Il 1º gennaio 2011, dopo la
recita dell'Angelus, Benedetto XVI manifestò
la sua intenzione di commemorare nell'anno appena iniziato,
la
riunione d'Assisi promossa venticinque anni prima dal
«venerabile» (poi da lui proclamato «beato» il 1º maggio
dello stesso anno)
Giovanni Paolo II (1920-2005):
«Cari fratelli e sorelle, nel Messaggio per
l'odierna Giornata della Pace ho avuto modo di
sottolineare come le grandi religioni possano
costituire un importante fattore di unità e di pace
per la famiglia umana, ed ho ricordato, a tal
proposito, che in questo anno 2011 ricorrerà il 25°
anniversario della Giornata Mondiale di Preghiera
per la Pace che il Venerabile Giovanni Paolo II
convocò ad Assisi nel 1986. Per questo, nel prossimo
mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella città
di San Francesco, invitando ad unirsi a questo
cammino i fratelli cristiani delle diverse
confessioni, gli esponenti delle tradizioni
religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini
di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel
gesto storico voluto dal mio Predecessore e di
rinnovare solennemente l'impegno dei
credenti di ogni religione a vivere la propria fede
religiosa come servizio per la causa della pace.
Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere
pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a
Dio».
Le voci che volevano il
Cardinale Ratzinger più o meno contrario - nel 1986 - alla
prima riunione interreligiosa di Assisi promossa dalla
Comunità di Sant'Egidio e fatta propria da Giovanni Paolo II,
vennero così clamorosamente smentite: il programma del
Vaticano II (ecumenismo, dialogo interreligioso, dialogo coi
«non credenti» e con il mondo) venne nuovamente e
autorevolmente confermato. Così, come annunciato, il 27
ottobre seguente si tenne, ad Assisi, la Giornata di
riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia
nel mondo. "Pellegrini della verità, pellegrini della
pace"», presieduta da Benedetto XVI. Bisogna dire che
l'avvenimento non ebbe lo stesso clamore di quello di
venticinque anni prima. Nel 1986, Wojtyla per la prima volta
realizzava un incontro altamente simbolico tra tutte le
religioni; la comune preghiera e i riti pagani compiuti in
alcune chiese cattoliche di Assisi suscitarono lo stupore di
tutti e la dura condanna di Mons. Marcel Lefebvre
(1905-1991) e Mons. Antonio de Castro Mayer
(1904-1991).
Sopra: Mons.
Marcel Lefebvre e Mons. Antonio de Castro Mayer.
Venticinque anni dopo il mondo si era ormai
abituato a questi incontri, che si ripetono seppur meno
solennemente ogni anno in varie parti del mondo (questa era
la terza riunione tenuta ad Assisi), e persino i
tradizionalisti cattolici sembrano essersi assuefatti ad un
avvenimento divenuto «tradizione»: timide proteste da parte
degli eredi di Mons. Lefebvre, impegnati in durevoli
incontri ecumenici con i rappresentanti di Benedetto XVI in
vista di un riconoscimento canonico, mentre da parte dei
movimenti Ecclesia Dei o Summorum Pontificum,
persino una convinta adesione all'iniziativa del «Santo
Padre»2, dichiarandosi
anch'essi «pellegrini della verità verso Assisi».
Sopra: il
primo incontro di preghiera per la pace di Assisi tenutosi il 27 ottobre 1986.
Alcuni
sostenitori della tesi: «Benedetto XVI difensore della
Tradizione», non potendo negare il convinto suo sostegno
allo «Spirito di Assisi», hanno cercato di trovare delle
differenze tra la cerimonia commemorata e quella
commemorante. Benedetto XVI, spiegano, ha evitato
il ripetersi di riti pagani nelle chiese cattoliche; anzi:
ha escluso dal programma della giornata (che pur si dice «di
preghiera») la preghiera.
D'altra parte, Benedetto XVI ha
esteso il suo invito non solo ai rappresentanti delle
confessioni cristiane e delle religioni non cristiane, ma a
tutti gli «uomini di buona volontà» (secondo l'espressione
giovannèa), ovvero anche ai non credenti, dimostrando
così che nelle sue intenzioni l'incontro di Assisi doveva
evitare ogni sincretismo religioso, per porsi esclusivamente
sul piano del diritto naturale e della retta ragione,
diritto naturale e retta ragione che sono punto d'incontro
per tutti gli uomini – per l'appunto – di buona volontà.
Sopra: il
terzo incontro di preghiera per la pace tenutosi ad Assisi
il 17 ottobre 2011.
Una «giornata di preghiera» senza preghiera
Consultando il programma della
giornata presentato dalla sala stampa vaticana il 18
ottobre, in effetti, non si trova traccia di riti o
preghiere non cattolici, ma neppure cattolici, per il
semplice fatto che la «giornata di preghiera» non prevedeva
preghiera alcuna. Nel programma dell'incontro di preghiera,
la giornata inizia infatti alle ore sette del mattino, con
la partenza dei delegati dalle proprie residenze per
prendere il treno Frecciargento per Assisi, e termina alle
ore 20,30 con l'arrivo del viaggio di ritorno alla Stazione
ferroviaria della Città del Vaticano.
Tra i due viaggi in
treno, e numerosi spostamenti in mini-bus, il
programma prevede la proiezione di un video commemorativo
dell'incontro del 1986, undici interventi il mattino
separati da brani d'organo, un «pranzo frugale», e quindici
interventi il pomeriggio, con sottofondo d'organo, seguiti
da un momento di silenzio. Il tempo ufficialmente consacrato
alla preghiera facoltativa è quello «post-prandiale» ovvero
della «siesta»: dopo il «frugale pranzo» i delegati si
ritirano nei propri alloggi per un (ancora) «tempo di
silenzio» dedicato alla «riflessione e/o la preghiera
personale».
Sopra: Joseph
Ratzinger insieme ai rappresentanti delle altre religioni.
Dall'incontro è quindi totalmente assente non
solo la Santa Messa o l'Ufficio divino, ma persino qualsiasi
tipo di preghiera (ammessa solo come personale e facoltativa
durante il pisolino), sostituiti dai brani d'organo, dal
silenzio e dalla riflessione. La cosa ha la sua logica, pur
nel paradosso di una giornata di preghiera senza preghiera:
ogni preghiera non può che dividere uomini di diversa
religione o persino estranei alla religione (i quattro «non
credenti» invitati da Ratzinger), per cui l'unico modo di
accomunare tante credenze e non credenze diverse in una
«esperienza di fraternità» senza urtare gli uni e gli altri
e senza cadere nel sincretismo, è paradossalmente quella di
escludere la religione dall'incontro interreligioso e la
preghiera da un incontro di preghiera.
Ma è proprio
questa la soluzione adottata dalle Logge massoniche
nelle quali, per statuto, è vietato parlare di religione
proprio perché devono riunirsi in esse come Fratelli uomini
di tutte le (ir)religioni. L'assenza pertanto di culti
idolatrici celebrati su altari cattolici, come avvenne nel
1986, evita senza dubbio quel tipo di sacrilegio e il facile
scandalo dei fedeli, ma al prezzo di sostituire alla
preghiera il «silenzio» e la «riflessione» come in un
qualunque tempio massonico.
Sopra:
«Fratelli» riuniti in Loggia, al di là del proprio credo
religioso.
Gli atei ad Assisi
Anche la presenza degli atei
(o, come si dice adesso: «non credenti»), hanno sostenuto
alcuni difensori dell'incontro di Assisi, confermerebbe
l'assoluta ortodossia della linea-guida del pontificato
ratzingeriano: una risposta all'Illuminismo mediante il lume
della ragione, comune a tutti gli uomini, credenti o non
credenti, religiosi o irreligiosi. Al massimo, concedono
alcuni difensori d'officio di Benedetto XVI – come
Francesco Agnoli su Il Foglio – ci si può
rammaricare per la scelta di coloro che dovevano
rappresentare i non credenti: invece di invitare degli «atei
devoti», rispettosi del valore civile e culturale della
Chiesa, e del diritto naturale alla vita dal concepimento
fino alla sua fine naturale, come ad esempio il direttore
stesso del Foglio, Giuliano Ferrara, e molti
foglianti divenuti collaboratori dell'Osservatore Romano
sotto la direzione Vian, si è preferito invitare atei assai
meno «devoti» (nella fattispecie, si tratta della
psicanalista Julia Kristeva, dell'italiano Remo
Bodei, del messicano Guillermo Hurtado e
dell'economista Walter Baier, membro del Partito
Comunista Austriaco). La colpa di queste improvvide scelte
ricadrebbe così sul Cardinale Gianfranco Ravasi,
presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e
responsabile dell'iniziativa del Cortile dei Gentili.
