmani che esiga comunque le contromisure viste
poc'anzi. É anche altrettanto vero che, ai nostri giorni e
in certe regioni del mondo, tale coercizione è stata
apparentemente attenuata, ed è stata adottata una forma di
persecuzione più insidiosa e larvata. Così, in alcuni Stati
centrafricani passati sotto il governo islamico, il
cristiano che desidera ottenere un posto
nell'amministrazione, o che si appresta a sostenere un esame
universitario, ha doppiamente interesse - come ci è stato
spesso riportato - a convertirsi per tempo o almeno
esteriormente all'islam. Infine, quando si viene a
conoscenza dei divieti cui sono soggette le più piccole
manifestazioni di appartenenza cristiana in quei Paesi arabi
in cui l'islam regna incontrastato - come, ad esempio, in
Arabia Saudita - non ci si può astenere dal sorridere
sentendo parlare di «tolleranza»! Per non citare che qualche
esempio, riporto ora alcuni fatti basati sulla testimonianza
di persone degne di fede e, per di più, non particolarmente
praticanti: il divieto assoluto di portare un crocifisso,
di portare nei bagagli una Bibbia, di festeggiare
il Santo Natale mettendo delle ghirlande di lampadine
alle finestre, e persino di fare il cenone natalizio al
ristorante, ecc... Che si smetta dunque una volta per tutte
di alterare l'immagine dell'islam; il vero volto che esso
porta è quello che esso stesso si è dato e che intende
certamente conservare 143.
- Non c'è martirio che nella
gihàd
La nozione di martirio non è concepita che nel quadro della
gihàd: «Martire ("shaìd") è quel musulmano che cade durante
la gihàd», e che «è ucciso dopo aver ucciso»
144. L'islam
trae questo concetto di martirio dal seguente versetto del
Corano:
Sura IX (La conversione)
112. «Allah ha ricomprato la vita e gli averi dei fedeli, il
cui prezzo è il paradiso. Combatteranno e uccideranno i loro
nemici, e cadranno sotto i loro colpi» (F). |
Le istituzioni
Come faceva notare Padre Lammens,
«l'islam è essenzialmente
una religione legale» 145. La fede basta a tutto. Essa non
ha bisogno che di interpreti (dottori, uléma, ecc...) e di
un potere temporale che la metta in pratica. Così, non ci si
stupisce nel non trovare nella religione islamica né una
liturgia, né un clero e né una gerarchia ecclesiastica; in
una parola, nulla che assomigli ad un potere spirituale
distinto dal potere temporale.
- Niente liturgia
«Questa lacuna viene
particolarmente dissimulata da un rituale minuzioso che
regola l'esercizio della preghiera e del pellegrinaggio,
mediante delle complicate prescrizioni relative alla purezza
legale» 146. Molto meno
prescrizioni regolano, ad esempio, la preghiera collettiva
del venerdì.
- Niente sacramenti
L'islam non conosce né il
battesimo, né la Comunione, né la confessione, ecc... La
circoncisione è un semplice atto rituale che non esige
l'intervento di alcun ministro del culto; al limite, un
barbiere è più che sufficiente. Il matrimonio musulmano è
privo di carattere religioso: il cadî basta alla sua
registrazione. Di conseguenza:
- Niente clero
L'islam non può ammettere un
sacerdozio intermediario, gerarchico e unico dispensatore di
grazie spirituali. Quest'ultimo concetto, così come la
necessità di una gerarchia ecclesiastica, gli sembrano
inconciliabili con i diritti imprescrittibili e con il
dominio assoluto di Allah sulle sue creature 147.
Anche il protestantesimo più rigido, messo a confronto con
questo monoteismo intransigente, che esclude ogni
intermediario tra l'uomo e il suo Dio, sembra una religione
quasi sacerdotale 148. I
ministri che esercitano presso le moschee (muftì,
imàm o muezzin) non possono essere paragonati ad
un clero; essi non sono che dei semplici funzionari (che in
Marocco, ad esempio, vengono stipendiati dallo Stato).
Secondo il Dizionario Robert, il califfo è «un
sovrano musulmano, successore di Maometto». Questa
definizione sottolinea adeguatamente l'assorbimento dello
spirituale nel temporale; è un sovrano - ossia un capo
politico - che viene considerato come un successore di
Maometto. «Sentinella avanzata dell'islamismo», egli non è
un pontefice, ma il difensore laico della sharìa.
- Nell'islam,
il temporale assorbe lo spirituale
O più esattamente, come
scrisse Ernest Renan - un personaggio, come abbiamo visto,
certamente non sospetto di simpatie verso la Chiesa -
«per il musulmano, spirituale e temporale sono inseparabili».
Alcuni esempi attuali, illustrano questo concetto così
tipico dell'islam. É il Ministero dell'Educazione Nazionale
del Regno del Marocco che ha fatto pubblicare l'Istructione
islamique ad uso delle scuole secondarie; vi immaginate
un ministro della Pubblica Istruzione europeo nell'atto di
promuovere un catechismo ad uso dei licei? Porre una
domanda, comporta anzitutto dare una risposta! Un
telegiornale della televisione ufficiale di uno Stato
musulmano africano è stato recentemente mandato in onda da
una emittente televisiva francese; lo schermo si è
illuminato, ed è apparso il volto bruno del presentatore
che, prima di tutto, ha recitato in arabo la seguente
formula: «Lodato sia Allah, potente e misericordioso»,
seguito dal «buonasera» ai telespettatori e dal notiziario.
Sui nostri schermi, un simile preambolo avrebbe provocato
una sommossa telefonica! In precedenza, abbiamo parlato del
Messaggio per l'Anno Nuovo che il Colonnello Muammar
Gheddafi ha creduto di dover indirizzare ai capi di Stato
del mondo intero all'inizio del 1984; vistane l'importanza,
tale documento è riportato in Appendice al termine del
presente studio. Come si potrà constatare, questo messaggio
non contiene nient'altro che un'esortazione a leggere il
Corano - citato spesso dallo stesso Colonnello - per
conoscere la verità... su Cristo e sul Vangelo! Certamente,
altri capi di Stato - come ad esempio l'ex presidente degli
Stati Uniti Ronald Reagan (1911-2004) - non hanno
esitato in più occasioni a parlare di Dio nei loro discorsi
ufficiali. Tuttavia, Gheddafi fà del tema religioso il
motivo centrale e quasi esclusivo del suo «messaggio» e - al
di là degli atteggiamenti eccessivi, e talora paranoici del
noto leader libico - resta che solo un capo di Stato
musulmano può, soprattutto ai nostri giorni, permettersi il
lusso di un tale gesto senza esporsi al rischio di essere
universalmente ridicolizzato dai mezzi di comunicazione.
