di
don Hervé Belmont
1
Prefazione
«Senza la fede è
impossibile piacere a Dio» (Eb 11, 6). Queste
parole di San Paolo sembrano dimenticate oggigiorno, persino
da coloro che, tuttavia, si definiscono «credenti», ovvero
come coloro che hanno la fede. Vero credente, infatti, è
solo colui che vive della fede, che decide alla luce della
fede tutte le scelte della sua esistenza.
E per fede non
intendiamo naturalmente un vago sentimento soggettivo, ma
quella virtù sovrannaturale che ha per oggetto, come ognuno
di noi recita nell'Atto di Fede, ciò che Dio ha
«rivelato, e la Santa Chiesa ci propone a credere». Già
nel 1969, gli autori del Breve esame critico del Novus
Ordo Missæ, presentato a
Paolo VI (1897-1978) dai Cardinali Alfredo
Ottaviani e Antonio Bacci, affermavano:
«È
evidente che il "Novus Ordo" non vuole più rappresentare la
fede (del Concilio) di Trento. A questa fede,
nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno.
Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del "Novus
Ordo" in una tragica necessità di opzione». |
|
|
|
Paolo VI |
Cardinal Ottaviani |
Cardinal Bacci |
Lo
stesso si potrebbe dire di molti insegnamenti del Vaticano II, che contraddicono la dottrina infallibilmente e
irreformabilmente definita della Chiesa, alla quale pure
«la coscienza cattolica è vincolata in eterno». La fede
spinge dunque il cattolico al rifiuto di una dottrina e di
una riforma liturgica in opposizione con quanto «Dio ha
rivelato e la Santa Chiesa ci propone a credere».
Ma se
le cose stanno così, che ne è dell'autorità che ha
promulgato, in nome dello Spirito Santo, queste nuove
dottrine? A questa domanda sono state date molte risposte.
La più corrente è quella che Paolo VI e i suoi successori
sono i veri e legittimi Pontefici Romani, Vicari di
Cristo... ai quali bisognerebbe però disobbedire. Già San
Paolo avrebbe risposto: «Chi resiste all'autorità,
va contro l'ordine di Dio, e quelli che così
resistono, si tireranno addosso la condanna» (Rm 13, 3).
Non si
tratta, quindi, di disobbedire al Papa, proposizione questa
che deve far orrore a ogni cattolico degno di questo nome.
Occorre un'altra soluzione. La soluzione che propone
l'Autore di questo opuscolo di poche pagine, ma di ardua
teologia, è quella detta «Tesi di Cassiciacum», e
proposta ai cattolici dal teologo domenicano Mons.
Michel-Louis Guérard des Lauriers (1898-1988),
già docente di Teologia alla Pontificia Università del
Laterano, a Roma.
Sopra: Mons.
Michel-Louis Guérard des Lauriers; a fianco, la sua tesi
esposta sui
Cahiers de Cassiciacum nel maggio del 1979.
L'Autore la presenta nel modo più semplice
e più pratico possibile; egli cerca, infatti, di dimostrare
(e a mio parere ci riesce perfettamente), che avere una
posizione chiara sull'autorità di Paolo VI e dei suoi
successori, non è facoltativo per i cattolici. Non si
tratta, insomma, di una disputa accademica che non interessa
il semplice fedele, o che mette la divisione tra i buoni
cattolici. Poiché il Papa è la regola prossima della nostra
fede, colui che dobbiamo ascoltare e a cui dobbiamo obbedire
per essere salvi, non è secondario, per un cattolico, sapere
se tale o talaltra persona è, sì o no, il Vicario di Cristo,
il Successore di Pietro, colui che tiene le chiavi del Regno
dei Cieli ed ha il potere di sciogliere o di legare...
È la
fede, che noi dobbiamo esercitare quotidianamente, che ci
impone di scegliere, e di scegliere alla luce della medesima
fede. L'autore di queste pagine, un giovane sacerdote
fondatore e direttore di una scuola cattolica nella regione
di Bordeaux, ha fatto la sua scelta, che gli è costata
l'espulsione dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X. Al
lettore, adesso, il dovere di informarsi per poi scegliere a
sua volta, non secondo il proprio vantaggio, ma secondo le
esigenze della fede cattolica.
Introduzione
Il 22 dicembre 1980, nella sua
risposta agli auguri del Sacro Collegio, Giovanni Paolo
II ha affermato: «Il Concilio Vaticano II ha
gettato le basi di un rapporto sostanzialmente nuovo
tra la Chiesa e il mondo...» 2.
Se il rapporto tra la Chiesa e il mondo è
«sostanzialmente nuovo» non è certamente perché
quest'ultimo è cambiato tornando a Gesù Cristo, cessando di
rinnegarLo e combatterLo; chiunque può facilmente
constatarlo.
Sopra:
Giovanni Paolo II
(1920-2005).
La novità viene dunque da parte della Chiesa, o
piuttosto - poiché la Chiesa è la Sposa immacolata, senza
ruga né macchia - da parte di coloro che la guidano. Lo
scopo di queste note è di mettere in luce questa novità per
permetterci di esercitare la fede cattolica, la cui regola
prossima 3 è costituita
dall'Autorità della Chiesa; ci interesseremo particolarmente
ad una delle più importanti innovazioni del Concilio
Vaticano II: la Dichiarazione sulla libertà religiosa
Dignititas humanæ, alla quale «bisogna continuamente
fare riferimento», come dice Giovanni Paolo II nel
medesimo discorso 4.