Ma chi
ha deciso di creare Cardinale Mons. Ravasi e di elevarlo
alla dignità episcopale (almeno nelle intenzioni)? Chi lo ha
nominato Prefetto del Pontificio Consiglio per la Cultura,
erede del Segretariato per i non-credenti fondato da
Paolo VI
(1897-1978) in applicazione alla Costituzione conciliare
Gaudium et spes?3. Chi ha
per primo lanciato l'iniziativa di un Cortile dei Gentili il
18 marzo 2011? La risposta a tutte queste domande è sempre
la stessa: Benedetto XVI. Cerchiamo quindi di meglio
conoscere il pensiero ratzingeriano al proposito.
Il discorso di Benedetto XVI ad
Assisi. Un falso concetto di pace
L'intervento di Benedetto XVI ad Assisi seguì quello della
rappresentante degli atei, Julia Kristeva. Il discorso
ratzingeriano inizia parlando della pace, invocata dalle
giornate di preghiera come quelle di Assisi; ma ci rendiamo
subito conto che la pace di cui si parla è, di fatto,
l'assenza di guerre, e non la «tranquillità dell'ordine» che
solo Cristo può dare: «Vi lascio la pace, vi do la mia
pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv
14, 27); queste parole di Cristo all'ultima Cena seguono
logicamente queste altre: «Io sono la via, la verità e la
vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv
14, 6), quel Padre che manderà «lo Spirito di verità che
il mondo non può ricevere» (Gv 14, 17). Relegando
la pace ad un concetto mondano e riduttivo, non stupisce che
Benedetto XVI si trovi in difficoltà di fronte all'obiezione
illuminista (ma già risalente agli scettici durante le
guerre di religione) sulla religione come causa non di pace,
ma di guerra:
«La critica
della religione, a partire dall'Illuminismo, ha
ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di
violenza e con ciò ha fomentato l'ostilità contro le
religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza
è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare
profondamente».
Sopra: Benedetto XVI incontra l'atea
Julia Kristeva sotto
lo sguardo compiaciuto del Cardinale
Gianfranco Ravasi.
Ma come il concetto di «pace»
preso in esame da Benedetto XVI è riduttivo, incompleto, e
pertanto falso, così quello di «violenza» in nome della
religione. Non si distingue infatti la religione rivelata
dalle false religioni, né l'uso della violenza dall'uso
della forza, quest'ultimo per legittima difesa o per
ristabilimento del diritto. Ne segue che Benedetto XVI
condanna con vergogna – proprio per mancanza di doverosa
distinzione - l'uso della «violenza» da parte dei cristiani
e - implicitamente – da parte della Chiesa stessa, per un
ennesimo, wojtyliano mea culpa:
«Come
cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella Storia
anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla
violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna.
Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo
abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con
la sua vera natura».
Ora, è indubbio che – nel
corso della Storia – alcune volte si è fatto uso di ingiusta
violenza col pretesto della fede cristiana, ma è altrettanto
indubbio che si è fatto anche un legittimo uso della forza
in nome della fede cristiana (come nelle pagine dell'Antico
Testamento lo si fece in nome della fede mosaica) che qui
sembra condannato in toto senza le necessarie
distinzioni in nome di un pacifismo non cristiano, ma
gandhiano.
Benedetto XVI ricorda poi che non solo la
religione (mal interpretata, a suo parere, anzi travisata e
snaturata) può essere stata causa o giustificazione di
violenza, ma anche la perdita di Dio, la sua «assenza»,
ovvero l'ateismo; e già questo fatto basterebbe per mettere
a tacere con vergogna, meritata questa volta, gli
illuministi di cui sopra: basti pensare agli immani crimini
compiuti in nome della «dea ragione» durante la
Rivoluzione Francese e in seguito, e fino ad oggi dal
comunismo ateo. Ma ecco che nel discorso di Benedetto XVI,
tra religiosi «fondamentalisti» e «atei militanti», fanno
capolino gli «agnostici», i quali, invitati alla riunione di
Assisi proprio da Benedetto XVI, sono i protagonisti
positivi del discorso ratzingeriano.
Il discorso di Benedetto XVI ad
Assisi. L'elogio dell'agnosticismo
Religiosi «fondamentalisti» da
un lato, «atei militanti» dall’altro, come nemici della
pace. Gli agnostici, invece, saranno, lo vedremo,
«pellegrini della pace» perché «pellegrini della verità».
Ecco con quali parole Benedetto XVI introduce l'argomento:
«Accanto
alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel
mondo in espansione dell'agnosticismo, anche un altro
orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato
il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità,
sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano
semplicemente: "Non esiste alcun Dio". Esse soffrono a
motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono,
sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono "pellegrini
della verità, pellegrini della pace"».
Ratzinger parla qui degli
agnostici, almeno di coloro che sono «in ricerca». Essi non
non credono: «Non è stato dato il dono di poter credere»;
sono non-credenti. Ma non escludono Dio come possibilità:
sono agnostici. Questa non-esclusione per Ratzinger è una
ricerca, la ricerca è pellegrinaggio verso la verità, e il
pellegrinaggio verso la verità, senza averla raggiunta, è
come vedremo, per Ratzinger, la condizione esistenziale di
ogni uomo, anche del credente: non sono forse gli
stessi pellegrini di Assisi, tutti, capeggiati da Benedetto
XVI, «pellegrini della verità, pellegrini della pace»?
Dio è l'autore dell'agnosticismo?
Ma, prima di proseguire nel commento delle parole del
«raffinato teologo» tedesco, soffermiamoci su di una grave
affermazione relativa alla causa dell'agnosticismo. Il
Concilo Vaticano II
(1962-1965) attribuisce (anche) ai credenti, colpevoli di
presentare un'immagine deformata di Dio, la causa o concausa
dell'ateismo, per cui molti atei non negherebbero il vero
Dio, ma un falso o deformato concetto di Dio loro presentato
dai credenti:
«Senza
dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano
Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non
seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono esenti
da colpa (quindi gli altri atei lo sarebbero; N.d.A.);
tuttavia, in questo campo anche i credenti spesso hanno
una certa responsabilità. Infatti, l'ateismo considerato
nella sua interezza non è qualcosa di originario, bensì
deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche
una reazione critica contro le religioni e, in alcune
regioni, proprio anzitutto contro la religione cristiana.
Per questo nella genesi dell'ateismo possono
contribuire non poco i credenti, in quanto per aver
trascurato di educare la propria fede, o per una
presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti
della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire
piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino
volto di Dio e della religione»4.
(Ma questo, obietto, mai fino
al punto di scusare l'ateismo; N.d.A.). Ratzinger ribadisce
questa dottrina conciliare, e - come vedremo - va oltre. La
causa dell'agnosticismo e del non credere è spesso da
attribuire ai «credenti» (si noti come con questo termine
Ratzinger inglobi, a torto, sia i credenti alla vera
religione, sia gli aderenti di quelle false):
«Queste
persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui
immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di
rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi
non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la
loro immagine ridotta o anche travisata di Dio».
Sopra: durante una manifestazione
degli atei americani un partecipante
mostra un cartello su cui è scritto:
«Se Gesù ritorna uccidiamolo ancora».
La causa del non credere è da
ricercarsi dunque nelle religioni (non esclusa la vera) e
nei credenti (non esclusi quelli autentici). Ma c'è di più:
la causa dell'agnosticismo sarebbe in fondo Dio
stesso che non darebbe ai non credenti «il dono del
poter credere». Ora, al di là delle discussioni tra le
diverse scuole teologiche sull'efficacia della grazia
attuale, è certo che:
L'esistenza di Dio – in
quanto tale – è dimostrata dalla ragione, per cui colui
che nega detta esistenza o non la riconosce è un
«insensato» e non ha giustificazione alcuna (Sl
13, 1 e 52, 1; Sap 13, 1 ss.; Rm 1, 19
ss.; Concilio Vaticano I, Costituzione Dogmatica Dei
Filius, in Denz. Sch. § 3026; giuramento
antimodernista in Denz. Sch. § 3538);
abbiamo già visto che per Benedetto XVI l'esistenza di
Dio è solo una «ottima opzione» non rigorosamente
dimostrata5.
Le verità sovrannaturali
rivelate da Dio non sono dimostrate dalla ragione, ma
sono credute per Fede, e tuttavia «perché l'ossequio
della nostra fede fosse conforme alla ragione (Rm 12,
1), Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito
Santo si accompagnassero anche delle prove esteriori
della sua rivelazione», i miracoli e le profezie, i
quali «sono segni certissimi della divina
rivelazione adatti ad ogni intelligenza» (Denz.