CAPITOLO VII
LA DONNA NELL'ISLAM
Il lettore non rimarrà
certamente sorpreso dal fatto che consacriamo un intero
capitolo di questo scritto alla condizione della donna
musulmana. Una civiltà si caratterizza anche dalla maniera
in cui essa concepisce il ruolo assegnato alla donna nella
società. Andiamo dunque ad esaminare il posto e lo statuto
riservati alla donna nel Corano, il quale le attribuisce
numerose prescrizioni, limitandoci a citare alcuni esempi.
Superiorità dell'uomo sulla
donna
-
Fondamento dottrinale di
questa superiorità
Il dogma della superiorità
maschile è enunciato dal Corano al seguente versetto:
Sura IV (Le femmine)
38. «Gli uomini
sono superiori alle donne perché Allah diede
loro il predominio sopra di esse, ed essi le dotino
dei loro beni. Le donne devono essere obbedienti e
tacere i segreti dei loro sposi, poiché il cielo le
ha destinate alla loro custodia. I mariti che
abbiano a soffrire la loro disubbidienza possono
castigarle, abbandonarle sole nel loro letto e anche
picchiarle. La sottomissione delle donne deve
porle al sicuro dai maltrattamenti. Allah è grande e
sublime» (F). |
Così, questa superiorità 149
si fonda su due cause di ordine decrescente: la volontà
divina, che conferisce all'uomo - se così si può dire - una
superiorità «essenziale», e il fatto che il fidanzato versi
la dote al padre della sua futura sposa, contrariamente a
ciò che accadeva fino a pochi anni fa nella nostra società.
Nella logica musulmana, è dunque normale che l'uomo goda di
una certa superiorità - e di diritto - sull'essere che ha
acquistato pagandolo.
- Le donne sono imperfette
Sura XLIII (L'acconciamento)
17. «L'Eterno sarà
forse il padre di un essere capriccioso, di
una figlia la cui giovinezza trascorre tra gli
ornamenti e tra i vezzi»?
150. |
- Il shadòr (il
velo portato sul viso) è prescritto dal Corano
Sura XXX (I greci)
57. «O profeta!
Prescrivi alle tue spose, alle tue figlie e alle
mogli dei credenti di lasciar cadere un velo sul
loro volto. Esso sarà il segno della loro virtù, e
un ritegno contro i discorsi della gente. Allah è
buono e misericordioso» (F). |
- La nascita di una figlia
è considerata come una disgrazia
Insorgendo contro il
politeismo dei suoi contemporanei, Maometto si indignava
specialmente per il fatto che il loro pantheon
comprendesse tre divinità femminili! Da qui, le sue
invettive contro i meccani:
Sura XLIII (L'acconciamento)
15. «Allah avrebbe
preso delle figlie tra le sue creature, e vi avrebbe
scelto come suoi figli?
16. «E tuttavia,
quando si annuncia ad uno di voi la nascita (di
una figlia) la sua figura si copre di
tristezza ed egli è oppresso dal dolore»
(K). |
Nell'Hegiaz preislamico,
vigeva l’usanza presso certe tribù di uccidere le figlie
dalla nascita, bruciandole o seppellendole vive 151.
L'avvento dell'islam mise fine a queste pratiche, evocate e
condannate dal Corano.
- Le donne avranno accesso
in paradiso?
Il solo fatto che gli obblighi
religiosi siano imposti anche alle donne, permette di
pensare che, contrariamente ad un'opinione diffusa presso
alcuni studiosi occidentali, l'accesso al paradiso musulmano
non sia affatto riservato ai soli uomini. Tuttavia, ci
chiediamo: come può l'islam conciliare ciò con la presenza
delle hùri, di queste vergini perenni promesse ai
credenti maschi? Si tratta di una questione alla quale siamo
incapaci di dare una risposta, e che, a dire il vero,
saremmo tentati di porre a un musulmano.
Matrimonio e poligamia
- Le donne sono state
create da (e per) gli uomini
Sura XXX (I greci)
20. «La creazione
delle vostre femmine, formate con il vostro sangue,
perché dimoriate insieme, [...] annunciano la
sua bontà a quelli che riflettono» (F). |
- Essi ne dispongono a loro
piacimento
Sura II (La vacca)
223. «Le vostre
donne sono il vostro campo. Coltivatelo
ogniqualvolta vi piacerà» (F). |
- La poligamia è
autorizzata, ma limitata a quattro mogli
Nell'Hegiaz, la poligamia
preesisteva all'islam, il quale la conservò e regolò nel
Corano:
Sura IV (Le femmine)
3. «Se temete di
essere ingiusti verso gli orfani, temete di esserlo
anche verso le vostre donne. Non sposatene che due,
tre o quattro» 152. |
Nonostante il carattere
relativamente condizionale di questo versetto, è su esso che
si fonda la regola che limita a quattro (più le concubine
che non si contano 153) il
numero delle spose che può avere simultaneamente un
musulmano. Molti sono i versetti che trattano del
matrimonio; vediamoli brevemente.
- Il Corano proibisce il
matrimonio entro certi gradi di parentela
Il versetto 27 della Sura IV
proibisce al credente di sposare sua madre, le sue figlie,
le sue sorelle, le sue sorelle, le sue zie, le sue nipoti,
le sue nutrici, le sue matrigne, o di sposare due sorelle.
- Ma Maometto beneficiò di
alcune deroghe
Sura XXXIII (I
congiurati)
47. «O Profeta! Ti
è concesso di sposare le femmine che avrai dotate,
le prigioniere che Allah fece cadere nelle tue mani,
le figlie dei tuoi zii e delle tue zie che fuggirono
con te, e ogni femmina fedele che ti aprirà il suo
cuore. è un privilegio che noi ti concediamo.
