di
Daniel Raffard de
Brienne 1
Sopra:
Giovanni Paolo II abbraccia ad Assisi
il leader
buddista cambogiano Maha Ghosananda.
Il 27
aprile 2014, Jorge Mario Bergoglio, con un atto
gravissimo, ha elevato agli onori degli altari
Giovanni Paolo II proclamandolo «Santo». Pur essendo
un po' datato (1988) e incompleto, questo scritto
richiama alla mente del lettore a quella ormai
lontana prima giornata di preghiera per la pace (non
esaudita da Dio) tenutasi nella città di San
Francesco. La prima condizione necessaria alla
canonizzazione di una persona è la pratica eroica
delle virtù cristiane, prima fra tutte le fede.
Guardando queste fotografie e leggendo certe
affermazioni viene sinceramente da chiedersi quale
fosse la religione professata da Karol Woytjla. A
noi pare l'eresia modernista condannata da San Pio
X... |
Quando, su richiesta di
Giovanni XXIII
(1881-1963) e delle istanze israelitiche, i Padri conciliari
decisero di adottare una Dichiarazione sugli ebrei, si
accorsero che non potevano includerla come previsto nel
Decreto sull'ecumenismo, perché quest'ultimo riguardava
unicamente i cristiani, e che non potevano nemmeno
pubblicarlo a parte senza sollevare alcune questioni
imbarazzanti 2. Essi aggirarono
la difficoltà
includendola in una Dichiarazione generale
sulle religioni non-cristiane: Nostra Ætate. Essa è
all'origine, con l'ecumenismo protestantizzante e l'ecumenismo
giudaizzante, di un ecumenismo che va in ogni
direzione. Nostra Ætate non invita affatto i
cattolici ad operare per la conversione (e dunque per la
salvezza) delle anime smarrite nell'errore delle false
religioni: al contrario, occorre, secondo questa
Dichiarazione, che i figli della Chiesa operino «con prudenza e
carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i
seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza
alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e
facciano progredire i valori spirituali, morali e
socio-culturali che si trovano in essi» (sic). La
dichiarazione cita con ammirazione l'induismo, la sua
«meditazione profonda», il suo rifugiarsi in Dio «con
amore e confidenza». Essa loda anche il buddismo
mediante il quale gli uomini possono «acquistare lo stato
di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di
illuminazione suprema» (sic). L'islam
ha diritto ad un sviluppo più lungo a causa della «stima»
che si gli si deve. Certamente, «non pochi dissensi e
inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani», ma
bisogna «dimenticare il passato» e sforzarsi di
praticare «la mutua comprensione, nonché a difendere e
promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia
sociale, i valori morali, la pace e la libertà».
D'altronde, la nuova catechesi «cattolica» mostra i
musulmani e gli ebrei associati ai cristiani nell'adorazione
del Dio unico... Un certo
numero di moschee sono state aperte un po' ovunque in terra
cristiana, con l'approvazione commossa (e talvolta con il
denaro) dei cattolici. Alcuni di questi luoghi di culto sono
stati installati all'interno di chiese svendute o donate dai
Vescovi. Un'enorme moschea è stata costruita a Roma e aperta
al culto nel 1995; i suoi minareti superano in altezza la
Basilica di San Pietro.
Numerosi cattolici si sono
convertiti all'islam, soprattutto in Francia. In diverse
occasioni,
Giovanni Paolo II
(1920-2005) ha espresso parole benevole e infelici. Fin dal
1979 e soprattutto in Marocco nel 1985, egli affermò che
cristiani e musulmani credono «nello stesso Dio
unico, il Dio vivente» 3,
mentre gli islamici rigettano il culto del Dio uno e trino
come politeista. In breve, l'ecumenismo è in marcia. E di
conseguenza lo è anche l'islam... Naturalmente, anche in
questo caso l'ecumenismo è sempre a senso unico. Non se ne
parla nemmeno di
costruire una chiesa cattolica a La Mecca! Del
resto, ai cristiani che vivono o si recano per lavoro in Arabia
Saudita non è permesso manifestare esteriormente la loro religione. Se
diversi Paesi musulmani sono meno severi per gli stranieri,
le conversioni dall'islam al cristianesimo sono ancora
punite con la morte. Quanto ai coraggiosi superstiti delle
antiche cristianità orientali conquistate dagli arabi, essi si
trovano ridotti allo statuto di dhimmi, ossia di
abitanti di categoria inferiore, sottoposti legalmente a tasse
speciali e a umiliazioni che non escludono, in
certe occasioni, feroci massacri. In realtà, niente è più estraneo
all'islam dell'«ecumenismo». Secondo questa falsa religione, il mondo si
divide in dar el-islam (i Paesi musulmani) e in dar el-harb
(i «Paesi di guerra») che restano da conquistare. Il dovere di
ogni musulmano è di conquistare i dar el-harb
mediante la guerra
santa (la jihad). Tuttavia, una falsa sottomissione
alle regole della democrazia occidentale è
raccomandata almeno finché i mezzi per la jihad sembrano
insufficienti. É evidente come i musulmani possono sfruttare l'ecumenismo.