Sch. § 3009) anche di oggi (Denz. Sch. §
3539), per cui anche la Rivelazione divina è «credibile»
(Denz. Sch. § 3033) poiché questi argomenti di
credibilità possono «provare efficacemente l'origine
divina della religione cristiana» (Denz. Sch.
§ 3034).
L'atto di fede in Dio come
autore della Rivelazione è certamente un dono della
grazia (Denz. Sch. § 3035), che Dio non dà a
tutti, e tuttavia Dio dà a tutti, con la grazia
sufficiente, la possibilità del credere (Denz. Sch.
§ 2305 con Denz. Sch. § 3802) come del salvarsi
(impossibile senza il credere: Eb 11, 6; Mc
16, 16), grazia che contiene l'offerta del dono di
credere, e che è colpevolmente rifiutata da chi non
crede.
Sopra: i
martiri cristiani dei primi secoli non hanno dubitato e
hanno
preferito
essere sbranati dalle belve che rinnegare la loro fede.
Si deve concludere che Dio non
dà a tutti il dono di credere, ma dà a tutti il dono di
«poter credere», e che coloro che non credono lo fanno
perché rifiutano questo dono, e parimenti rifiutano i
«segni certissimi della divina rivelazione adatti ad ogni
intelligenza» che sono prova efficace «dell'origine
divina della religione cristiana» (se sono stati loro
sufficientemente proposti) e le prove dell'esistenza di un
unico Dio, creatore e rimuneratore del genere umano (Eb
11, 6). Se così non fosse Dio sarebbe la causa
dell'incredulità e del peccato e dell'eterna dannazione
degli uomini, poiché non darebbe ad alcuni la possibilità di
salvarsi, a meno di sostenere – come sembra dire Ratzinger –
che l'incredulità non è peccato, né causa di perdizione,
poiché, appunto, viene da Dio e porta a Lui.
L'agnostico che non crede in
Dio, essendo agnostico, in un certo senso lo
ha già trovato, ed è, come il credente,
pellegrino della verità
L'agnostico non crede, non ha
trovato Dio, Dio è, per lui, assente. Se non lo ha trovato è
perché il credente, spesso, rende Dio non accessibile, e
comunque perché Dio non gli ha dato il dono di poter
credere. Così Ratzinger. E tuttavia, l'agnostico che non
crede ha già Dio, in quanto non esclude la possibilità di
Dio:
«Persone
del genere non affermano semplicemente: "Non esiste alcun
Dio". Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando
il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso
di Lui. Sono "pellegrini della verità, pellegrini della
pace"».
Come si possa, non credendo in
Dio, essere interiormente in cammino verso di Lui? Forse
perché, alla fine, si giungerà alla fede? Non
necessariamente. Semplicemente, per il fatto che credenti e
non credenti sarebbero accomunati in questo cammino
interiore verso Dio:
«Si tratta
piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in
cammino verso la verità, dell'impegno deciso per la
dignità dell'uomo e del farsi carico insieme della causa
della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del
diritto [...]. Siamo animati dal comune desiderio di
essere "pellegrini della verità, pellegrini della pace"».
Sopra: Benedetto XVI e la psicanalista Julia Kristeva ad
Assisi.
Credenti e non credenti sono
quindi accomunati dall'essere alla ricerca della verità:
quindi, il non credente non è nell'errore, e il credente non
è
nella verità, ma l'uno e l'altro sono in cammino verso la
verità; Assisi 2011 è un raduno di uomini che senza essere
nella verità e nell'errore sono alla ricerca della verità.
Come può il (vero) credente non essere nella verità, giacché
crede in Cristo che è la Verità (Gv 14, 16) che rende
liberi (Gv 8, 32) e nello Spirito di verità che guida
alla «verità tutta intera» (Gv 16, 13)?
L'argomento sofistico è così esposto dal Cardinale Peter
Kodwo Appiah Turkson nella conferenza stampa tenuta in
preparazione alla riunione di Assisi il 18 ottobre 2011:
«La
ricerca della verità è premessa per
conoscersi meglio, per vincere ogni forma di
pregiudizio, ma anche di sincretismo, che offusca le
identità. Essere tutti partecipi di un comune
cammino di ricerca della verità significa
riconoscere la propria specificità, sulla base di
ciò che ci fa uguali – tutti siamo capaci di verità
– e diversi insieme. Non tutti, infatti, possediamo
la verità allo stesso modo; l'averla, poi, ricevuta
in dono non impedisce di approfondirla e di sentirsi
compagni di viaggio di ogni uomo e donna, perché
essa non è mai esauribile».
Il Cardinale Peter
Kodwo Appiah Turkson.
Non c'è più verità ed errore,
nelle parole del Cardinale, ma solo una differenza di
modalità nel possesso della verità, e la comune ricerca
della verità; anche chi l'ha ricevuta in dono (fede nella
verità divinamente rivelata) non è al termine della ricerca,
argomenta il Cardinale, poiché la verità è inesauribile.
Ora, è certamente vero che Dio Verità è infinito, e in
quanto tale non ne è possibile la comprehensio
(conoscenza perfetta dell'oggetto conosciuto tanto quanto
esso è conoscibile), neppure dai Beati in Cielo, che godendo
della visione beatifica vedono Dio faccia a faccia come Egli
è.
Ciononostante, nella divina Rivelazione – chiusa
definitivamente alla morte degli Apostoli – è contenuta la
«verità tutta intera», verità tutta intera alla quale
aderisce il fedele cattolico, e che è invece ignorata
(infedeltà materiale) o negata (infedeltà formale) dal non
cattolico. Il credente cattolico non è alla ricerca della
verità, crede nella verità; il non cattolico
invece, non credente, è nell'errore. Trasformare i credenti
e i non credenti, inclusi gli atei, in «pellegrini della
verità» (seppur ciascuno a modo suo) è una deformazione
ingannevole, e pertanto satanica (essendo Satana il padre
della menzogna), di puro stampo massonico.
La fede del credente deve essere
purificata dall'incredulità dell'agnostico
Nel suo discorso, Benedetto XVI non si limita ad accomunare
credenti e non credenti nella categoria «pellegrini della
verità», fa di più: l'agnostico deve purificare la fede del
credente! Per Benedetto XVI l'agnostico è il «terzo
orientamento» dopo quello dell'«ateo combattivo»
e quello del «credente» (di tutte le religioni). Ora,
gli agnostici hanno un ruolo di purificazione dei due altri
orientamenti: essi,
«pongono domande sia all'una che all'altra parte.
Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza,
con la quale pretendono di sapere che non c'è un
Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici,
persone in ricerca, che non perdono la speranza che
la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo
vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa
anche gli aderenti alle religioni, perché non
considerino Dio come una proprietà che appartiene a
loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei
confronti degli altri. Queste persone cercano la
verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle
religioni, a causa del modo nel quale non di rado
sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi
non riescano a trovare Dio dipende anche dai
credenti con la loro immagine ridotta o anche
travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e
il loro interrogarsi è anche un richiamo a noi
credenti, a tutti i credenti a purificare la
propria fede, affinché Dio – il vero
Dio – diventi accessibile».
Qual'è il problema per
l'umanità, sembra dire Ratzinger? La violenza, la mancata
fraternità tra gli uomini. Quale la causa di questa
«violenza»? La certezza di essere nella ragione, sia essa
degli «atei combattivi» con la loro «falsa
certezza» che Dio non esista, sia quella dei «credenti»
fondamentalisti o integristi, che considerano «Dio come
una proprietà che appartiene a loro» (si tratta
chiaramente di una caricatura del loro pensiero, giacché
nessun «credente» crede che Dio gli appartenga; e come
quando si accusa il «credente» di pensare di «avere la
verità in tasca»).
L'agnostico, l'uomo del dubbio, che
sempre si interroga, inquietato da una lotta interiore,
trasforma l'ateo combattivo in un agnostico come lui, e il
credente...? Verrebbe da dire: lo stesso! Perché il mondo
sia libero dalla violenza e trovi la pace, occorre – sembra
dire Benedetto XVI – che le tre opzioni (credenti, atei,
agnostici) si riducano a due (agnostici credenti e agnostici
non credenti) che si ritrovano nell'unica categoria dei
«pellegrini della verità», verità sempre cercata (e da
cercare) e mai (pienamente) trovata.
Il discorso di Benedetto XVI alla
luce di Introduzione al cristianesimo del prof.