La fede
Quando parliamo di fede,
intendiamo la fede teologale, virtù divinamente infusa
nell'anima di alcuni uomini che, proprio per questo motivo,
sono chiamati fedeli. Si tratta della fede cattolica, il cui
oggetto è infallibilmente presentato dalla santa Chiesa
cattolica romana. La fede è un dono soprannaturale e
gratuito di Dio, che eleva l'intelligenza e determina la
volontà affinché il fedele aderisca fermamente e senza
timore
di errore alla verità divinamente rivelata, al mistero di
Dio che si rivela e si esprime in formule intelligibili e
vere. La virtù della fede si trova nell'intelligenza umana;
il suo atto è un atto dell'intelligenza: un atto che ha un
oggetto ben determinato, un contenuto intelligibile. In
altri termini, vi sono nella fede due elementi necessari:
-
uno, esteriore: l'oggetto
della fede. È la Rivelazione divina, espressa da Dio con
parole umane e trasmessa dalla Chiesa;
-
l'altro, interiore: la
virtù di fede. Questa virtù è un lume divino
gratuitamente comunicato che permette all’intelligenza
di accedere alla conoscenza soprannaturale dell'oggetto
della fede e che gliene dà una certezza propriamente
divina.
«Tibi dabo claves regni cælorum»
(Mt 4, 9).
Questi due elementi non sono
che una sola cosa perché procedono dall'unica Verità: il
Verbo di Dio. Non c'è dunque che una sola fede: la fede
cattolica. Al di fuori di essa, quella che impropriamente
viene chiamata «fede» non è altro che una credenza umana.
Questa fede ha un contenuto oggettivo: le verità rivelate, e
una regola prossima: l'insegnamento del Magistero della
Chiesa.
La fede non è dunque un sentimento religioso, né un
ricostituente morale, né la fiducia in Gesù Cristo, e
neppure l'adesione alla Sua persona escludendo l'adesione
alla verità che Egli rivela. Se la fede può essere, a
seconda delle persone, più o meno intensa e forte, il suo
oggetto non è però divisibile: negare o dubitare
volontariamente della più piccola verità di fede equivale a
non credere nella Parola di Dio, e quindi a perdere la fede.
È questo l'insegnamento di Papa Leone XIII (1810-1903)
5:
«Tale è la natura delle fede
che non c'è niente di più impossibile che credere una cosa e
rigettarne un'altra. La Chiesa professa, in effetti, che la
fede è una "virtù soprannaturale" mediante la quale, sotto
l'ispirazione e con il soccorso della grazia di Dio,
crediamo che ciò che è stato rivelato da Lui è vero; non lo
crediamo a causa della verità intrinseca delle cose vista
alla luce naturale della ragione, ma a causa dell'autorità
di Dio stesso che si rivela e che non può né ingannarsi né
ingannarci» 6. |
Sopra: Papa
Leone XIII.
Se è dunque
chiaro che una proposizione è stata rivelata da Dio, e
ciononostante non ci si crede, non si crede assolutamente
niente di fede divina.
«Quanta cura»
L'Enciclica Quanta cura
di Papa Pio IX (1792-1878), datata 8 dicembre 1864 e
consacrata alla condanna degli errori moderni, gode di una
particolare autorità. In effetti, il Sommo Pontefice vi
manifesta la sua volontà di farne un atto ex cathedra.
Ricordiamo innanzitutto quanto definisce il Concilio
Vaticano I sull'infallibilità del Romano Pontefice:
«Insegniamo e definiamo che è un dogma divinamente rivelato
che il romano Pontefice, quando parla "ex cathedra", ovvero
quando, nella sua funzione di pastore e dottore di tutti i
cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica
definisce una dottrina sulla fede e sui costumi, che dev'essere
tenuta dalla Chiesa universale, egli gode pienamente, grazie
all'assistenza divina che gli è stata promessa nella
persona del beato Pietro, di quell'infallibilità di cui il
divin Redentore ha voluto che fosse provvista la Sua Chiesa
quando definisce una dottrina sulla fede o sui costumi; in
conseguenza, queste definizioni del romano Pontefice sono
irreformabili in sé stesse e non in virtù del consenso
della Chiesa» 7. |
Sopra: Papa
Pio IX e la sua Enciclica Quanta Cura.
Dal
paragrafo nº 14 dell'Enciclica Quanta cura, risulta
evidente che Pio IX qui parla ex cathedra:
«Memori
del nostro incarico apostolico [...], Noi
riproviamo, proscriviamo e condanniamo con la Nostra
autorità apostolica tutte e ciascuna le opinioni errate
e le dottrine ricordate all'inizio della Nostra lettera; e
vogliamo e ordiniamo che tutti i figli della Chiesa
cattolica le tengano certamente come riprovate, proscritte e
condannate» 8. |
Più
esattamente, Pio IX ha parlato ex cathedra ogni qual
volta ha condannato nell'Enciclica degli errori che
riguardano la fede o la morale; è proprio allora che questi
errori sono stati condannati infallibilmente e lo restano a
tutt'oggi. È anche questo il caso della libertà religiosa.
Ecco cosa insegna il paragrafo nº 5 dell'Enciclica:
«Contro la dottrina della Sacra Scrittura, della Chiesa e
dei Santi Padri, affermano senza esitazione: la miglior
condizione della società è quella in cui non si riconosce al
potere politico il dovere di reprimere con delle pene legali
i violatori della religione cattolica, se non nella misura
in cui la tranquillità pubblica lo richieda. In conseguenza
di questa idea assolutamente falsa del governo sociale, non
esitano a favorire questa opinione erronea - non ve ne può
essere una più fatale per la Chiesa cattolica e per la
salvezza delle anime e che il Nostro predecessore Gregorio
XVI definiva un delirio - cioè che la libertà di
coscienza e dei culti è un diritto proprio ad ogni uomo,
che dev'essere garantito e proclamato in ogni società ben
costituita» 9. |
Sopra: Papa
Gregorio XVI.
Papa Pio IX
insegna dunque che affermare il diritto alla libertà civile
in materia religiosa - quel che è chiamato libertà di
coscienza o libertà religiosa - è contrario alla Rivelazione
divina. Il Papa insegna questo infallibilmente, e in
conseguenza per mezzo della virtù della fede - alla luce
della fede - il fedele sa e crede che l'affermazione del
diritto alla libertà religiosa è falso perché contrario alla
Rivelazione. Inoltre, Quanta cura non è l'unico atto
del Magistero in cui la Chiesa insegna ciò, benché sia
l'atto più solenne. Così parla anche Pio XII
(1876-1958):
«Quel che non corrisponde alla verità e alla
legge morale non ha nessun diritto all'esistenza,
alla propaganda e all'azione»
10. |
Sopra: Papa
Pio XII.