Questo atteggiamento dimissionario del
cattolicesimo favorisce non solo il moltiplicarsi delle
sètte cristiane e pseudo-cristiane, ma anche quello delle
religioni pagane. Tutti conoscono le chiassose attività
delle sètte induiste, come quella degli Hare Krishna e
dei
loro guru. Forse si sa meno del fatto che un numero
non trascurabile di battezzati sono passati al buddismo.
Nella stessa Francia, sono stati fondati diversi
monasteri buddisti, come un centro di lama
tibetani fondato nel 1974, che nel 1987 ha inaugurato un
tempio presso a Cluny e uno non lontano da Citeaux
4.
Se i Paesi dell'antica cattolicità si trovano così minacciati, che cosa non
si deve temere per le giovani
cristianità
da poco impiantate in terre pagane e rese così fragili dall'«inculturazione»
così
cara a Karol Woytjla? L'inculturazione consiste nell'introduzione nella
liturgia di elementi mutuati dalle culture
locali: danze, canti, gong o tam-tam, abiti liturgici,
mobilio, ecc... Addirittura certe chiese sono state costruite
imitando lo
stile dei templi pagani; anche a Bangalore sono state
installate in una chiesa delle vetrate
che rappresentano le divinità induiste 5. In breve,
ci troviamo di fronte al
contrario del così prudente e così fruttuoso apostolato dei
missionari. Il lontano esempio dei «riti cinesi»
sperimentato dai gesuiti nel XVII secolo aveva
già mostrato un doppio pericolo. Innanzi tutto, la rottura
dell'unità cattolica, già scossa dall'impiego nella liturgia
di lingue e dialetti locali. E in seguito si è vista o la paganizzazione delle
chiese locali, o il ritorno dei convertiti al loro
paganesimo di origine: infatti, i gli elementi mutuati dalle
culture locali sono per definizione elementi presi in
prestito dalle culture pagane, e costituiscono, di
conseguenza, una riabilitazione (almeno parziale) del
paganesimo. L'inculturazione non può condurre che a strani
spettacoli, come quello che ricorda una fotografia in cui si
vede, in occasione di una Messa celebrata l'8 maggio 1984 in
Nuova Guinea, una studentessa indigena leggere l'Epistola
davanti a Giovanni Paolo II a numerosi Vescovi travestita da
selvaggia e coperta solamente da pitture e da un modesto
perizoma che lasciava intravedere il seno nudo e parte delle cosce
scoperte fino alla cintola.
Ecco le intrusioni del
paganesimo nella liturgia cattolica! Ma che pensare della
partecipazione di Giovanni Paolo II ai culti pagani, col
rischio di scandalizzare i convertiti nella loro fede e di
fortificare nel loro errore le anime smarrite? Il 10 maggio
1984, a Bangkok, Karol Woytjla si è incontrato con il
patriarca buddista Vasana Tara, dal quale si era
recato «a presentare i suoi omaggi».
Nel settembre dello stesso
anno, in Canada, un «uomo della medicina» indiano aveva offerto una
preghiera al Grande Spirito durante una liturgia celebrata da Giovanni
Paolo II.
Peggio ancora: nel 1985, Karol Woytjla ha partecipato ad un rito animista in un bosco
sacro nel Togo bevendo una pozione magica. Il 5 febbraio 1986, a Madras,
in India, egli ha ricevuto sulla fronte il tilak, il
simbolo degli adoratori di Shiva, il dio della
distruzione; si è poi dedicato ai riti di
purificazione induisti e gli sono state imposte, ancora
sulla fronte, le sacre ceneri (vibhuti)...