Ratzinger
Quanto detto da Benedetto XVI
nel discorso tenuto ad Assisi, è in perfetta continuità con
quello che il professor Joseph Ratzinger insegnava ai suoi
studenti di Tubinga in un burrascoso '68 post-conciliare6. Le sue lezioni sono state raccolte
nel volume Introduzione al cristianesimo7, nel quale l'Autore commenta uno
per uno gli articoli del Credo. Più importante ancora
del commento ai singoli articoli, risulta la parte iniziale
dell'opera, nella quale l'Autore spiega cosa si debba
intendere con le parole «io credo» oggi. È questo
«oggi» dal quale parte tutta la riflessione di Ratzinger, e
difatti il primo capitolo si intitola: «É ancora
possibile credere nel mondo attuale»? Riprendendo il
«noto apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da
Kierkegaard»8,
Sopra: il
professor Ratzinger e il suo libro Introduzione al cristianesimo.
Ratzinger
paragona il teologo a quel clown che deve avvisare
gli abitanti di un villaggio che sono minacciati da un
incendio, e che non viene creduto; anzi: suscita l'ilarità
generale – perché vestito da pagliaccio. Abiti da pagliaccio
«tramandatigli dal Medioevo o chissà da quale passato»
che gli impediscono di essere preso sul serio. Ma non basta
cambiarsi il costume da pagliaccio e ripulirsi la faccia9 per diventare credibile, e rendere
credibile la fede all'uomo moderno.
Notiamo anzitutto come,
fin dall'impostazione della sua opera, Ratzinger sia
dominato dallo sgomento e come da una sorta di complesso di
inferiorità di fronte al mondo moderno così come è uscito
dall'Illumunismo. Il cattolicesimo deve certamente
abbandonare gli abiti da pagliaccio del passato, e
rinnovarsi profondamente, ma questo non è ancora sufficiente
in questa nuova apologetica. Di fronte al mondo incredulo,
il credente deve innanzitutto ammettere che il confine tra
lui e il non-credente è ben labile:
«Dovrà imparar ad ammettere di non essere soltanto
una persona travestita, cui basti solo cambiar
gabbana per essere subito in grado di istruire con
successo gli altri. Dovrà invece convenire che la
sua stessa situazione non si distingue poi da
quella degli altri in maniera così radicale,
come gli era parso di poter pensare all'inizio. Si
accorgerà insomma che in entrambi i gruppi –
credenti e non credenti – sono presenti le stesse
forze eversive, sia pur estrinsecantisi in modalità
assai differenti a seconda del campo. Rileviamo
anzitutto questo: nel credente sussiste la minaccia
dell'incertezza...»10.
Di quale minaccia si parla?
Solo delle tentazioni contro la fede, con l'esempio della
tentazione di Santa Teresa di Lisieux (1873-1897)?11. La tentazione contro la fede non
intacca minimamente la certezza della fede, di cui parlerò
in seguito. Ma non sembra essere questo il pensiero di
Ratzinger. Egli infatti soggiunge:
«Se
è vero che il credente può realizzare la sua fede
unicamente e sempre librandosi sull'oceano del
nulla, della tentazione e del dubbio,
trovandosi assegnato il mare dell'incertezza
come unica ambientazione possibile per la sua
fede, è però altrettanto vero, reciprocamente,
che nemmeno l'incredulo va immaginato immune dal
processo dialettico, ovvero come un uomo
assolutamente privo di fede [...]. La
segreta incertezza se il positivismo abbia davvero
l'ultima parola non lo abbandonerà mai. Come succede
al credente, sempre mezzo soffocato dal dubbio
spruzzatogli continuamente in bocca dall'oceano
(del dubbio, del nulla; N.d.A.), così sussiste
sempre anche per l'incredulo il dubbio sulla sua
incredulità [...]. Sicché, allo stesso
modo in cui il credente ha la netta
consapevolezza di essere continuamente minacciato
dall'incredulità, così la fede resta per l'incredulo
una continua minaccia e una incessante tentazione
incombente sul suo mondo apparentemente compatto ed
ermeticamente chiuso»12.
Il parallelismo tra «credente»
e «non-credente» stabilito da Ratzinger è assoluto: come il
non credente più convinto non può mai escludere la fede
(quindi non è assolutamente privo di fede), così allo stesso
modo il credente convive sempre col dubbio, è mezzo
soffocato da esso. Non si
tratta, quindi, per Ratzinger di episodiche tentazioni e di
prove spirituali, ma della inevitabile condizione umana
comune a credenti e non-credenti:
«In
una parola: non si sfugge al dilemma dell'esser
uomini. Chi pretende di sfuggire l'incertezza
della fede, dovrà fare i conti con l'incertezza
dell'incredulità, la quale, dal canto
suo, non potrà mai nemmeno dire con inoppugnabile
certezza se la fede non sia realmente la verità. È
proprio nel rifiuto, che si rende visibile
l'irrefutabilità della fede»
13.
Atto di fede:
Mio Dio, perché siete verità infallibile,
credo fermamente tutto quello che voi avete rivelato
e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed
espressamente credo in voi, unico vero Dio in tre
Persone uguali e distinte, Padre, Figliuolo e
Spirito Santo. E credo in Gesù Cristo, Figlio di
Dio, incarnato e morto per noi, il quale darà a
ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena
eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere.
Signore, accrescete la mia fede.
La fede, quindi, è per
Ratzinger incertezza, ma anche la non credenza è incertezza;
parimenti, la fede non ha prove, ma neppure il rifiuto della
fede ha delle prove che dimostri la fede falsa: in questo
senso la fede è «irrefutabile». Credenza e non credenza, nel
pensiero di Ratzinger, sono dominate dal dubbio. È questa la
nuova apologetica del teologo tedesco, che abbandonando le
prove dell'esistenza di Dio, i miracoli e le profezie, come
segni certi dell'origine divina della religione cristiana,
tutti argomenti «estrinsecisti» già scartati dal modernista
Maurice Blondel (1861-1949), paludamenti medioevali
da clown, si rivolge all'uomo moderno, nella sua
condizione umana, con l'unico argomento per lui veramente
persuasivo, quello del dubbio.
«Io sono la
luce del mondo; chi segue me, non
camminerà
nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,
12).
Per illustrare il tutto,
Ratzinger ricorre ad un altro apologo: non più di un
fideista pastore protestante, ma dello scrittore giudeo
chassidico 14Martin Buber
(1878-1965): la storiella ebraica raccontata da Buber narra
di un incredulo che si recò da un saggio rabbino per
disputare sulla fede, come aveva fatto con tanti altri prima
di lui. Il rabbino gli disse solo: «Chissà, forse
è proprio vero», incrinando la spavalda certezza dello
scienziato incapace di rispondere, e poi spiegò:
«Figlio mio, i grandi della Toràh con cui tu hai
polemizzato, hanno sciupato inutilmente le loro
parole con te; quando te ne sei andato, ci hai riso
sopra. Essi non sono stati in grado di porgerti Dio
e il suo Regno; ora, neppure io sono in grado di
farlo. Ma pensaci, figlio mio, perché forse è
vero»15.
Ratzinger non vede
nell'intervento di rabbiLevi Yitzchak
(1740-1809) un fortunato argomento ad hominem che
poté incrinare le false certezze di un ateo determinato, ma
pensa che, universalmente,
«ci
si presenti descritta con molta precisione la
situazione dell'uomo di fronte al problema di Dio.
Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio e il
suo Regno, neppure il credente a sé stesso
(anche il credente dubita; N.d.A.). Ma per quanto
da ciò possa sentirsi giustificata anche l'incredulità
(perché la fede non è provata; N.d.A), ad essa
resta sempre appiccicata addosso l'inquietudine del
"forse però è vero". Il "forse" è
l'ineluttabile tentazione alla quale l'uomo
non può assolutamente sottrarsi, nella quale,
anche rifiutando la fede, egli deve sperimentarne
l'irrefutabilità»16.
Maurice Blondel
Martin Buber
Levi Yitzchak
E questo vale anche, sempre, e
necessariamente, per il credente:
«Per dirla in altri termini, tanto il credente
quanto l'incredulo, ognuno a suo modo,
condividono dubbio e fede, sempre beninteso che
non cerchino di sfuggire a sé stessi e alla verità
della loro esistenza. Nessuno può sfuggire
completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede;
per l'uno la fede si rende presente "contro" il
dubbio, per l'altro "attraverso"
il dubbio e "sotto forma" di dubbio.
È tipico della stessa impostazione fondamentale del
destino umano, trovare l'assetto definitivo
dell'esistenza, unicamente in questa
interminabile rivalità tra dubbio e fede, tra
tentazione e certezza»17.