Vaticano II
Il 7 dicembre 1965, vigilia
della chiusura del Concilio Vaticano II, Paolo VI, in unione
con più di 2.300 Vescovi, firmava e promulgava solennemente
il Decreto Dignitatis humanæ sulla libertà religiosa:
«Tutto l'insieme e ciascuno dei punti che sono stati
pubblicati in questa Dichiarazione sono piaciuti ai Padri
conciliari. E Noi, in virtù del potere apostolico che
abbiamo da Cristo, in unione con i venerabili Padri,
Noi li approviamo, confermiamo e decretiamo nello
Spirito Santo, e ordiniamo che quel che è stato
stabilito in questo Concilio sia promulgato per la gloria di
Dio. Roma, in San Pietro, 7 dicembre 1965, io Paolo, Vescovo
della Chiesa cattolica» 11.
|
Questo Decreto conciliare definisce così la libertà
religiosa:
«Questo Concilio Vaticano dichiara che la
persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Il
contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono
essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli
individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano,
così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire
contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti
limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o
pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre
dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda
realmente sulla stessa dignità della persona umana quale
l'hanno fatta conoscere la Parola di Dio rivelata e la
stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla
libertà religiosa dev'essere riconosciuto e sancito come
diritto civile nell'ordinamento giuridico della società»
12. |
Il Concilio insegna dunque che
la libertà civile in materia religiosa è un diritto naturale
per l'uomo, in modo che il potere politico non ha il diritto
di impedire di agire pubblicamente a quelli che agiscono
secondo la loro coscienza in materia religiosa. Per
l'esercizio di questo diritto il Vaticano II assegna dei
limiti che sono enunciati subito dopo 13;
si tratta di salvaguardare la pace e la tranquillità
pubblica.
In altri termini, il Vaticano II insegna che la
dignità dell'uomo esige che lo Stato riconosca nelle sue
leggi che ogni uomo ha il diritto di professare e di
esercitare la propria religione, anche se falsa e
contraria alla religione cattolica, nella misura in cui
la pace pubblica sia preservata. Questa dignità umana,
continua il Concilio, è quella che la Parola di Dio ci
rivela. Così, dunque, secondo Dignitatis humanæ,
Paolo VI e l'insieme dei Vescovi dichiarano che è rivelata
da Dio una dottrina della dignità umana che è il fondamento
del diritto alla libertà religiosa in foro esterno e
pubblico. Il seguito del Decreto lo conferma:
«Una tale
dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella
Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con
sacro impegno dai cristiani»
14.
«La Chiesa, pertanto, fedele alla verità evangelica,
segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce
come rispondente alla dignità dell'uomo e alla Rivelazione
di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce»
15. |
Il
Magistero Ordinario e Universale
Qual'è la natura
dell'assentimento che bisogna dare a questo insegnamento del
Concilio Vaticano II? Un atto di fede? Un semplice
sentimento interno? Una considerazione rispettosa? Questo si
vede a partire dalla natura stessa dell'atto, il quale è
precisato dai suoi autori. Dignitatis humanæ è un
atto del Magistero Ordinario e Universale 16.
Dobbiamo
precisare questa nozione per utilizzarla
nel senso in cui la Chiesa la intende,
per seguire la prescrizione del
Concilio Vaticano I:
«Così bisogna sempre
conservare per i sacri dogmi il senso
che la santa madre Chiesa ha dichiarato
una volta, e non è mai permesso di allontanarsene
su pretesto o sotto parvenza
di un'intelligenza più profonda»
17. |
L'espressione «Magistero Ordinario Universale» è utilizzata dal Concilio
Vaticano I, e ne troviamo il significato
negli interventi e relazioni ufficiali
della Deputazione della fede, incaricata
di spiegare ai Padri, prima dello scrutinio, il senso esatto
di ciò che
dovevano definire. La Deputazione fa riferimento alla
Lettera apostolica
di Pio IX Tuas libenter, del 21 dicembre 1863
18.
«Universale» significa
l'insieme della Chiesa docente: il Papa e i Vescovi
subordinati. Il Magistero Universale è pertanto il potere di insegnare della Chiesa
esercitato
dal Papa e dall'insieme dei Vescovi. Esso può essere esercitato
in maniera straordinaria con un giudizio solenne, o in modo
ordinario nell'insegnamento quotidiano della fede, nel quale
i Vescovi sono normalmente dispersi.
Per quel che riguarda
il Concilio Vaticano II, la riunione dei Vescovi del mondo
intero dava all'esercizio del Magistero un carattere
straordinario piuttosto che ordinario; tuttavia, l'assenza
di definizioni solenni e la dichiarazione di Paolo VI
19 fanno classificare gli atti del
Vaticano II, e quindi il Decreto sulla libertà religiosa,
tra quelli del Magistero Ordinario Universale. Il Magistero
Ordinario Universale propone infallibilmente l'oggetto della
fede, e pertanto ogni fedele deve credere di fede divina
tutto ciò che è stato presentato come rivelato. È
l'insegnamento di Pio IX in Tuas libenter
20 e del Concilio Vaticano I
21:
«Si deve credere di fede
divina e cattolica tutto quello che è contenuto nella Parola
di Dio scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a
credere come divinamente rivelato sia con un giudizio
solenne che con il suo Magistero Ordinario e Universale». |
Sopra: il Papa
è la regola prossima della fede.
Questo insegnamento è ripreso da Papa Leone XIII, che
afferma che questa è proprio la dottrina costante della
Chiesa 22. Dunque, non c'è
nessun dubbio possibile. Poiché Dignitatis humanæ è
un atto del Magistero Ordinario e Universale, e poiché vi si
trova affermata come rivelata da Dio una dignità dell'uomo
tale da fondare il diritto alla libertà civile in materia
religiosa, ogni fedele e deve compiere un atto di fede, deve
cioè credere di fede divina e cattolica questa dottrina: la
dignità dell'uomo comporta, esige, implica il diritto alla
libertà religiosa.