Conosciamo le leggi del connubio che stabilimmo per
i credenti. Non temere di essere colpevole usando
dei tuoi diritti. Allah è buono e misericordioso»
154 (F). |
- Come bisogna trattare le
spose
Sura IV (Le femmine)
23. «O credenti!
[...] se ripudiate una donna, non
riprendetevi la sua dote [...]. Siate buoni
nel vostro modo di agire verso di loro. Se tra le
vostre donne ve n'è una per la quale provate
indifferenza, può darsi che proviate indifferenza
per una cosa nella quale Allah ha deposto un bene
immenso» (K). |
- Il castigo delle donna
adultera
Sura IV (Le femmine)
19. «Se qualche
vostra moglie è caduta in adulterio, chiamate
quattro testimoni. se le loro testimonianze
concordano contro di lei, chiudetela in casa
vostra, sino a che la morte consumi la sua
carriera mortale» (F). |
- Esso è meno severo per la
donna schiava
A quest'ultima, infatti, il
Corano prescrive di non infliggere che la metà della pena,
il che dimostra che la sanzione per l'adulterio non sia
sempre la morte.
- Ma è più severo per le
mogli di Maometto
Sura XXXIII (I
congiurati)
28. «O spose del
Profeta! Se qualcuna di voi si macchia di un
delitto, subirà un castigo più rigoroso. Tale
vendetta è facile per Allah» (F). |
- Il ripudio (in
arabo talaq) è autorizzato
In effetti, «Allah non vi
castigherà per una parola sfuggita nei vostri giuramenti»
(Sura II, 225). Esso è oggetto di meticolose prescrizioni,
delle quali ne riportiamo alcune:
Sura II (La vacca)
228. «Le donne
ripudiate lasceranno passare il tempo di tre mestrui
prima di risposarsi. Esse non devono nascondere di
essere gravide, se credono in Allah e nel giorno del
giudizio. É più equo allora che il marito le
riprenda, se desidera una sincera riconciliazione.
Bisogna che le femmine si contengano con conveniente
decenza e i mariti abbiano superiorità su di loro».
229. «Il ripudio
non avverrà che due volte. I mariti custodiranno le
loro donne con umanità e le rinvieranno con
giustizia».
230. «Chi ripudierà
tre volte una donna non potrà riprendersela se non
dopo che essa avrà giaciuto con un altro sposo che
l'avrà ripudiata» (F). |
La situazione della donna musulmana è cambiata?
La donna è ancora ritenuta
inferiore all'uomo? La sua condizione nei Paesi islamici è
ancora regolata dalle norme che abbiamo appena letto? Nelle
sue manifestazioni esteriori, la concezione musulmana dello
stato della donna (il shadòr, le relazioni con
l'esterno, la partecipazioni ad attività salariate, ecc...)
varia sensibilmente da uno Stato all'altro. Presso alcuni di
essi, essa tende - anche se fino ad un certo punto - a
divenire meno rigida e più liberale. Se da una parte rimane
molto difficile distinguere tra l'evoluzione apparente e
l'immobilismo reale di fondo, dall'altra, determinate
correnti tendono a ripristinare le regole coraniche e
tradizionali laddove sembrava che si fossero attenuate. Lo
studio caso per caso di queste situazioni ci porterebbe
oltre i limiti assegnati a questo studio. Ecco tuttavia
qualche esempio che ci aiuterà a farcene un'opinione.
- Evoluzione verso uno
statuto più liberale?
In Tunisia, esso è già stato
realizzato; nondimeno, alcuni giovani tunisini esponevano di
recente - e non senza veemenza - ad un nostro amico di
passaggio a Sfax, che essi contestavano il lassismo dei
costumi europei, e che intendevano agire in favore di un
ritorno alle regole dell'islam autentico. Essi aggiungevano:
«Non vogliamo che le nostre donne diventino delle p...
come le francesi del Club Méditerranée sulle nostre spiagge».
In Algeria, si dice che il nuovo Codice di Famiglia sia più
liberale per la donna; questo è almeno ciò che leggevamo su
di una piccola rivista parrocchiale dell'Est della Francia,
che salutava questo avvenimento. Tuttavia, un mese dopo ci
venne mostrata una vigorosa protesta di un club
algerino di donne (esistono dunque dei club
femminili?) che denunciava l’ipocrisia dei compilatori
«maschilisti» di questo nuovo Codice! Sotto apparenze
liberali - esse accusavano - questo Codice rappresenta in
realtà per la donna musulmana un balzo indietro di molti
secoli! Dobbiamo credere alla rivista parrocchiale o a
queste contestatrici? A nostro avviso, più alle seconde,
molto più addentro alla questione della prima...
- Immobilismo,
status quo coranico?
In uno Stato dell'Arabia, la
tariffa delle indennità che il responsabile di un incidente
mortale automobilistico deve versare alla famiglia della
vittima è stato recentemente reso noto; ciò che ci ha
colpito maggiormente non è stata né la moneta corrente, né
le cifre precise, ma le seguenti proporzioni:
Vittima musulmana |
Uomo: |
1.000 |
Donna: |
500 |
Vittima non musulmana |
Uomo: |
250 |
Donna: |
125 |
Un giovane industriale
francese, di ritorno dalla Giordania, dove aveva trascorso
qualche settimana, ci raccontava: «Alcune ragazze
francesi hanno sposato dei giordani molto simpatici,
conosciuti a Parigi alla facoltà universitaria. Ma, ahimè,
arrivate ad Amman, capitale di questo Stato, ebbero una
terribile delusione: esse furono immediatamente rifiutate
dalla famiglia (in quanto sono e resteranno cattoliche);
nessuna relazione o amici furono tollerati, che non fossero
donne. Così isolate, esse si consacrarono ai loro bambini
(messi al mondo in serie, uno all'anno), ma ahimè un'altra
volta, non gli furono lasciate che le figlie, mentre i figli
maschi gli furono sottratti per essere cresciuti nell'islam»;
casualmente, alcune di queste ragazze scoprirono all'arrivo
«che il loro marito era già sposato, senza che egli le
avesse messe al corrente».