Parole che illuminano il
discorso di Assisi: ogni non-credente, crede; ogni credente,
dubita; ogni uomo, credente e non-credente, in quanto uomo,
è, e non può non essere, «pellegrino della verità». E
«pellegrino della pace». È proprio il dubbio, infatti, che
rende possibile la pace e il dialogo. Così conclude il suo
paragrafo il nostro autore:
«E
chissà mai che proprio il dubbio, il quale
preserva tanto l'uno quanto l'altro (il credente
e l'agnostico; N.d.A.) dalla chiusura nel proprio
isolazionismo, non divenga d'ora in poi la sede per
intavolare delle conversazioni, per scambiare e
comunicarsi qualche idea (come ad Assisi;
N.d.A.). Esso infatti impedisce ad ambedue gli
interlocutori (quindi, anche il credente dubita;
N.d.A.) di barricarsi completamente in sé stessi,
portando il credente a rompere il ghiaccio col
dubbioso e il dubbioso ad aprirsi col credente;
per il primo, rappresenta una partecipazione
al destino dell'incredulo, per il
secondo, una forma sotto cui la fede resta –
nonostante tutto – una provocazione permanente»18.
«Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e
disse: "Pace a voi"! Poi disse a Tommaso:
"Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la
tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più
incredulo
ma credente"! Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio
Dio"! Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto,
hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto
crederanno"»! (Gv 20, 26-29).
È la formula della «cattedra
dei non-credenti»; è la formula del «Cortile dei Gentili»;
è la formula dell'ultimo incontro di Assisi; è lo spirito di
«tre anelli» e della
Massoneria19. In base a quanto scrive lo
stesso Ratzinger, possiamo dedurre, senza fare un giudizio
temerario, che anche lui «crede» dubitando; è nello stesso
tempo un agnostico e un «credente». Ma, per l'appunto: è
possibile essere agnostici e credenti? É conciliabile il
dubbio con la fede?
L'agnosticismo ratzingeriano
distrugge la certezza della fede, e pertanto la
possibilità stessa dell'atto di fede
- Oscurità e certezza della
fede. La fede è certa e indubitabile
È possibile essere agnostici e
credenti? La risposta è affermativa per i modernisti: lo
vedremo rileggendo l'Enciclica Pascendi Dominici gregis di San Pio
X (1835-1914). Per la fede cattolica, al
contrario, il dubbio volontario è incompatibile con
la fede. Affinché una proposizione possa essere oggetto
di fede, è necessario che, nello stesso tempo, sia vera e
oscura, o non evidente. Per cui due sono le condizioni
dell'oggetto materiale della fede, e cioè che sia vero e
oscuro; e due sono le proprietà della fede da parte
dell'oggetto: l'infallibilità e l'oscurità20. Sembra paradossale, ma è così:
escludono la fede sia l'evidenza che il dubbio!
Da un lato,
infatti, è oggetto di fede una verità sovrannaturale,
rivelata da Dio, che supera pertanto (senza tuttavia
contraddirla) la nostra ragione. Pur essendo credibili, le
verità di fede non possono essere dimostrate dalla ragione,
e proprio in questo consiste il merito della fede: «Beati
coloro che crederanno senza vedere» (Gv 20, 29).
Esclude la fede la «scienza» (la conoscenza puramente
razionale)21 e la visione22, sia quella sensibile dei nostri
occhi corporei, sia quella beatifica del Cielo.
I Beati in
Cielo non hanno la fede, che ha lasciato il posto alla
visione beatifica. In terra, invece, il credente crede
fermamente quanto rivelato da Dio nell'oscurità della fede,
perché quanto gli è stato rivelato da Dio, tanto più grande
di lui e della sua ragione limitata, è per lui assolutamente
non evidente: così il mistero della Trinità, quello
dell'Incarnazione, quello dell'Eucaristia, e tutti gli altri
misteri della nostra santa fede.
Sopra: Papa
San pio X e la sua Enciclica Pascendi (1907).
L'oscurità della fede
(nella quale consiste, d'altronde, la sua imperfezione,
rispetto alla visione beatifica) non significa però, in
alcun modo, che la fede sia dubbia, o che ammetta il dubbio.
La fede non ammette alcuna falsità23,
né da parte di Dio che si rivela, essendo Egli la Verità
prima, la medesima Verità, sia da parte del credente che dà
il suo assenso, appunto, all'infallibile Verità. Dio non può
ingannarsi, né ingannarci. E difatti, qual è il motivo della
fede? Perché si crede?
Si crede a causa dell'autorità di Dio
che si rivela (Concilio Vaticano I, Denz. Sch. §
3008). Stabilito dalla ragione che Dio esiste, accertato che
Dio si è rivelato (e sono questi, razionali argomenti di
credibilità; Concilio Vaticano I, Denz. Sch. § 3009),
non si può non credere o anche solo dubitare di quanto Dio
stesso ci ha proposto a credere. «Se accettiamo la
testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è
maggiore» (1 Gv 5, 9). La maggior parte delle
nostre conoscenze, vengono dalla testimonianza di persone
degne di fede (genitori, insegnanti, documentazione storica,
ecc...), alle quali noi diamo il consenso del nostro
intelletto senza poterne sempre verificare da noi stessi
l'assoluta certezza. Se crediamo alla testimonianza degli
uomini, appunto, perché non credere a quella di Dio?
Con la
sola differenza che quanto rivelato da Dio esclude
totalmente l'errore: da qui l'assoluta certezza della fede,
che esclude ogni dubbio. Se quindi si considera la certezza
della fede dal punto di vista della causa della fede, Dio
che si rivela, la fede è più certa di quello che vedo con i
miei occhi e delle più evidenti certezze della ragione; se
si considera invece l'intelletto di colui che crede, è
chiaro che la fede gli appare meno certa di quello che vede
e tocca, o capisce, perché le verità di ragione sono alla
sua portata, mentre le verità di fede, come detto,
trascendono l'intelletto umano24.
Questo spiega come mai si possa essere assolutamente certi
della fede, e nello stesso tempo essere, a volte, in preda
alla tentazione del dubbio involontario, mai però
consentito. Infatti, parlando in assoluto, e senza
distinzioni, la fede è non solo certa, ma è più certa di
qualsiasi altra conoscenza: essa è infallibile e
indubitabile25; anche quando
devo credere alla risurrezione di un morto, alla maternità
di una vergine o alla Trinità di persone in un unico Dio, la
mia mente esclude ogni dubbio, ogni sospensione di giudizio,
e dà un fermissimo assenso, perché sa che Dio, che me lo ha
rivelato, non può ingannarsi né ingannarmi. La fede non ha
niente a che vedere con le opinioni umane:
«Non è affatto uguale la condizione di quelli che
grazie al celeste dono della fede hanno aderito alla
verità cattolica, e di quelli che, guidati da
opinioni umane, seguono una falsa religione. Quelli
che infatti hanno ricevuto la fede sotto il
magistero della Chiesa non possono mai avere un
giusto motivo per mutare o dubitare della propria
fede»26.
Pio IX (1792-1878)
spiega chiaramente:
«Bisogna che la ragione umana,
per non essere
tratta in inganno e per non sbagliare in
una cosa così importante, studi attentamente
il fatto della Rivelazione divina, per essere sicura
che Dio ha parlato e per "rendergli ossequio
secondo ragione", come con grande
saggezza insegna l'apostolo (Rm 12, 1). Chi
infatti può ignorare che bisogna avere ogni
fede in Dio che ci parla e che nulla è più
conforme alla ragione stessa che ammettere,
attaccandosi saldamente, quelle cose che si
siano constatate come rivelate da Dio, che
non può essere ingannato né ingannare? Ma
sono a disposizione molti ammirevoli e luminosi argomenti in
base ai quali la ragione umana deve essere
perfettamente convinta che la religione di Cristo è
divina e che "ogni principio dei nostri dogmi ha
preso radice dall'alto, dal Signore dei Cieli", e
che quindi non esiste nulla di più certo, di
più sicuro, di più santo della nostra fede
e che si fondi su più saldi principi»27.
«La fede è realtà di cose
sperate, e convincimento di cose che non si vedono»
(Eb 11, 1). Si crede ciò che non si vede, che non è
per noi evidente, nell'oscurità della fede: da qui il merito
della fede. Ma si crede con convincimento (argumentum)
che fonda la certezza della fede: per questo chi non crede è
colpevole, è condannato.
L'agnosticismo ratzingeriano rende impossibile l'atto
di fede
L'atto di fede è quindi un
atto con il quale il nostro intelletto dà con certezza,
escludendo qualsiasi dubbio volontario, il suo
assenso a qualunque verità rivelata da Dio, proprio in
quanto rivelata da Dio, Verità stessa. Ma se il credente
crede e dubita nello stesso tempo, non può credere senza
dubitare, poiché non può sfuggire alla sua condizione umana,
come scrive Ratzinger, non è capace di fare un vero atto di
fede.