La notificazione del Cardinale Angelo
Felici (1919-2007), Segretario generale del Concilio
Vaticano II alla 123ª Congregazione generale conferma questa
necessità:
«Quanto alle altre cose che sono proposte dal
Concilio, poiché rappresentano la dottrina del Magistero
supremo della Chiesa, tutti e ciascuno dei fedeli
devono riceverle e ammetterle secondo lo spirito del
Concilio stesso, quale risulta sia dalla materia in causa,
che dal modo di esprimersi, secondo le norme
dell'interpretazione teologica» 23. |
Sopra: il
Cardinale Angelo Felici.
Ora, la materia in causa è già insegnata infallibilmente
dalla Chiesa ed è di somma importanza per la salvezza delle
anime, e il modo di esprimersi presenta questo insegnamento
come rivelato da Dio. Ogni fedele, quindi, deve accettare
questa dottrina nella fede. Contro questa conclusione, si
potrebbe tentare di far valere che il Vaticano II non
enuncia alcun obbligo di credere a questa dignità della
persona umana, e che quindi l'atto di fede non è necessario.
Questa obiezione non ha alcun valore.
La Rivelazione è, in
effetti, il motivo formale della fede: è proprio perché la
dottrina è rivelata da Dio che il fedele crede, e la
certezza della Rivelazione ci è data dall'atto del
Magistero. Quest'ultimo non ha dunque per nulla bisogno di
menzionare un obbligo di credere: è la natura stessa delle
cose che comporta questa necessità 24.
Questo è d'altra parte l'insegnamento di Papa Leone XIII:
«Ogni volta che la parola di questo Magistero dichiara
che tale o tal'altra verità fa parte dell'insieme
della dottrina divinamente rivelata, ognuno deve
credere con certezza che ciò è vero»
25. |
L'impossibile atto di fede
Il fedele deve credere di fede
divina che la dignità dell'uomo è tale da fondare il diritto
alla libertà religiosa: questa conclusione si deduce
ineluttabilmente dall'insegnamento che abbiamo or ora
ricordato. Ma questo atto di fede è metafisicamente
impossibile. In effetti, il fedele crede già di fede
divina che l'affermazione del diritto alla libertà religiosa
è contraria alla Rivelazione. Nessuno può credere
simultaneamente due proposizioni contrarie; nessuno può
credere nello stesso tempo che il diritto alla libertà
religiosa è contrario alla Rivelazione e che è fondato in
questa Rivelazione.
È impossibile anche con tutta la buona
volontà: questo dipende dalla natura delle cose. Così dunque
è la fede, l'esercizio della fede cattolica che rende
impossibile l'assenso all'insegnamento del Vaticano II. Non
solo questo assenso è moralmente illecito, ma per di più è
impedito per chiunque eserciti rettamente la fede.
Trattenuto nell'assenso che dovrebbe dare a Dignitatis
humanæ, il fedele ha il dovere immediato di verificare
se la contraddizione è veramente reale e non solamente
apparente, e se, d'altra parte, Quanta cura e
Dignitatis humanæ imperano effettivamente un atto di
fede.
Egli constaterà nuovamente che Pio IX nega ciò che
il Vaticano II afferma 26:
la libertà religiosa in foro esterno e pubblico è un diritto
naturale ad ogni uomo, in tal modo che l'autorità pubblica
non ha il diritto dì impedire la propaganda e l'esercizio
pubblico delle false religioni a meno che ciò non sia
richiesto dalla pubblica tranquillità. Egli potrà verificare
anche che sia Quanta cura, come pure Dignitatis
humanæ, si appellano alla Rivelazione e richiedono
l'assenso di fede. Allora, credendo già anteriormente e con
una certezza divina che è impossibile e illecito rimettere
in causa l'insegnamento di Pio IX, il fedele rigetterà
quello del Vaticano II, vale a dire quello di Paolo VI, da
cui il Vaticano II ricava tutta la sua autorità.
Gli errori del
Vaticano II sono già stati condannati dal Magistero
precedente.
Tuttavia,
se è impossibile aderire all'insegnamento di Dignitatis
humanæ in ragione del suo contenuto, la necessità di
credere a questo medesimo insegnamento resta, imperativa, in
ragione dell'atto del Magistero che lo presenta come
rivelato. E così, essendo impedito dalla fede teologale
dall'aderire alla dottrina di Paolo VI, il fedele è nel
contempo e necessariamente impedito - sempre dalla fede - di
aderire all'autorità di Paolo VI e di riconoscerla. Questo
richiede alcune spiegazioni.
Spiegazioni
La Chiesa cattolica si
distingue essenzialmente da ogni altra società
per il suo carattere sovrannaturale: essa è il Corpo mistico
di Gesù Cristo.
In Lei l'Autorità è come fonte delle altre l'Autorità del
Sommo Pontefice,
ed è essenzialmente sovrannaturale (anche se si esercita con
dei
mezzi naturali). È l'applicazione del principio generale
ricordato da Leone
XIII:
«La Chiesa non è una sorta di cadavere: essa è il
Corpo di Cristo
animato dalla Sua vita sovrannaturale [...]. Allo stesso
modo, il Suo Corpo
mistico non è la vera Chiesa che da questo fatto: che le Sue
parti visibili derivano
la loro forza e la loro vita dai doni
sovrannaturali e dagli altri elementi
invisibili; ed è da questa unione che
risulta la ragione propria e la natura
delle parti visibili stesse» 27.
|
L'Autorità
del Sommo Pontefice è essenzialmente
sovrannaturale: essa è
costituita dall'assistenza abituale
speciale promessa da Gesù Cristo a San Pietro e ai suoi
successori. È
dunque nella luce della fede che noi conosciamo l'Autorità pontificia e
che vi aderiamo. Facciamo un
esempio. Sono nel 1950. È nella luce
della fede che io so che Pio XII è il
Papa: ciò, mediante una conoscenza
che è adeguata solo nell'ordine sovrannaturale, e che
suppone la conoscenza
naturale del fatto che ognuno può constatare.