- Un'evoluzione
apparente
E in Europa? A contatto con la
nostra società, tali concezioni si indeboliscono
nell'immigrato musulmano? In effetti, sembra che ci sia
stata un'evoluzione, naturalmente più profonda in quelli
della seconda generazione e, ancor di più, in quelli della
terza 155. Sempre più spesso,
si vedono delle donne musulmane svolgere all'esterno
mansioni, o commissioni che i loro mariti, al lavoro, non
possono portare a termine: fare un vaglia postale, spingere
un carrello in un supermercato, ecc... ma ciò avviene in
Europa, al di fuori del contesto religioso familiare e
tribale del luogo di provenienza; le stesse donne,
ricondotte in questo contesto, oserebbero comportarsi in
questo modo? É lecito dubitarne, quando si sentono alcuni
immigrati raccontare i loro ricordi di soggiorno. Laggiù,
non si permette ciò che invece qui è permesso, perché mal
visto dalla famiglia.
- Ma la situazione di fondo
e i riflessi sussistono
Ecco, tra i tanti, un esempio
significativo. In occasione di un conflitto sociale che
interessò uno stabilimento della Renault della
regione parigina, un'emittente televisiva francese invitò un
membro del personale di questa industria - un marocchino di
circa trentacinque anni, delegato sindacale della C.G.T.
- a venire ad esprimere le proprie opinioni di fronte alle
telecamere. Trattandosi di una trasmissione molto seguita
(mandata in onda alle ore 20:00), la C.G.T. aveva
scelto accuratamente il suo uomo: egli diede prova di una
perfetta disinvoltura e si espresse molto bene. Si
assistette, dunque, alla solita requisitoria contro i
vice-responsabili, contro i responsabili, contro la
Renault, contro la Francia, ecc.... Niente di più
normale. Poi l'intervistatore entrò nell'ambito familiare:
-
Intervistatore:
«Parliamo di voi, signore: siete sposato»?
-
Marocchino:
«Sì».
-
Intervistatore:
«Avete dei figli»?
-
Marocchino:
«Sì, tre...»
-
Intervistatore:
«Maschi o femmine»?
Il volto del musulmano si
incupì bruscamente:
-
Marocchino:
«Tre femmine - rispose seccato - di undici, tredici e
quindici anni».
-
Intervistatore:
«Le lasciate uscire dopo la scuola»?
-
Marocchino:
«Ah, no»!
Il grido accorato - riflesso -
sgorgò istantaneamente senza che egli riuscisse a
controllarsi, facendo una gaffe davanti a milioni di
telespettatori francesi. Eppure egli stato «addestrato» e
aveva seguito i corsi della C.G.T. (registratore e
dialettica); qualche attimo di esitazione, e il meccanismo
funziona:
-
Marocchino:
«Ah, no!... perché... perché... se ci sono dei vetri rotti
nella casa, si dice ancora che sono "sale arabe" (case
di tolleranza; N.d.T.)»!
In uno studio realizzato dalla
rivista Documentation Française 156
sono stati segnalati come «spesso drammatici e pertanto
offesa ai diritti della persona» i casi di adolescenti
musulmane sottratte dopo i quindici anni d'età, alla scuola
dell'obbligo su presentazione di un certificato medico
attestante che la madre affaticata aveva bisogno di un aiuto
in casa. É facile intuire che lo stato della madre non sia
altro che un pretesto, e che in realtà si tratti di
un'applicazione della tradizione musulmana; la figlia deve
restare in casa finché resta nubile 157.
- La condizione della donna
non sembra evolversi
Alcuni autori si danno molta
pena per convincersi che, contrariamente ad un'immagine
molto diffusa, l'islam ha fatto molto per la liberazione
della donna. Così, ad esempio, scrive l'orientalista
Marc Bergé
(1929-2011):
«L'islam
ha liberato la donna, ma l'ha protetta eccessivamente [...].
Tuttavia, l'uguaglianza di base tra l'uomo e la donna, e tra
tutti gli esseri umani, è suggerita nel Corano quando si
parla della creazione: "Temete Allah che vi ha creati con lo
stesso soffio, e che con questo stesso soffio ha creato una
coppia da cui derivano molti uomini e molte donne"»
158.
Nondimeno, qualunque sia il bisogno di liberazione che
ancora oggi prova la donna musulmana, è importante misurare
tutto ciò che l'islam ha apportato all'essere umano - uomo o
donna che sia - quanto a dignità e uguaglianza. Le
prescrizioni riguardanti la donna «rappresentano, nel
momento, nel momento in cui il Corano fu rivelato, la
legislazione più "femminista" del mondo civilizzato
159
[...]. In nessuna civiltà si può affermare che, sul piano
del diritto, la donna e l'uomo siano stati definitivamente
liberati» 160. La lettura dei versetti del Corano, oltre
all'osservazione costante dei fatti, porta a delle
conclusioni sensibilmente diverse da quelle formulate da
questo autore. L'islam è una religione fatta da un uomo,
regolamentata da lui e da altri uomini, a beneficio di altri
uomini. Nessuno stupore, dunque, quando constatiamo la
naturale ripugnanza di questi stessi uomini a modificare la
condizione della donna, e che l’evoluzione dell'islam a
questo riguardo sembri così lenta rispetto a ciò che avviene
nelle altre società.
CAPITOLO VIII
LA PRINCIPALE SÈTTA DELL'ISLAM: GLI SCIITI
Lo studio delle numerose sètte 161
che dividono l'islam ci sembra oltrepassare i limiti di
questo studio. Ad ogni buon conto, l'importanza dello scisma
sciita merita che gli consacriamo questo breve capitolo. Il
principale gruppo ad essersi distaccato dall'islam ortodosso
all'indomani della sua costituzione, più che una sètta
costituisce una delle maggiori tendenze dell'islam. Il mondo
musulmano è in effetti tagliato in due tronconi: i sunniti,
ovunque in maggioranza (tranne che nell'Iran e in Iraq), e
gli sciiti. Questi ultimi sono a loro volta suddivisi in
sètte e sotto-sètte. A grandi linee, ci limiteremo ad
analizzare quelle che si oppongono al sunnismo.
Origini degli sciiti
Il termine «sciita» deriva
dalla parola shìa, che in arabo significa «partito».
Originariamente, si trattava dei seguaci di Alì, della
shìa Alì.