Per elicitare, fare un vero atto di fede, è necessario
infatti un fermo assenso dell'intelletto, la quale fermezza
esclude il dubbio (col quale non si giudica, si sospende il
giudizio) e il timore stesso di sbagliare (colui che ha solo
una opinione, e non una certezza, dà un assenso, sì, ma col
timore di sbagliare). Per cui, quando si dubita
volontariamente di una verità di fede, o si teme di
errare nel dare il proprio assenso, si commette un peccato
di infedeltà, un peccato contro la fede, col quale non si
perde solo la fede a riguardo della verità a proposito della
quale si dubita, ma si perde del tutto e totalmente la virtù
della fede28.
Se quindi
abbiamo ben inteso il pensiero ratzingeriano, ne consegue
che esso rende radicalmente impossibile l'atto di fede, e
anzi costituisca la negazione stessa della fede. Colui che
professasse di credere tutto quello che Dio ha rivelato e la
Chiesa propone a credere, ma lo facesse dubitando o anche
solo col timore di errare, convinto com'è che l'uomo non può
sfuggire alla sua condizione umana che include
l'impossibilità di sfuggire al dubbio ebbene, costui non
porrebbe un atto di fede; commetterebbe al contrario un
peccato contro la fede, e perderebbe per il fatto stesso la
virtù della fede.
È per questo, d'altronde, che San Pio X
definisce il modernismo la riunione o la cloaca di tutte le
eresie: perché, rendendo alla radice impossibile l'atto di
fede, snaturando il concetto stesso di fede, il modernismo
non si oppone direttamente a una o un'altra verità, ma le
distrugge tutte, anche quando pretende o si illude di
crederle tutte. È quello che San Pio X spiega, per
l'appunto, nell'Enciclica Pascendi.
L'agnosticismo ratzingeriano è
vero modernismo. L'Enciclica Pascendi
di San Pio X
- I nemici della Chiesa si
nascondono nella Chiesa
Ma è mai possibile, diranno
molti miei lettori, che si accusi di agnosticismo, di
incredulità, degli uomini di Chiesa, e perfino colui che,
agli occhi di tutti, appare il Capo visibile della Chiesa?
Non possiamo neppure prendere in esame questa possibilità!
Dobbiamo chiudere occhi e orecchie di fronte a quanto letto
finora, alle parole stesse di Joseph Ratzinger. Eppure, essi
tessono le lodi del modernismo, lo riabilitano; e Papa San
Pio X ci aveva avvertito. Scrisse infatti San Pio X nel
condannare il modernismo l'8 settembre 1907:
«I
fautori dell'errore già non sono da ricercarsi tra i
nemici dichiarati; ma ciò che dà somma pena e
timore, si celano nel seno stesso della Chiesa,
tanto più perniciosi quanto meno sono in vista.
Fanno le meraviglie costoro perché noi li
annoveriamo tra i nemici della Chiesa [...].
Per la verità, non si allontana dal vero chi li
ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi.
Questo perché, come abbiamo già detto, i loro
consigli di distruzione non li agitano costoro al di
fuori della Chiesa ma dentro di essa; ond'è che il
pericolo si nasconde quasi nelle vene stesse e nelle
viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto
essi la conoscono più addentro».
- L'agnosticismo
modernista: modernismo sintesi di tutte le eresie
E subito il Papa continua
spiegando che la gravità estrema dell'errore modernista
proviene non solo dal fatto che viene diffuso nel seno
stesso della Chiesa da dei suoi membri (tali almeno in
apparenza), ma che tale errore, come abbiamo detto, mini
alla radice, rendendolo impossibile, lo stesso atto di fede:
«Di
più, non pongono già la scure ai rami o ai germogli,
ma alla radice medesima, cioè alla fede e
alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi
questa radice dell'immortalità, continuano a far
correre il veleno per tutto l'albero in modo tale
che non risparmiano alcuna parte della cattolica
verità, nessuna che non cerchino di contaminare».
Sopra: a sinistra, Ratzinger e il suo
maestro, l'eretico gesuita Karl Rahner;
a destra Ratzinger e il domenicano
Yves Congar, uno dei fautori della nouvelle théologie.
Entrambe le foto risalgono ai tempi
del Concilio, cui Ratzinger partecipò come perito.
E com'è che il modernismo
cerca di distruggere la fede alla radice? Con l'agnosticismo.
«Tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto
dai modernisti nella dottrina che chiamano
dell'agnosticismo». Adottata la falsa filosofia moderna,
i modernisti ne deducono che Dio non può essere
dimostrabile, e così pure che non hanno valore gli argomenti
di credibilità della divina rivelazione.
«Tutto questo i
modernisti tolgono via di mezzo, e l'attribuiscono
all'intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano,
e tramontato già da gran tempo», senza curarsi del fatto
che questi errori sono stati solennemente condannati, come
abbiamo detto, dal Concilio Vaticano I29.
Ogni verità di fede perde certezza, perché la fede stessa
non è certezza: per questo il modernismo è «la sintesi
di tutte le eresie»30.
- Il modernista pretende di
essere nello stesso tempo agnostico e credente...
Il modernista è dunque un
agnostico31. Eppure, pretende
essere nello stesso tempo, un credente32. È
questa contraddizione che rende il modernismo così ambiguo e
sfuggente! Se come studioso il modernista, che ha
abbandonato la sorpassata filosofia di San Tommaso, non può
andare oltre il dubbio dell'agnostico, se l'intelletto è
incapace di conoscere con certezza Dio e la Rivelazione al
di fuori dell'uomo, il modernista pensa di ritrovarlo dentro
di sé, nell'immanenza vitale, nell'esperienza che ogni uomo,
anche il non credente, fa del divino, nel sentimento
religioso. È «questa esperienza [...] quella che
lo costituisce propriamente e veramente credente»; e San
Pio X afferma che questo concetto di fede – vero e proprio
fideismo – ha la sua origine «nell'opinione dei
protestanti e dei pseudo-mistici». Questa esperienza
religiosa sarà tanto più viva quanto più sarà vitale, e
pertanto in perpetua evoluzione, e la tradizione è concepita
come viva ed evolutiva «comunicazione dell'esperienza
religiosa fatta agli altri», ove l'autorità svolge un
ruolo di freno, freno che non può però impedirsi di
accogliere e consacrare le novità che nascono dalla viva
esperienza religiosa, e di constatare la fine di tradizioni
morte perché non più vitali33.
Naturalmente, questo «sentimento religioso», questa
«esperienza religiosa», sono comuni a tutti gli uomini,
non esclusi gli increduli, per cui tutte le religioni sono
una manifestazione del divino nell'uomo:
«Ogni religione, sia pure quella degli idolatri,
deve ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà
possibile che tali esperienze s'incontrino in ogni
religione? [...]. E con quale diritti i
modernisti negheranno la verità ad una esperienza
affermata da un islamita? Con quale diritto
rivendicheranno esperienze vere per i soli
cattolici? E infatti i modernisti non negano,
concedono anzi, altri velatamente, altri
apertissimamente, che tutte le religioni sono vere»34.
E persino il dubbio
dell'incredulo. È questo, evidentemente, il fondamento non
solo dell'ecumenismo (con gli altri «cristiani»), ma anche
del «dialogo interreligioso» (con i «credenti» delle
religioni non cristiane) e del dialogo con i non-credenti,
che si è reso visibile negli incontri di Assisi.
- …in realtà apre la via
all'ateismo
Come
già detto35 a proposito della
parabola dei tre anelli e della leggenda dei tre impostori,
queste dottrine conducono all'ateismo. È la conclusione di
San Pio X nella sua enciclica: il modernismo spalanca «la
via all'ateismo»36;
«per quante vie la dottrina dei modernisti» conduce
«all'ateismo e alla distruzione di ogni religione. L'errore
dei protestanti diede il primo passo in questo sentiero; il
secondo è del modernismo; a breve distanza dovrà seguire
l'ateismo»37.
Il
successore di San Pio X, Pio XI (1857-1939), parlando
degli ecumenisti, o pancristiani, come si diceva allora,
nell'Enciclica Mortalium animos (1928), dichiarava
anch'egli come l'ecumenismo era «la via all'ateismo»38, ecumenismo che per l'appunto è
figlio legittimo del protestantesimo e, tra di noi, del
modernismo. I rappresentanti di tutte le religioni e
irreligioni riuniti ad Assisi sotto la presidenza di
Benedetto XVI, sfidando la condanna fulminata da Pio XI
contro tali riunioni, non sono solo pellegrini in cammino
verso la verità, ma sventurati in marcia verso l'ateismo.