Non
si può immaginare un contrasto più sorprendente con
l'atteggiamento dei martiri che preferirono una morte atroce
al più piccolo gesto pagano, mentre sarebbe bastato loro,
perché li si risparmiasse, di bruciare alcuni grani di
incenso davanti alla statua dell'imperatore o di qualche
divinità pagana. Durante questo stesso viaggio in India,
Giovanni Paolo II aveva dichiarato: «La collaborazione
tra tutte le religioni è un'esigenza per la causa
dell'umanità». È questa idea di una
necessaria collaborazione tra la verità e tutti gli errori,
tra il vero Dio e tutti i falsi déi, che ha portato Giovanni
Paolo II a convocare per la fine di quello stesso anno 1986
la famosa riunione di Assisi. A dire il vero, il progetto di
un congresso di questo tipo era già germogliato nello
spirito dei cattolici liberali: Papa Leone XIII
(1810-1903) ne aveva dovuto vietare la realizzazione a
Chicago nel 1895 e a Parigi nel 1900. Papa Pio XI
(1857-1939), nella sua Enciclica Mortalium animos
(del 6 gennaio 1928), dovette ancora ricordare: «Si
comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai
permesso ai suoi fedeli di intervenire ai congressi degli
acattolici». Tuttavia, nemmeno lo stesso Giovanni Paolo II ha rappresentato i cattolici ad Assisi il 27 ottobre
1986 6. Le fotografie lo
mostrano con un soprabito bianco, senza né croce né segni
distintivi della sua funzione, al centro dei partecipanti in
quanto organizzatore, ma sullo stesso piano del Dalai
Lama, dei pope ortodossi, dei bonzi e degli
stregoni. Si sono trovati in circa centotrenta ad Assisi per
pregare 7. Pregare chi? Per
pregare un sacco di gente: Dio, Allàh, il Grande Manitù, gli
spiriti degli antenati, le mille divinità induiste, altri
ancora e persino l'inesistenza di Dio dei buddisti. Si
pensava che, con questo tiro di sbarramento in ogni
direzione, si sarebbe sicuramente raggiunto almeno una volta
un dio autentico? Sembra più probabile che, nello spirito di
Karol Woytjla, questa preghiera avrebbe permesso a ciascuno
di opporre al materialismo la propria parte di valori
spirituali, e che comunque Dio avrebbe accettato gli omaggi
resi in buona fede alle false divinità.
E dunque, i
partecipanti, raggruppati artificialmente in dodici grandi
«religioni», hanno iniziato a pregare. Gli stregoni di
colore seminudi suonavano i loro tam-tam, mentre i
loro colleghi pellirossa tiravano dai loro calumet.
Alcuni hanno potuto disporre di chiese, come i bonzi e i
lama che hanno collocato la statua di Buddha al posto
del crocifisso sul tabernacolo della chiesa di San Pietro.
Così, sono stati celebrati
tutti i culti. Tutti. Eccetto il culto cattolico, perché non ha
avuto luogo alcuna Messa. Non c'era nemmeno la religione
cattolica, ma solamente una «religione cristiana» della
quale i cattolici facevano parte allo stesso titolo degli
scismatici ortodossi e degli eretici protestanti: ci si
accontentò, dunque, di un misero culto cristiano ecumenico,
e di conseguenza di forma protestante. Non è stato lo
scandalo più piccolo di quella giornata.
Due sciamani
pellirossa invocano la protezione del Grande Spirito su un
prete
e su un frate
francescano all'interno di una chiesa cattolica di Assisi.
Lasciando da parte
i numerosi aspetti aneddotici di questa riunione di Assisi,
ci accontenteremo di sottolineare i punti per i quali essa si è
allontanata maggiormente dalla fede cattolica. Difatti,
questa riunione è stata:
- Un'ingiuria
fatta a Dio. Pregare o incoraggiare a pregare
falsi dèi è mancare al Primo Comandamento: «No avrai
altro Dio all'infuori di me». E che dire quando questa
deviazione del culto dovuto a Dio solo è stata celebrata
nelle chiese su invito dello stesso Giovanni Paolo II?