- All'origine,
dissensi sulla successione
«Al contrario di quello che
è accaduto per il cristianesimo, non si tratta di diatribe
dottrinali, ma di dissensi politici che hanno immediatamente
dato vita agli scismi e alle eresie in seno all'islam»
162. Per gli sciiti, l'imàm
163 (l'equivalente sciita del
califfo) dev'essere scelto non solo nella parentela, ma
nella filiazione diretta di Maometto, che riservò tale
dignità ai soli discendenti di Alì e di Fatìma. Ora, (come
abbiamo visto al cap. III) il gruppo di fedeli incaricato di
designare i primi successori di Maometto scartò per ben tre
volte la candidatura di Alì. A causa di questo, i califfi
vengono considerati dagli sciiti degli usurpatori. Tali
divisioni diedero a loro volta origine a lotte sanguinose
durante i primi due secoli dell'ègira, lotte che
ebbero le loro ripercussioni anche sul piano religioso.
- Le ripercussioni
religiose
Gli sciiti fecero degli
«alidi» uccisi in combattimento dei veri e proprî martiri;
la morte di Husayn (morto nel 680), nipote di Maometto,
caduto in combattimento durante gli scontri di Kerbela, nei
paesi sciiti, è ricordata con un giorno di lutto nazionale.
La sua tomba - e quella di Alì - sono per gli sciiti dei
luoghi di pellegrinaggio sacri allo stesso modo in cui lo
sono tutte le città sante dell'Hegiaz. Ma questa non fu
l'unica ripercussione.
Tratti caratteristici degli sciiti
-
Credenza sciita nell'imàm
invisibile
Stando alla tradizione sciita,
il secondo discendente di Husayn sarebbe misteriosamente
scomparso in un sotterraneo all'età di dieci-dodici anni,
senza lasciare discendenti. Onde sopperire a questa
«vacanza», gli sciiti hanno inventato la teoria
dell'«occultamento»: essi credono nell'esistenza di un
imàm invisibile, immortale e presente, al quale giurano
fedeltà oltre che ad Allah e a Maometto. Tale fedeltà è
posta allo stesso livello dei «cinque pilastri». Nel libro 164
scritto dall'ayatollàh Mousavi Khomeini
(1902-1989) durante il suo soggiorno a Neauphle-le-Chateau,
che costituisce un sorta di Mein Kampf, il termine
«occultamento» ritorna spesso sotto la penna dell'ayatollàh.
Inoltre, le assemblee sciite iniziano con preamboli di
questo genere: «In presenza dell'imàm invisibile, ci
riuniamo...». Recentemente, un dignitario sunnita si
faceva beffa di questi sciiti arretrati che «tutti i
venerdì portano un cavallo bianco sellato alla moschea di
Kerbela, in attesa dell'imàm; poi, siccome l'imàm non
arriva, si riconduce il cavallo alla scuderia, e ciò accade
ormai da secoli».
- A parte questo, le
differenze sono minime
Le diversità o i disaccordi
tra i sunniti e gli sciiti - eccetto il problema della
successione - si limitano ad alcuni dettagli relativi alle
abluzioni rituali e ai funerali.
- Ripartizione mondiale
degli sciiti
Essi sono disseminati un po'
ovunque, e principalmente nello Yemen del Nord, ma sono
ampiamente in maggioranza in Iraq e in Iran. Il territorio
di questi due Paesi ricopre grosso modo quello dell'antica
Persia. Alcuni storici ritengono che i persiani subirono
l'islamizzazione, ma rifiutarono di essere «arabizzati», e
dunque non accettando che un imàm-califfo discendente
autentico del fondatore dell'islam, e non gli intriganti
meccani. La dottrina sciita avrebbe costituito per essi una
forma di protesta e di originalità. Da notare che Husayn,
l'eroe degli sciiti, annoverò fra le sue spose una figlia
dello scià di Persia.
CAPITOLO IX
ASCETISMO E MISTICA NELL'ISLAM: IL SUFISMO
Tutto quanto abbiamo fin qui
visto porta a pensare a priori che l'islam non
incoraggi il musulmano ad allontanarsi dal quadro del dogma
stretto e da un ritualismo rigoroso, per poter sviluppare
l'unione spirituale dell'anima con Allah; tale cammino -
passando per l'ascesi - costituisce il fondamento di molte
religioni, e com'è noto, anche del cristianesimo. Occorre
tuttavia chiedersi se, e in quale misura, alcuni musulmani
abbiano tentato di provare questa esperienza mistica.
L'islam è una religione
mistica?
- L'islam condanna
la vita monastica
Sura LVII (Il ferro)
27. «Sono loro
(i cristiani) che hanno inventato la vita
monastica; noi non abbiamo prescritto che di piacere
ad Allah» (K). |
Aggiunge Kasimirsky: «Come
abbiamo visto, Maometto condanna la vita monastica; si
tratta di un aforisma ripetuto spesso dai musulmani: "Là
rahabaniïeta fil-islàmi", punto di vita monastica
dell'islam» 165.
- Nel Corano non si parla
affatto di mistica
«Il Corano non tratta per
nulla la questione mistica. A dire il vero, Maometto e i
suoi primi discepoli non furono dei mistici, ma
semplicemente degli uomini animati da una viva fede,
sensibili a due o tre concetti fondamentali: l'unità e la
potenza divina, la sopravvivenza dell'anima e la
retribuzione nell'al di là. Essi non erano affatto abituati
a coltivare la vita interiore, ma erano dei guerrieri»
166.
- L'islam non è una
religione interiore
«Il Corano, con le sue
stipule legali, con i suoi inviti alla guerra santa, e con
le sue invettive contro gli infedeli, non sembra eccitare la
sensibilità interiore e propriamente spirituale. La sharìa
- continua Padre Lammens - non legifera per il foro
interno. Essendo una disciplina sociale e una sorta di legge
superiore, essa si limita a riunire tutti i fedeli attorno
ai riti e alle osservanze della comunità islamica, senza
curarsi di entrare nei dettagli della vita interiore
[...]. Essa non esamina e non sorveglia che l'adempimento
delle forme esteriori e delle modalità rituali»
167.