Sopra: Papa
Pio XI e la sua Enciclica Mortalium animos.
- I Cardinali Martini e
Ravasi non sono «antipapi», ma discepoli dell'agnosticismo
modernista di Benedetto XVI. I «tradizionalisti»
ratzingeriani sono ciechi che guidano altri ciechi
È dal novembre 2011, nei
convegni di Milano e Parigi, e poi nel nº 65 di
Sodalitium, del febbraio 2012, che parlo, a rischio di
annoiare, dell'agnosticismo nel pensiero di Joseph
Ratzinger. Parole e scritti che non hanno trovato il minimo
eco. Eppure, quando le medesime idee e iniziative sono
attribuibili non (direttamente) a Benedetto XVI, ma, ad
esempio, ai Cardinali Martini (testé defunto) e Ravasi,
allora, e solo allora, le voci e le penne di alcuni
scrittori cattolici escono dal silenzio e condannano la
«teologia del dubbio», attribuita ai due porporati.
È
successo recentemente, in occasione della morte del
Cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012), e
dell'iniziativa di Ravasi di riunire nuovamente ad Assisi il
5 ottobre 2012 un nutrito gruppo di non-credenti o poco
credenti italiani, capeggiati dal presidente della
repubblica Giorgio Napolitano, nell'ambito del
Cortile dei Gentili39. Ma ci
chiediamo: chi ha promosso il Cortile dei Gentili? Lo stesso
Benedetto XVI, di cui riporto quello che vien chiamato il
«discorso di fondazione» del Cortile dei Gentili:
«Ma
considero importante soprattutto il fatto che anche
le persone che si ritengono agnostiche o atee,
devono stare a cuore a noi come credenti. Quando
parliamo di una nuova evangelizzazione, queste
persone forse si spaventano. Non vogliono vedere sé
stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla
loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la
questione circa Dio rimane tuttavia presente pure
per loro, anche se non possono credere al carattere
concreto della sua attenzione per noi. A Parigi ho
parlato della ricerca di Dio come del motivo
fondamentale dal quale è nato il monachesimo
occidentale e, con esso, la cultura occidentale.
Dobbiamo preoccuparci che l'uomo non accantoni la
questione su Dio come questione essenziale della sua
esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale
questione e la nostalgia che in essa si nasconde. Mi
viene qui in mente la parola che Gesù cita dal
profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere
una casa di preghiera per tutti i popoli (Is 56, 7;
Mc 11, 17). Egli pensava al cosiddetto "cortile dei
gentili", che sgomberò da affari esteriori perché ci
fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano
pregare l'unico Dio, anche se non potevano prendere
parte al mistero, al cui servizio era riservato
l'interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti
i popoli – si pensava con ciò a persone che
conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano;
che sono scontente con i loro dei, riti, miti; che
desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane
per loro il "Dio ignoto" (At 17, 23). Essi dovevano
poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere
in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad
oscurità di vario genere. Io penso che la Chiesa
dovrebbe anche oggi aprire una sorta di "cortile dei
gentili" dove gli uomini possano in una qualche
maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima
che abbiano trovato l'accesso al suo mistero, al cui
servizio sta la vita interna della Chiesa. Al
dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi
soprattutto il dialogo con coloro per i quali la
religione è una cosa estranea, ai quali Dio è
sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere
semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come
Sconosciuto»40.
Assisi, 4-5 ottobre 2012: nell'ambito
del «Cortile dei Gentili»
il Cardinale Ravasi colloquia con l'ex
presidente Giorgio Napolitano.
Tema dell'incontro: «Dio, questo
sconosciuto» (sic).
E il Cardinal Martini,
definito dai giornali come un oppositore di Benedetto XVI,
quasi un «antipapa», a chi si ispirò per la sua «Cattedra
dei non- credenti»? Ce lo rivela lui stesso, come si può
leggere in un articolo di
Andrea Tornielli:
«E se la "cattedra dei non
credenti" di Carlo Maria Martini fosse stata ispirata da
Ratzinger? A leggere quanto scriveva il porporato gesuita a
cui oggi verrà dato l'ultimo saluto – già centomila persone,
tra cui il premier Mario Monti, sono sfilate davanti alla
sua bara – si direbbe proprio di sì. Martini ne aveva
scritto nel 1997, in un volume in onore del Cardinale
bavarese. Alla fine degli anni Sessanta, Martini si trovava
in ritiro in una casa nella Selva Nera e preparava una
conversazione per un gruppo di sacerdoti italiani. "Mi
aspettavo molte domande, contestazioni, difficoltà. Ero alla
ricerca di un qualche libro che mi aiutasse a mettere giù le
idee in modo chiaro e sereno. Fu così che ebbi tra le mani
la "Introduzione al Cristianesimo" di Joseph Ratzinger,
uscita poco prima (1968). Ricordo ancora oggi", spiegava
Martini, "il gusto con
cui lessi quelle pagine. Mi aiutavano a chiarire
le idee, a pacificare il cuore, a uscire dalla
confusione [...]. Conservo ancora oggi quegli
appunti. Fu in particolare da quella lettura
che ritenni il tema del "forse è vero" con cui
si interroga l'incredulo, e che mi guidò poi
per realizzare la "Cattedra dei non credenti". Nell'"Introduzione al cristianesimo"
Ratzinger presentava la ragionevolezza del
credere facendosi carico delle domande e
dell'incredulità moderna. Un approccio che
non avrebbe mai abbandonato. Nel 2001
Ratzinger, allora Prefetto dell'ex Sant'Uffizio,
nel libro "Dio e il mondo" affermava:"La
natura della fede non è tale per cui a partire da un
certo momento si possa dire: io la possiedo, altri
no [...]. La fede rimane un cammino [...].
Ed è anche salutare che si sottragga in questo modo
al rischio di trasformarsi in ideologia
manipolabile. Al rischio di indurirci e di renderci
incapaci di condividere riflessione e sofferenza con
il fratello che dubita e si interroga. La fede può
maturare solo nella misura in cui sopporti e si
faccia carico dell'angoscia e della forza
dell'incredulità e l'attraversi infine fino a farsi
di nuovo percorribile in una nuova epoca. Un approccio molto
distante da certi cliché consolidati, che accomuna
Martini e Ratzinger. E il porporato bavarese
divenuto Benedetto XVI non è cambiato, come dimostra
l'istituzione del "Cortile dei gentili", per il
dialogo con chi non crede».
Di fronte all'evidenza (è
Benedetto XVI-Ratzinger il capofila dei modernisti
agnostici) scrittori come
Alessandro Gnocchi e
Mario Palmaro (1968-2014) difendono il «Santo Padre» da
chi ne mette in discussione l'autorità, e attribuiscono ogni
colpa ai «progressisti» che lo avverserebbero; altri, come
Antonio Socci, un «timoniere» come Palmaro, si fanno
addirittura divulgatori del pensiero agnostico ratzingeriano
di Assisi. Partecipando al 4° giorno del Timone in
Toscana il 15 settembre 2012, per ricevere il Premio
«Viva Maria» (sic), Socci ha «condiviso con noi»,
cioè con quelli del Timone,
«alcune riflessioni sul relativismo e sul
fondamentalismo. Il relativismo afferma che la
verità non esiste, quindi sarà chi detiene il potere
a stabilire, di volta in volta, che cos'è la verità.
Il fondamentalista invece afferma che la verità
esiste, ed è in suo possesso. Anche in questo caso
la verità viene imposta da chi ha il potere, che nel
caso del fondamentalista assume anche una valenza
religiosa. Il cristiano invece afferma che la verità
esiste, ma nessuno può dire di averne il pieno
possesso»41.
Sopra: lo scrittore Antonio Socci.
Socci non poteva riassumere
meglio il pensiero ratzingeriano di Assisi. A chi non riesce
a credere che Ratzinger – nemico giurato del «relativismo» –
possa essere agnostico – e quindi relativista – Socci spiega
chiaramente come ciò sia possibile. Il «relativista» del
discorso di Socci a Staggia Senese corrisponde all'«ateo
militante» del discorso di Assisi. Esso non è democratico,
impone per legge un laicismo antireligioso (e quindi non
positivo). Il «fondamentalista» nella versione di Socci è la
caricatura del vero cattolico, integralmente cattolico, o
comunque di chi sostiene la confessionalità dello Stato e
nega la libertà religiosa.