Senza questa
conoscenza sovrannaturale dell'Autorità che ha ricevuto da
Cristo, io
non potrei credere di fede divina il dogma dell'Assunzione
che egli definisce
infallibilmente. Che Pio XII sia Papa, è quel che vien
chiamato un
fatto dogmatico che, in quanto tale, cade sotto la luce
della fede. In effetti,
benché questo fatto sia contingente, è necessario alla
conservazione
del deposito rivelato perché costituisce la regola prossima
della fede: il
Magistero, di cui il Papa è il principio nell'ordine
dell'esercizio.
Sopra: Papa
Pio IX presiede il Concilio Vaticano I, che fissò il dogma
dell'infallibilità pontificia.
Questo significa che è nel medesimo atto di
fede semplice che io aderisco al dogma e all'Autorità che lo
presenta. Per cui, è nella stessa luce sovrannaturale e nel
medesimo atto che io dovrei aderire alla dottrina del
Vaticano II sulla libertà religiosa e all'autorità di Paolo
VI che la garantisce. Ora, l'abbiamo visto, questa adesione
è impossibile in ragione della fede stessa. E dunque, col
semplice esercizio della fede e senza formulare nessun
giudizio, il fedele è trattenuto e impedito dall'aderire
all'autorità di Paolo VI che egli non può riconoscere; è
nella fede che egli vede che costui non è l'Autorità, che
non è la regola della fede.
Conferme
Illuminato in questo modo
dalla fede, e davanti alla gravità di una simile
conclusione, il fedele cercherà una conferma di questa
verità certa: Paolo VI non era l'Autorità della
Chiesa cattolica, era privo dell'Autorità
pontificia che il Papa tiene da Cristo. Egli vedrà
allora che l'universale riforma liturgica inaugurata dal
Vaticano II, in particolare quella del rito della Messa, è
infestata dallo spirito dell'eresia: essa non è né il
frutto, né l'espressione della fede della Chiesa
28.
Se è impossibile che una legge
generale della Chiesa sia cattiva - ammetterlo condurrebbe a
cadere sotto la condanna di Pio VI (1717-1799) e a
contraddire l'insegnamento della Chiesa
29 - a maggior ragione è impossibile che un rito
della liturgia cattolica meriti di essere rifiutato
30. Questa riforma non può quindi
venire dalla Chiesa: la sua promulgazione da parte di Paolo
VI è incompatibile con l'assistenza dello Spirito Santo, e
quindi col possesso dell'Autorità pontificia. Continuando ad
esercitare la fede cattolica, il fedele constaterà che gli
atti di Paolo VI - nella loro stessa natura e presi nel loro
insieme - non procurano il bene della Chiesa.
Paolo VI non era l'Autorità della
Chiesa cattolica,
era privo dell'Autorità
pontificia.
L'intenzione
abituale - non la sua intenzione intima, ma quella immanente
agli atti compiuti - che ha manifestato e messo in pratica
non è ordinata al bene della Chiesa. Questa assenza di
intenzione di procurare il bene della Chiesa non è
compatibile con il possesso dell’Autorità pontificia: a
causa di essa, in effetti, il governo abituale di Paolo VI
non è quello di Gesù Cristo 31.
Ora, secondo l'insegnamento di Pio XII, «il divin
Redentore governa il Suo Corpo mistico visibilmente e
ordinariamente mediante il Suo Vicario in terra»
32.
Il fedele si renderà così conto
della necessità per conservare la fede cattolica,
confessarla integralmente e metterne in pratica le opere, di
non obbedire agli atti di Paolo VI e neppure agli atti di
coloro che Paolo VI ha nominato e mantiene come loro
superiori 33.
Ora, è proprio ciò che sarebbe impossibile fare abitualmente
34 in presenza della vera Autorità
che non è altro che quella di Gesù Cristo, il quale «è
con» («una cum») il Suo Vicario sulla
Terra. Si tratta, in effetti, di un dogma di fede cattolica
definito da Papa Bonifacio VIII (1235-1303):
«Noi
dichiariamo, diciamo, definiamo e pronunciamo
che la sottomissione al Pontefice Romano è assolutamente
necessaria alla salvezza per tutte le creature»
35.
|
Papa Pio XI (1857-1939)
insegna a sua volta che nessuno è cattolico senza obbedire
abitualmente alla legittima Autorità:
«In questa unica
Chiesa di Cristo, nessuno si trova, nessuno rimane se, con
l'obbedienza, non riconosce e accetta l'Autorità e il potere
di Pietro e dei suoi legittimi successori»
36. |
|
|
Papa Bonifacio VIII |
Papa Pio XI |
Le constatazioni che avrà fatto
il fedele esaminando dei fatti pubblici e certi alla luce
della fede - non ci dilunghiamo su di essi perché sono già
stati analizzati altrove 37 -
giungeranno a questa conclusione: non è solo
nell'insegnamento sulla libertà religiosa, ma anche sulla
riforma liturgica e nell'insieme dei suoi atti, che Paolo VI
si manifesta con certezza, una certezza che appartiene
all'ordine della fede, come qualcuno che non è l'Autorità
suprema della Chiesa cattolica. Ma soprattutto, ed è
attualmente la cosa più importante, il fedele applicherà a
Giovanni Paolo II lo stesso giudizio che ha portato su Paolo
VI. Le ragioni sono ineluttabili:
-
Giovanni Paolo II non ha
rotto con lo stato di scisma 38
introdotto da Paolo VI; egli ha ripetutamente
39 dichiarato di voler
continuare l'opera del Vaticano II e di Paolo VI, opera
che ha codificato e alla quale ha dato uno statuto
giuridico promulgando il Codice di Diritto canonico del
1983 40;
-
Succedendo a Paolo VI,
Giovanni Paolo II assume la responsabilità dei suoi atti
permanenti 41 fintanto che non li ha denunciati: è lui
che,
oggi, rende obbligatorio con autorità l'insegnamento del
Vaticano II e la
riforma liturgica. È dunque all'autorità di Giovanni
Paolo II che la fede
ci impedisce oggi di aderire; è questa stessa autorità
che la fede ci obbliga
a rigettare;
-
Infine, in certi punti del suo insegnamento
42, e
ancor più nel suo
modo di agire 43, Giovanni Paolo II ha ulteriormente
allargato il fossato
tra la dottrina cattolica e le teorie conciliari. Finché
Giovanni Paolo II
non rompe con degli insegnamenti e delle leggi che sono
incompatibili
con l'Autorità pontificia - specialmente la riforma
liturgica e la
libertà religiosa - la fede, in ragione di questa stessa
incompatibilità,
non potrà riconoscere la sua autorità e obbligherà a
negarla. Non cambiano
nulla a questa situazione altri atti che sono o sembrano
essere
conformi alla Tradizione o alla dottrina cattolica, e
che sembrano allentare
la morsa che soffoca la fede del popolo cristiano.