Il sufismo
-
Origini del sufismo
Alcune spiriti reagirono alla
rigidità imposta dall'islam; fu così che nacque la
disciplina del sufismo. «Questi fedeli aspiravano ad
un'esperienza personale più intensa delle verità religiose,
che avrebbe dovuto facilitare l'ascesa graduale dell'anima
verso Allah. Tali tendenze, quasi per nulla soddisfatte
dall'islam ufficiale, sfociarono nella nascita di una
disciplina mistica, il "Tasawwuf", o sufismo» 168.
- Misticismo e influenze
cristiane: Ghàzàlì
Il più celebre dei
rappresentanti del sufismo ortodosso è Abù-Hàmid
al-Ghàzàlì (1058-1111), teologo, giurista e
filosofo. Il sufismo, così come egli lo preconizzò, presenta
strane analogie con il cristianesimo, di fronte al quale
egli non esitò a proclamare la propria simpatia. Esso
esortava il credente alla vita interiore, proclamava la
necessità di «vincere sé stessi», consigliava la scelta di
un direttore spirituale, la pratica della penitenza, l'esame
di coscienza quotidiano, e tutti quei metodi che concordano
in maniera singolare con quelli che più tardi applicò il
fondatore della Compagnia di Gesù, Sant'Ignazio di
Loyola (1491-1556). Tale conversione interiore non
poteva operarsi che grazie all'esercizio della meditazione,
e i consigli di Ghàzàlì si avvicinavano molto a quelli di
Sant'Ignazio, tanto nella forma, quanto nella sostanza; vi
si ritrova lo stesso incitamento alla prudenza e alla
diffidenza verso sé stessi. «Secondo Ghàzàlì, la vita
spirituale trova il suo alimento più sostanziale nella
meditazione, o "tafakkor". Si applicano le tre potenze
dell'anima: memoria, intelligenza e volontà [...];
essa inizia con la "composizione di luogo" [...]. Si
consiglia di evitare di perdersi in inutili speculazioni
teologiche [...]. L'importante è trarne risoluzioni
pratiche [...]. Se si vogliono evitare le illusioni o
i dubbi contro la fede, si raccomanda anche di non scegliere
come materia di contemplazione l'Essenza divina»
169.
- Il sufismo:
eccessi e deviazioni
In assenza di una qualsiasi
gerarchia, la temperanza consigliata dal saggio Ghàzàlì non
venne osservata ovunque: «Ciò che mancò al sufismo -
affermava lo scrittore e politico francese Maurice Barrès
(1862-1923) - fu la sorveglianza da parte di una
gerarchia debitamente autorizzata. Come nel cattolicesimo,
il suo intervento avrebbe captato la fonte, e l'avrebbe
incanalata prima che essa divenisse un torrente fangoso in
piena. Essa avrebbe inoltre imposto il rispetto di regole
morale, scoraggiando un'estasi sterile che non fosse un
mezzo di perfezione» 170.
- Le sanzioni dell'islam
ortodosso
Fin dal 922, dato che le
confraternite di questa natura si moltiplicavano,
l'ortodossia islamica decise di colpire inesorabilmente
questa sètta, condannando a morte Husayn ibn Mansur al-Hallàg
(858-922), il più celebre degli adepti del sufismo, secondo
il quale la sofferenza è la grande forza nella quale si
manifesta lo stesso Allah; flagellato, mutilato e appeso ad
una croce, egli fu infine decapitato, e il suo cadavere
venne bruciato. Tuttavia, il sufismo non tardò ad inoltrarsi
contemporaneamente nell'esoterismo e nella ricerca
della più stravagante illuminazione (vedi, ad esempio, le
pratiche dei dervisci ai nostri giorni 171).
Tali deviazioni servirono come pretesto ai musulmani
ortodossi, e gli permisero di adottare delle misure contro
il sufismo (e contro le diverse confraternite mistiche che
ne erano derivate), troppo nettamente colorate di
cristianesimo. Così, ad esempio, in Egitto, i sultani, oltre
a sorvegliare la dottrina dei sufi, nominarono uno «sceicco»
supremo onde evitare la loro entrata nella vita politica.
L'impero ottomano li ha sempre trattati con diffidenza,
anche se li ha utilizzati per la propaganda panislamica.
L'attuale governo dell'Egitto ha mantenuto l'istituzione
dello «sceicco» supremo delle confraternite sufi.
|
|
|
al-Ghàzàlì |
Maurice Barrès |
Sant'Ignazio di Loyola |
- Regressione attuale del
sufismo
Tuttavia, Padre Lammens,
osservando questo declino, evidenzia il fatto che esso è
soprattutto accentuato nei Paesi musulmani aperti agli
influssi occidentali.
- Influenza della
Massoneria in questa regressione
È noto il ruolo determinante
della sètta massonica nella laicizzazione della Turchia con
l'avvento del kemalismo 172, di cui essa fu l'ispiratrice e
l'organizzatrice: «Furono le Logge del Partito "Unione e
Progresso" che prepararono il "Movimento della Giovane
Turchia" e l'avvento del kemalismo. La Massoneria penetrò
profondamente l'élite musulmana, senza tralasciare i circoli
dei Salafyya, pilastri portanti dell'ortodossia ufficiale di
tutte le confraternite e organizzazioni sufi, confiscando i
loro beni» 173.
- Sull'essenziale,
il sufismo resta radicalmente separato dal cristianesimo
Dopo ciò che abbiamo appreso circa le ispirazione iniziali
del sufismo e sul metodo «pre-ignaziano» preconizzato da
Ghàzàlì, il lettore cristiano non è forse preso da una
dolorosa emozione? Non vede forse nel sufismo la grande
«occasione mancata» dall'islam? Percependo punti in comune
con la propria fede, non è forse tentato di dire fra sé che,
poiché questi fratelli sembrano così vicini, forse un giorno
il sufismo li condurrà alla verità integrale? Al fine di
essere più obiettivi possibile, bisogna fare attenzione, e
ben misurare quanto l'ostacolo che sbarra questa strada sia,
almeno per ora, insormontabile. Esso è stato posto da
Ghàzàlì stesso, ahimè, insufficientemente illuminato, il
quale lo ha eretto allorché la simpatia e l'attrazione che
provava verso il cristianesimo, gli hanno ispirato queste
parole: «Il cristianesimo potrebbe essere l'espressione
assoluta della verità, se non fosse che per il suo dogma
della Trinità, e per la sua negazione della missione divina
di Maometto» 174. Si noti
come Ghàzàlì, con questa frase, sia rimasto interamente
fedele alla shahàda, la professione di fede
dell'islam:
Proposizioni, come abbiamo
visto in precedenza, radicalmente inaccettabili per un
cristiano.