- Una
negazione della necessità universale della Redenzione.
Il riscatto delle anime passa per Nostro Signore Gesù Cristo,
unico mediatore tra Dio e tutti gli uomini. Incoraggiare la
preghiera dei non-cristiani che ignorano o rigettano Cristo
equivale a negare in pratica la necessità universale della
Redenzione. Quando, nel suo discorso di conclusione, Karol
Woytjla ha parlato di Cristo, lo ha fatto solamente per
esprimere la sua «convinzione» e quella dei
cristiani «che in Gesù Cristo, il salvatore di tutti, si
può trovare la pace». «Convinzione», «si può»:
ecco le debolissime parole utilizzate per proclamare l'unica
verità; subito dopo Giovanni Paolo II le ha ulteriormente
indebolite dichiarando ancora che è essenziale ubbidire
alla propria coscienza 8.
Assisi, 27
ottobre 1986. Da sinistra: Giovanni Paolo II con il rabbino
capo di Roma Elio Toaff,
con il
rappresentante della religione animista e con un patriarca
ortodosso.
- Una
mancanza di giustizia e di carità verso gli infedeli.
La via normale della salvezza passa dall'unica Chiesa detentrice
della verità rivelata: «Fuori dalla Chiesa non c'è
salvezza». La carità e la giustizia esigono dunque
che gli uomini smarriti nell'errore devono essere informati
di questa verità. Ora, ad Assisi, al contrario, le false
religioni sono state messe sullo stesso livello della vera e
sono state recitate delle preghiere a false divinità: e
dunque gli infedeli sono stati rafforzati nel loro errore.
- Un
pericolo e uno scandalo per i cattolici. Porre
l'errore sullo stesso piano della verità conduce non solo a
confermare gli infedeli nelle loro false credenze, ma anche ad
indebolire i cristiani nella loro fede. La verità non sarebbe
più unica, ma sarebbe ripartita tra un gran numero di
religioni in apparenza inconciliabili tra loro? Ma allora
non esiste una verità, o almeno una verità accessibile?
Quale pericolo per quei cattolici che l'incontro di Assisi
ha indotto a porsi questo tipo di domande! Quale scandalo
per gli altri!
- Un
tradimento della missione affidata a San Pietro e alla
Chiesa. Questa missione consiste nel conservare
la verità rivelata e ad annunciarla a tutte le nazioni. La
Chiesa e il suo capo hanno ricevuto l'incarico di
fortificare i fedeli nella loro fede e di invitare gli
infedeli alla conversione insegnando loro la verità e
mostrando il loro errore. Ad Assisi, Giovanni Paolo II è
venuto meno alla sua missione.
La missione
affidata da Nostro Signore Gesù Cristo a San Pietro:
«Pasci i
miei agnelli, pasci le mie pecorelle» (Gv 21,
15-16).
La
Massoneria
se n'è rallegrata, stando alle parole del Gran Maestro del
Grand'Oriente italiano Armando Corona (1921-2009): «Il nostro interconfessionalismo ci ha
valso la scomunica ricevuta nel 1738 da Clemente XI. Ma la
Chiesa era certamente nell'errore se è vero che il 27
ottobre 1986 l'attuale Pontefice ha riunito ad Assisi uomini di
tutte le confessioni religiose per pregare assieme per la pace.
Cos'altro cercavano i nostri Fratelli quando si riunivano nei
templi, se non l'amore tra gli uomini, la tolleranza, la
solidarietà, la difesa della dignità della persona umana,
considerandosi eguali al di là del loro credo politico, del loro
credo religioso e del colore della pelle»?
9.
Il 4 agosto 1987, un'altra riunione
interreligiosa si è tenuta su un monte sacro di Kyoto, in
Giappone. Giovanni Paolo II, impossibilitato a partecipare,
ha delegato un Cardinale e ha fatto suonare a festa tutte le campane
di Roma. A Roma stessa, nel primo anniversario di Assisi, si
sono nuovamente riuniti i rappresentanti di tutte le
religioni, nella chiesa Santa Maria in Trastevere. Si
perpetua così «lo spirito di Assisi» tanto caro al Cardinale
Roger Etchegaray che ne è stato l'organizzatore.
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Armando
Corona |
Cardinal Etchegaray |