Poiché questi atti
non sono una rottura formale con lo scisma capitale,
sono privi di valore
giuridico e al massimo, con non poco ottimismo, possono
essere considerati
solo come delle preparazioni materiali a questa rottura
futura,
preparazioni delle quali, tra l'altro, si serve Dio per
dare la Sua grazia a
qualche anima smarrita.
Sopra:
il 27 ottobre
1986, fu convocata da
Giovanni Paolo II una Giornata mondiale di preghiera per
la pace ad
Assisi dove furono invitati i rappresentanti delle
religioni mondiali.
Portata della prova
La prova che abbiamo appena
spiegato conclude, con una certezza che si fonda sulla fede
cattolica, che Paolo VI e Giovanni Paolo II sono sprovvisti
dell'Autorità pontificia. Ma questa prova, che si limita
all'analisi dei loro atti pubblici e si fonda
sull'incompatibilità di questi atti con l'Autorità di Gesù
Cristo, non dice nulla sulla loro persona e non può dare
alcuna certezza sulla loro appartenenza personale alla
Chiesa e sulla loro fede interiore. Come abbiamo ricordato,
il papato è un «fatto dogmatico», che pertanto è in
relazione con la fede.
Ora, è possibile dimostrare alla luce
della fede che Giovanni Paolo II è sprovvisto dell'Autorità
pontificia, ma è impossibile avere una certezza sufficiente
su un eventuale peccato di scisma o di eresia, peccato che
farebbe abbandonare la Chiesa. Per avere una tale certezza,
occorrerebbe un'ammissione di Giovanni Paolo II (che non ha
mai avuto luogo), o un atto dell'Autorità
44 (il che attualmente è impossibile), oppure
un'obbligazione di confessare la fede impostagli dai membri
della Chiesa docente. Poiché vi è una certezza ecclesiale
45 dell'assenza dell'autorità in
Giovanni Paolo II e poiché non vi è - e allo stato attuale
delle cose non ci può essere - una certezza ecclesiale della
sua esclusione dalla Chiesa, è necessario introdurre la
distinzione che abbiamo appena ricordato.
Situazione di
Francesco I
Francesco I è papa «materialiter»
(materialmente), non è Papa «formaliter»
(formalmente) 46. È papa
materialmente, vale a dire che è il soggetto designato, che
possiede cioè un'attitudine che nessuno spartisce con lui a
ricevere la comunicazione dell'Autorità papale, se non vi
mette ostacolo. Egli possiede una realtà giuridica per la
quale occupa di diritto la Sede di San Pietro. Non è un
anti-papa 47.
Bergoglio
non è Papa formalmente; non gode di ciò che fà che il papa
sia Papa: l'autorità soprannaturale comunicata da Gesù
Cristo, quell'assistenza speciale che gli conferisce i
supremi poteri di Magistero, di santificazione e di governo.
Se bisogna rispondere con un sì o con un no alla domanda:
«È Papa»?, bisogna dire che Francesco I non è
Papa, ma che è il soggetto designato. Non è Papa
simpliciter, ma è stato eletto e accettato da coloro che
hanno potere sull'elezione 48.
Non avendo rotto con lo stato di scisma, tuttavia egli resta
privo dell'autorità pontificia 49.
In conseguenza, la testimonianza della fede esige che si
eviti ogni atto che comporti in qualsiasi modo il
riconoscimento della sua autorità: nominarlo al Canone della
Messa o nelle orazioni liturgiche previste per il Sommo
Pontefice 50, profittare delle
sue leggi o attribuirgli un valore giuridico, ricorrere ai
tribunali della Curia, ecc... Ecco come, nell'esercizio
quotidiano della fede cattolica
e prima ancora di ogni giudizio o ragionamento, ogni fedele
può e deve discernere lo stato della Chiesa e la situazione
della sua autorità. Per la gloria di Dio e per la propria
salvezza regolerà la propria condotta in conseguenza.
NOTE
1 Traduzione di un estratto (pagg. 51-69)
dall'originale francese Brimborions. Contribution à la
vigilance de la foi («Appunti: contributo alla vigilanza
della fede»), Bordeaux, 1990, a cura di
don Francesco Ricossa.
Con il permesso dell'Autore.
2 Cfr. Osservatore Romano, ed. francese, del 6
gennaio 1981, pag. 7.
3 In teologia, si distingue tra «regola remota» e
«regola prossima» della nostra fede. Che cosa dobbiamo credere?
Ciò che è stato rivelato da Dio e che è contenuto nella
Scrittura e nella Tradizione. Questa è la regola remota. Come
facciamo a sapere cosa è stato effettivamente rivelato ed è
contenuto quindi nella Scrittura e nella Tradizione? L'Autorità
della Chiesa, il Papa. Egli è la regola prossima. In concreto,
il credente si rivolge immediatamente all'Autorità della Chiesa
per sapere ciò che deve credere (N. d. T.).