CONCLUSIONE
Eccoci finalmente giunti al
termine di questo brevissimo studio; ci chiediamo: dopo
questa lettura, è possibile formulare un giudizio globale
dell'islam? No, senza dubbio, per chiunque desiderava -
prima di emettere un verdetto d'insieme su quest'ultimo -
esaminare e prendere in considerazione non solamente il
contenuto religioso dell'islam, ma anche l'aspetto
economico, storico, ecc... No, indubbiamente, per il lettore
semplicemente agnostico e che non si accontenta di uno
studio incentrato principalmente sul fatto religioso. Ma
nell'immediato, il presente studio, destinato innanzitutto
ad un pubblico cattolico, voleva essere il più conciso
possibile. In effetti, se «l'islam è innanzitutto una
religione», è evidente che le «esitazioni» - ed è il meno
che si possa dire - si moltiplicano, soprattutto tra molti
cattolici disorientati, quando si tratta di valutare l'islam
da un punto di vista religioso, e in rapporto alla propria
religione. É per tale motivo che occorreva lasciare
innanzitutto la parola all'islam, affinché ci rivelasse lui
stesso il suo contenuto dogmatico, quello in cui crede,
quello che nega, quello che rigetta e quello che combatte.
Nelle righe precedenti, abbiamo potuto vedere l'islam reale
prendere le distanze, in modo sempre più impressionante, dal
cristianesimo. Trattando, ad esempio, della paternità e
della misericordia divina, del peccato originale e della
redenzione, della resurrezione della carne, del paradiso o
della visione beatifica, è emersa la profondità incolmabile
di queste divergenze che non finiremmo mai di analizzare in
maniera esauriente. Ma, in qualche modo, tale analisi
diventa superflua nell'istante i cui si prende atto del
fatto che l'islam nega in modo radicale (esattamente come il
giudaismo post-biblico) la divinità di Gesù Cristo, e che la
rifiuta senza ambiguità, fermamente, facendo di questo
diniego, così spesso riaffermato nel Corano, la chiave di
volta del suo edificio dottrinale.
V
«Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,
6)
Queste parole - occorre qui
ricordarlo - sono di Nostro Signore Gesù Cristo stesso. Ne
consegue ineluttabilmente che ogni dottrina che rifiuta Gesù
Cristo porta alla cecità, all'errore e alla morte
spirituale.
V
«In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro
nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito
che possiamo essere salvati», afferma solennemente San
Pietro, il Principe degli Apostoli (At 4, 8-12).
V
«Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei
cieli, sulla terra e nell'inferno», gli fà eco San
Paolo... (Fil 2, 10-11).
Z
«Poco manca che i cieli non si schiantino a queste
parole, che la terra non si spacchi e le montagne spezzate
non crollino. Essi attribuiscono un figlio al
Misericordioso, e non potrebbe averne» (Sura XIX,
92-93).
Z
«Quelli che dicono che il Cristo, figlio di Maria, è Dio,
sono infedeli», replica l'islam (Sura V, 19).
Quell'islam che - rigettando
Cristo - guida da tredici secoli centinaia di milioni di
uomini verso la cecità, verso l'errore e verso la morte
spirituale. Salvo a voler contraddire l'insegnamento di
Cristo stesso, riaffermato dai suoi Santi Apostoli Pietro e
Paolo e dalla Sua Santa Chiesa, ogni cristiano non può
considerare diversamente l'islam che una falsa religione,
come «l'ombra della morte», seguendo la terribile formula di
Padre Charles de Foucauld 175.
Ci duole di dover rammentare queste verità così evidenti, ma
non è certamente senza un motivo che lo facciamo. Anche se
Dio, nella Sua bontà e misericordia infinita, accoglie gli
uomini che l'hanno cercato in buona fede, o che hanno
semplicemente vissuto nel rispetto della legge naturale,
resta il fatto che sarebbe un terribile errore per il
cristiano far leva su questa argomentazione per accreditare
l'islam elevando al rango di religione salvifica. Di fronte
ai suoi fratelli fuorviati dell'islam, il cristiano può far
molto di meglio che tentare di penetrare, in modo quasi
sacrilego, nel mistero della misericordia divina, a dispetto
degli insegnamenti fermi e privi di ambiguità che abbiamo
appena rievocato. In realtà, il cristiano deve incaricarsi
di un duplice dovere: pregare per la conversione dei
musulmani, e operare perché questa conversione
divenga possibile. Nessuna autorità al mondo ha il
diritto di distoglierlo da questa duplice mansione che
scaturisce direttamente dall'ordine dato da Cristo stesso ai
Suoi Apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il
Vangelo ad ogni creatura». «Ad ogni creatura».
Abbiamo mai pienamente misurato la portata di questo
comando? Forse che qualcuno ha mai potuto leggere nel
Vangelo che Gesù abbia ordinato ai Suoi Apostoli:
«Andate, predicate la Buona Novella; ma se incontrate dei
popoli che professano già una religione - una religione
monoteista, almeno - allora lasciateli in pace! Fate marcia
indietro... essi sono già serviti...». No, il mandato
del Signore è stato molto chiaro: «ad ogni creatura».
Questo ordine si impone al cristiano. Nessuno ha il diritto
di dispensarlo da questo obbligo; dopo questa vita, gli sarà
chiesto conto del suo compimento. Certo - specialmente
quando si cerca di convertire dei musulmani - si tratta di
un compito difficile, e la strada è irta di ostacoli. Ma su
questa via, il peggiore scoglio non è quello che si
immagina. Il peggiore impedimento sarà quello di credere
che, per un non si sa qual nuovo e lassista decreto divino,
d'ora in avanti, noi siamo dispensati dal prendere per mano
i nostri fratelli musulmani e di condurli nell’unica vera
luce, quella di Cristo Gesù.