4 Cfr. Osservatore Romano, ed. francese, del 6
gennaio 1981, pag. 6.
5 Cfr. Leone
XIII, in Insegnementi pontifici, «La
Chiesa», nº 573.
6 Cfr. Concilio Vaticano I, sess. III; Denz.
nº 1789.
7 Cfr. Costituzione Pastor æternus; Denz.
nº 1839. Si noti come il carattere ex cathedra di un atto
pontificio non dipenda dalla solennità esteriore dell'atto, ma
dalla sua natura.
8 Cfr. Denz. nº 1699.
9 Cfr. Denz. nn. 1689-1690.
10 Cfr.
Pio XII,
Discorso ai giuristi italiani, del 6 dicembre 1953. La
nostra intenzione non è qui di spiegare o di giustificare la
dottrina cattolica, ma di riconoscere qual'è.
11 Cfr. Constitutiones, decreta,
declarationes del Concilio Vaticano II, Tipografia
Poliglotta Vaticana, 1966, pag. 532.
12 Cfr. Dignitatis humanæ, § 2.
13 Ibid., § 7.
14 Ibid., § 9.
15 Ibid., § 12.
16 Sulla natura e l'autorità del
Magistero Ordinario Universale, vedi: B.
Lucien, L'infaillibilité
du Magistère ordinaire et universel de l'Église, Documents
de Catholicité, 1984; Cahiers de Cassiciacum, suppl. nº
5, pagg. 7-8 e 13-19; P. L.-M.
De Blignières, L'infallibilità del Magistero ordinario,
1995.
17 Cfr. Denz. nº 1800.
18 «Quando non si trattasse che della
sottomissione che deve manifestarsi con un atto di fede divina,
non si potrebbe restringerla ai soli punti definiti dai decreti
dei Concili ecumenici o dei Pontefici romani e di questa sede
apostolica; bisognerebbe ancora estenderla a tutto ciò che è
trasmesso, come divinamente rivelato, dal corpo insegnante
ordinario di tutta la Chiesa dispersa nel mondo» (cfr.
Denz. nº 1683).
19 «Dato il carattere pastorale del
Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario
dei dogmi comportanti la nota d'infallibilità, ma ha munito i
suoi insegnamenti dell'autorità del Magistero supremo ordinario»
(cfr. Paolo VI,
Discorso del 12 gennaio 1966; vedi Documentation
Catholique, nº 1466, pag. 420).
20 Cfr. Denz. nº 1683.
21 Cfr. Costituzione Dei Filius,
del 24 aprile 1870; Denz. nº 1792.
22 Cfr.
Leone XIII,
Satis cognitum; in Insegnamenti Pontefici, «La
Chiesa», nº 574; Testem benevolentiæ, in Denz.
nº 629.
23 Cfr. La Documentation catholique,
nº 1438, del 16 novembre 1964, pagg. 1633-1634.
24 È impossibile che il Magistero
sottintenda: «È la Parola di Dio, ma non è necessario
crederci».
25 Cfr.
Leone XIII,
Satis cognitum; in Insegnamenti Pontefici, «La
Chiesa», nº 572.
26 Questa contraddizione è evidente alla
semplice lettura dei due testi. Contro coloro che la negano, è
stata provata e difesa dall'Abbé Bernard Lucien (libro
pubblicato da Forts dans la Foi); Lettre à quelques
évêques,
(pagg. 71-118); La liberté religieuse, examen d'un tentative
de justification, réponse au Prieuré Saint-Thomas-d’Aquin,
(febbraio 1988, pagg. 9-35); Lecture critique des «Remarques
sur la brochure des Abbés Lucien et Belmont» (luglio-agosto
1988).
27 Cfr.
Leone XIII,
Satis cognitum; in Insegnamenti Pontefici, «La
Chiesa», nº 543.
28 Vedi il nostro studio La réforme
liturgique, in Brimborions. Contribution à la
vigilance de la foi, Bordeaux 1990, pagg. 31-50.
29 Cfr.
Pio VI,
Auctorem fidei, 28 agosto 1794; Denz. nº 1578;
Gregorio XVI,
Quo graviora, 4 ottobre 1833, in Insegnamenti Pontifici,
«La
Chiesa», nº 169;
Leone XIII, Testem benevolentiæ, in
Insegnamenti Pontifici, «La
Chiesa», nº 631.
30 Cfr. Concilio di Trento, Sessione VII;
Denz. nº 856.
31 Sull'incompatibilità tra l'Autorità e
l'assenza di intenzione di procurare il bene della Chiesa vedi
Cahiers de Cassiciacum, nº 1, pagg. 42-64.
32 Cfr.
Pio XII,
Mystici Corporis, 29 giugno 1943, in Insegnamenti
Pontifici, «La
Chiesa», nº 1040.
33 Non sosteniamo che tutti coloro i
quali fanno professione di essere sottomessi a Paolo VI o a
Giovanni Paolo II hanno disertato la fede cattolica. Ma facciamo
notare che - come lo dimostra l'esperienza - quanti conservano
la fede lo fanno malgrado questa sottomissione, e non mediante
essa, come invece dovrebbe essere. Che lo sappiano o no, essi
resistono ad una parte dell'insegnamento conciliare o ne fanno
astrazione, ed è grazie a ciò che conservano la fede.
34 Sette teologi di Venezia, per
giustificare la resistenza ad un Breve di Paolo V (17 aprile
1606) affermavano che prima di obbedire ad ogni ordine, anche se
proveniente dal Sommo Pontefice, il cristiano deve esaminare
innanzitutto se quest'ordine è conveniente, legittimo e
obbligatorio. San Roberto Bellarmino rispose loro: «Questa
proposizione è eretica [...]. La discussione del
precetto, quando esso non contiene con evidenza un peccato, è
riprovata dai Padri, perché chi discute il precetto, si
costituisce giudice del suo superiore» (cfr. Auctarium
bellarminum, Ed. Le Bachelet, nº 872).
35 Cfr.
Bonifacio VIII,
Bolla Unam Sanctam, 18 novembre 1302; Denz. nº
469.