APPENDICE I
CARTA GEOGRAFICA DELL'ARABIA
APPENDICE II
MESSAGGIO DEL COLONNELLO GHEDDAFI
AI CAPI DI STATO DEL MONDO
(gennaio 1984)
«Mi rallegro con voi in
occasione del nuovo anno che cade millenovecentottantatre
anni dopo la nascita di Gesù - la pace sia su di lui - di
cui non sapremmo nulla se la rivelazione non fosse discesa
su Maometto - le preghiere e la pace di Allah siano su
di lui - al quale Allah ha raccontato tutta intera la storia
di Gesù, e quella di su madre Maria, figlia di Amram; da
allora, noi musulmani abbiamo creduto - tramite il Corano
disceso su Maometto - che, purtroppo per voi (cristiani),
non avete riconosciuto - alla nascita miracolosa di Gesù e
alla sua profezia che non ci erano pervenuti con chiarezza
né dalla Toràh, né dal Vangelo, poiché il libro dell'Antico
e del Nuovo Testamento, attualmente in circolazione, è
stato falsificato. Esso è stato modificato e
deliberatamente amputato del nome del profeta Maometto,
e di molte altre cose, in quanto nella vera Bibbia,
indirizzandosi ai figli d'Israele che lo hanno rinnegato e
che lo volevano uccidere, Gesù disse: "Sono l'apostolo di
Allah, ripeteva agli ebrei Gesù, figliolo di Maria. Vengo a
confermare la verità del Pentateuco che mi precedette e ad
annunciarvi la felice comparsa del profeta che verrà dopo di
me. Ahmed è il suo nome" (Sura LXI, 6). In questa
sacra circostanza, invito dunque le nuove generazioni del
mondo cristiano ad orientarsi verso la lettura del Corano
per conoscere la verità sul Messia Gesù - la pace sia su di
lui - e su sua madre Maria, sorella di Aronne
176; come Gabriele sia venuto ad
annunciarle la nascita di Gesù quando ella era vergine; come
essa abbia partorito in un luogo lontano; come Allah le
abbia procurato bevanda e nutrimento da un ruscello e da una
pianta di datteri; come la sua tribù l'abbia denigrata; come
Gesù neonato abbia parlato dalla culla e convinto le genti
che egli era profeta - benedetto e leale - e che Maometto
sarebbe stato profeta dopo di lui...
Poi, come i figli
d'Israele lo abbiano rinnegato, abbiano tentato di
ucciderlo, e come abbiano crocifisso un sosia
credendo di averlo crocifisso, mentre invece Allah lo aveva
elevato a sé... Come egli abbia resuscitato i morti con il
permesso del suo Signore, guarito i lebbrosi e il cieco, tra
tante prove miracolose... e altrettante precisazioni che
hanno fatto sì che - noi musulmani - credessimo alla nascita
miracolosa di Gesù, alla sua profezia, alla sua venuta e
alla sua scomparsa, alla guerra che gli hanno fatto gli
israeliti e al sostegno che gli hanno dato gli apostoli.
Tutto ciò, noi (musulmani) lo abbiamo appreso
unicamente mediante il Corano [...], quel Corano che
voi (cristiani) non avete mai letto e a cui non avete
prestato fede a causa del fanatismo cieco contro al nazione
araba, a causa della fuorviante propaganda israeliana
[...], a causa dell'ignoranza derivante dal fatto che non
avete preso conoscenza della verità del Corano e della
verità del profeta Maometto, al quale Allah ha
dettagliatamente raccontato la storia di Gesù Cristo e
quella degli altri profeti del santo Corano. È per tale
motivo che faccio appello alle nuove generazioni del mondo
cristiano al fine di provocare una rivoluzione culturale nel
pensiero e nei concetti del mondo cristiano, il quale ha
registrato una regressione e comincia a disgregarsi... E in
questo caso, esso ha nuovamente bisogno di un Savonarola, di
un Martin Lutero, o di un Calvino. La pace sia su colui che
segue il retto cammino» 177.
|
Colonnello Muammar Gheddafi
Guida della Gloriosa Rivoluzione
del Primo Settembre |
APPENDICE III
L'ISLAM E IL CONCILIO VATICANO II
Il 28 ottobre 1965, ovvero a
poco meno di due mesi dalla chiusura del Concilio Vaticano
II, i Padri conciliari riuniti in quell'assise approvavano
quasi all'unanimità la Dichiarazione Nostra Ætate,
sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane,
un documento basilare per chi voglia comprendere la portata
del cosiddetto «dialogo ecumenico» e la direzione
impressagli a viva forza e portata avanti a tutti i livelli
dalle massime autorità ecclesiastiche in questi ultimi
cinquant'anni. Nel secondo paragrafo, questo documento, dopo
aver ricordato che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di
quanto è vero e santo nelle altre religioni», e che
«essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di
vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in
molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e
propone, tuttavia riflettono un raggio di quella verità che
illumina tutti gli uomini», passano ad esaminare
singolarmente prima la religione musulmana (§ 3), indi
quella ebraica (§ 4). Rileggendo quanto questa Dichiarazione
affermi a proposito della religione di Maometto alla luce
dei fatti e delle conclusioni che via via sono emersi nel
corso di questo breve compendio, non si può fare a meno di
chiedersi se la religione di cui si parla con tanta «stima»
- a nostro avviso, del tutto immotivata - sia la stessa di
cui parla il Corano, o se si tratti di un altro credo,
frutto di chimeriche fantasie ecumeniche di insignificante
valore teologico e storico, lontane mille miglia dalla
realtà descritta in questo studio. Certi del fatto che la
lettura del paragrafo relativo all'islam costituisca il
primo passo per cogliere in profondità l'attuale modus
operandi della Gerarchia e di buona parte del clero, e
il conseguente smarrimento di non pochi buoni cristiani,
riportiamo per intero la parte che questa Dichiarazione
dedica ai seguaci di Allah.
La religione musulmana
3. «La Chiesa guarda anche
con stima i musulmani che adorano l'unico Dio,
vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente,
creatore del Cielo e della terra, che ha parlato agli
uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai
decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche
Abramo, a cui la fede islamica volentieri vi si riferisce.
Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano
tuttavia come un profeta; onorano la sua Madre Vergine,
Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre
attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà
tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la
vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la
preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei
secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra
cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a
dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua
comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per
tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la
pace e la libertà».