36 Cfr.
Pio XI,
Mortalium animos, 6 gennaio 1928, in Insegnamenti
Pontifici, «La
Chiesa», nº 873.
37 Vedi ad esempio D.
Le Roux, Pietro
mi ami tu?, Ed. Gotica, Ferrara 1986.
38 Lo scisma capitale - vale a dire
quello del capo in quanto tale - non dev'essere confuso con il
peccato personale di scisma che separa dalla Chiesa. Vedi
Cahiers de Cassiciacum, nn. 3-4, pagg. 73-77.
39 Molti riferimenti in Jean-Paul II
et la doctrine catholique, 1981, e in L'einsegnement de
Jean-Paul II (1983), di Padre L.-M. de Bligniéres.
40 La Costituzione apostolica Sacræ
disciplinæ leges, del 25 gennaio 1983, che promulga questo
codice, lo ripete più volte e presenta il Codice come il
risultato dello spirito del Vaticano II e della novità (questo
termine è espressamente utilizzato) del Concilio, soprattutto
per quel che concerne l'ecclesiologia.
41 Sono gli atti dottrinali, o gli atti
legislativi il cui effetto non era temporaneo e che pertanto
perdurano ancora.
42 Nuova concezione della Chiesa, falso
principio relativo all'Incarnazione. Vedi nota nº 39 e Lettre
a qulelques évêques,
1983.
43 Come, ad esempio, gli atti di culto
non-cattolico, o la partecipazione a tali atti. Vedi a questo
proposito D. Le Roux,
op. cit.
44 L'assenza di un esercizio attuale del
Magistero della Chiesa rende difficilmente riconoscibile
l'eresia. Questa, infatti, è la negazione di una verità rivelata
da Dio conosciuta come tale. Questa conoscenza si compie
mediante la proposizione di tale verità rivelata da parte del
Magistero della Chiesa. In assenza di una proposizione attuale,
nessuno può determinare con certezza che tale persona nega
scientemente, con pertinacia, la verità rivelata, a meno che
essa non lo ammetta implicitamente o esplicitamente.
45 Chiamiamo «certezza ecclesiale» una
certezza che ha valore nella Chiesa, di cui si può fare atto
davanti ad essa («in facie Ecclesiæ»), che è dello stesso
ordine della nostra appartenenza alla Chiesa e che pertanto può
essere presa in considerazione nell'analisi dello stato della
Chiesa e della situazione della sua autorità: sia perché ci
viene da un atto dell'autorità ecclesiastica (che sia
magisteriale, legislativo o giurisdizionale); sia perché ha il
suo principio nella fede, esercitata in occasione di fatti
pubblici e notori.
46 Questa distinzione è stata messa in
luce e in opera da Padre M. L. Guérard des Lauriers in
Cahiers de Cassiciacum, nº 1, pagg. 7-99. Il suo fondamento
è enunciato da San Roberto Bellarmino in De Romano Pontifice,
II, 30 (vedi Cahiers de Cassiciacum, nº 2, pag. 83), e
dal Cardinale Caietano: «Il papato e Pietro sono in un
rapporto di forma a materia» (in De comparatione
auctoritatis papæ et concilii, nº 290).
47 Nulla a che fare quindi col
sedevacantismo. Per le difficoltà e le conseguenze
dell'affermazione della permanenza materiale della Gerarchia,
soprattutto per quel che concerne la successione apostolica,
vedi B. Lucien,
La situation actuelle de l'autorité dans l'Église, Documents
de catholicité, 1985, pagg. 97-103; l’articolo di don D. J.
Sanborn intitolato
De papatu materiali, in Sacerdotium (2899 East Big
Deaver Road, Suite 308, Troy, Michigan 48083, 2400 U.S.A.), nº
11 (1994), nº 16 (1996).
48 Ricordiamo che Papa Pio XII ha
stabilito quanto segue: «Nessun Cardinale può in nessuna
maniera essere escluso dall'elezione attiva e passiva del Sommo
Pontefice sotto il pretesto o per il motivo di qualunque
scomunica, sospensione, interdetto o altri impedimenti
ecclesiastici. Noi sospendiamo queste censure esclusivamente per
l'elezione» (Costituzione Vacante apostolicæ Sedis, 8
dicembre 1945, nº 34).
49 La domanda che pone il Cardinale
decano al soggetto che è stato appena eletto papa riguarda solo
l'accettazione dell'elezione (Vacante apostolicæ Sedis,
nn. 100-101). La risposta affermativa - quella che dopo Paolo VI
ha dato Giovanni Paolo II - costituisce il soggetto eletto papa
«materialiter», e nello stesso atto Papa «formaliter»
se egli ha l'intenzione di procurare il vero bene della
Chiesa: l'Autorità gli è allora immediatamente conferita da Gesù
Cristo. Poiché Giovanni Paolo II da un lato ha realmente
accettato l'elezione e d'altro canto ha manifestato all'eccesso
che non aveva questa intenzione (reale, efficace, immanente agli
atti) di procurare il bene della Chiesa, è solamente papa «materialiter».
Si tratta di una situazione anomala e precaria, che potrà essere
risolta solo in tre modi: dalla morte o dalle dimissioni del
soggetto eletto; dalla conversione del soggetto eletto, nel
senso che egli inizi, in maniera stabile e constatabile, a
procurare il vero bene della Chiesa, per lo meno denunciando ciò
che è incompatibile con l'Autorità pontificia; dall'azione di
quanti hanno potere sull'elezione o di una parte della Chiesa
docente che potrebbe costringerlo a professare pubblicamente la
fede cattolica e, in caso di rifiuto, potrebbe constatare la sua
perdita del pontificato (anche materiale). Quest'ultima ipotesi
è, tutto sommato, assai delicata.
50 Il che è ben altra cosa che
«rifiutare di pregare per il papa». Non si tratta di rifiutarsi
di pregare per qualcuno - il che sarebbe assolutamente contrario
alla carità teologale - ma si tratta di testimoniare la fede.
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