Si tratta di un abuso di termini,
giacché il «fondamentalismo» è in realtà una corrente
protestante, particolarmente in materia di interpretazione
della Scrittura. Nel linguaggio di Socci significa
tutt'altro: sarebbe «fondamentalista» (e quindi, per Socci,
non cattolico) colui che crede che la verità esiste, che
essa è religiosa, che lo Stato deve riconoscerla nelle
proprie leggi. In realtà, è quello che pensa ogni vero
credente. Naturalmente, Socci caricatura questa posizione:
il fondamentalista impone la verità (in realtà, vuole che
sia riconosciuta dalle leggi), il fondamentalista possiede
la verità (in realtà aderisce alla verità che è Dio).
Quella
che per Socci invece è la posizione cattolica corrisponde
invece a quella agnostica, e quindi al massimo «cattolica
liberale», del discorso di Assisi. Il cattolico di Socci
crede che la verità esiste… ma nessuno ne ha il pieno
possesso, e quindi tutti ne hanno una parte e nessuno ce
l'ha intera, aggiungo io: siamo tutti «pellegrini della
verità», in marcia verso una verità che nessuno ha
raggiunto. Ne consegue che lo Stato liberale, conforme a
questa posizione, non può che essere laico, e guardare però
benevolmente a tutti questi «pellegrini» promuovendo la
nuova «laicità positiva» il cui modello va cercato negli
Stati Uniti.
Il Timone c'è, ma fa rotta verso il
Grand'Oriente di Washington. Su questa barca, e con tali
timonieri, non vogliamo certo imbarcarci. Senza per questo
diventare «fondamentalisti», ma restando semplicemente e
integralmente cattolici, siamo convinti che la Verità esiste
ed è Gesù Cristo, che si è rivelata agli uomini, che la
Chiesa cattolica, fuori della quale non c'è salvezza, è la
sola custode della verità rivelata, e che ogni società umana
deve riconoscere, anche nelle proprie leggi, che Cristo è Re
dei Re e Signore dei Signori. È così, o non è così? Ci
rispondano i timonieri...
«Gesù disse
loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad
ogni creatura.
Chi
crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non
crederà sarà condannato"» (Mc 16, 15-16).
Nota a cura del
gestore del sito: durante l'incontro di Assisi, la
psicanalista atea Julia Kristeva ha preso la parola per
elogiare... il Nuovo Ordine Mondiale! Ecco parte del
testo del suo discorso:
«Oggi, lontani dal demondializzare, è necessario
inventare un nuovo regolamento internazionale, per
regolare e gestire la finanza e l'economia
mondializzata, e creare alla fine un Governo
Mondiale etico, universale e solidale»42.
La cosa non ci deve stupire
più di tanto. Lo stesso Benedetto XVI,durante la benedizione Urbi et Orbi
del 25
dicembre 2005, ha dichiarato alla
folla raccolta davanti alla Basilica di San Pietro:
«Uomo moderno, adulto eppure talora
debole nel pensiero e nella volontà,
lasciati prender per mano dal Bambino di
Betlemme; non temere, fidati di Lui! La
forza vivificante della sua luce ti
incoraggia ad impegnarti nell'edificazione
di un nuovo ordine mondiale, fondato
su giusti rapporti etici ed economici.
Il suo amore guidi i popoli e ne rischiari
la comune coscienza di essere "famiglia"
chiamata a costruire rapporti di fiducia e
di vicendevole sostegno. L'umanità
unita potrà affrontare i tanti e
preoccupanti problemi del momento presente:
dalla minaccia terroristica alle
condizioni di umiliante povertà in cui
vivono milioni di esseri umani, dalla
proliferazione delle armi alle pandemie e al
degrado ambientale che pone a rischio il
futuro del pianeta»
42.
Nuovo Ordine Mondiale, «Dio
questo sconosciuto» («o se si preferisce il Grande
Architetto dell'Universo)... Non c'è che dire: la
Massoneria è ormai di casa nella cittadella di San
Francesco.
NOTE
1 Articolo estratto dalla rivista Sodalitium
(pagg. 5-19), nº 3, Anno XXIX, aprile 2013.
3 7 dicembre 1965. La Costituzione pastorale
Gaudium et spes, nel capitolo XIX parla del problema
dell'ateismo, la cui causa verrebbe in buona parte da una
visione distorta di Dio presentata dai credenti. Credenti e non
credenti devono collaborare nell'edificazione della società.
- 9 aprile 1965. Paolo VI
istituisce il Segretariato per in non-credenti, in applicazione
della Costituzione Gaudium et spes.
- 1988. Giovanni Paolo II muta il
nome del Segretariato in Pontificio Consiglio per il dialogo con
i non-credenti;
- 25 marzo 1993. Il Pontificio
consiglio per il dialogo con i non-credenti viene unito al
Pontificio consiglio della cultura per il dialogo e la
collaborazione tra la Chiesa e la cultura del nostro tempo;
- 21 dicembre 2009. Discorso di
Benedetto XVI per gli auguri di Natale alla Curia Romana. Viene
considerato il «discorso di fondazione» del «Cortile dei
Gentili» come spazio per accogliere nel dialogo i non-credenti
che non rinunciano a cercare il «Dio Ignoto» o il «Dio
Sconosciuto». Il dipartimento «Ateismo» del Pontificio Consiglio
della Cultura viene denominato «Cortile dei Gentili». Nei
«temi nei quali credenti e non-credenti potranno riconoscersi»
è incluso il «cercare una sintesi e un dialogo precursore e
profondo tra lo spirito illuminista, il secolarismo e la fede.
Riconoscere le autentiche conquiste dell'Età dei Lumi».
6 Le lezioni tenute da Ratzinger a Tubinga,
nell'estate del 1967, sono state raccolte in volume l'anno
seguente, e pubblicate in italiano nel 1969. Fu Hans Küng che
ottenne, al più giovane Ratzinger, la cattedra a Tubinga, nel
1966 (cfr. Dizionario storico dell'Inquisizione, diretto
da Adriano Prosperi, Ed. della Scuola Normale Superiore di Pisa,
2010, vol. II, pag. 865).
7 Cito dall'ottava edizione italiana: J.
Ratzinger,
Introduzione al cristianesimo, Edizione Queriniana, Brescia,
1986. Nel 2000, il Cardinal Ratzinger ha scritto una nuova
prefazione al libro, che è stato ristampato in una nuova
traduzione italiana nel 2005, sempre dalla Queriniana.
14 Il giudeo, scrisse lo storico
israelita James Darmesteter, citato da Mons. Umberto Benigni, è,
nel mondo cristiano, «il dottore dell’incredulo» (cfr.
Sodalitium, nº 65, pag. 11), il maestro del dubbio.
27 Cfr. Enciclica Qui pluribus,
in Denz.-Schon § 2278-2279.
28 Il peccato contro la fede si può
commettere «quanto all'oggetto materiale: a) negando la
verità rivelata proposta, o dando il proprio assenso a una
opinione incompatibile con la dottrina rivelata b) dando il
proprio assenso alla verità rivelata in maniera non ferma, ma
col timore che possa essere vero l'opposto c) dubitando
positivamente e deliberatamente della stessa verità, e cioè
sospendendo il proprio assenso, non come quando uno vuol pensare
ad altro e non stancare la mente, o cercare motivi di dare
meglio il proprio assenso, o cose simili, ma esattamente col
pensare o temere positivamente che la verità proposta possa
essere falsa. Tutti questi modi escludono con ogni evidenza la
volontà di credere fermamente e il fermo assenso volontario a
causa di Dio che si rivela, e quindi costituiscono almeno
implicitamente una negazione della fede» (Cfr. B. H.
Merkelbach o.p.,
op. cit., vol. 1, nº 738).
29 Cfr. De Revelatione, canoni 1
e 2; De fide, canone 3.
38«Teoria questa che non è soltanto
una falsità vera e propria, ma che ripudia la vera religione
falsandone il concetto, e così spiana la via al naturalismo e
all'ateismo. Chi dunque tien mano a codesti tentativi ed ha di
queste idee, con ciò stesso, per conseguenza manifesta, si
allontana dalla religione rivelata da Dio».
39 Tra gli scritti di critica alla
martiniana (ma non ratzingeriana) «teologia del dubbio», si
distingue il saggio di A. Gnocchi e M. Palmaro, Ci salveranno
le vecchie zie. Una certa idea della Tradizione, edito nel
2012 dalle edizioni filo-ebraiche del dr. Zenone, esperto di
hassidismo, Fede e Cultura. In copertina, il logo della collana,
diretta da Gnocchi e Palmaro, I libri del ritorno all'ordine,
che rappresenta il sigillo dei cavalieri Templari. Gli Autori
non criticano solo a sinistra (Martini) ma anche a destra,
attaccando i cattivissimi sedevacantisti assieme ai difensori
(come noi di Sodalitium) della Tesi di Padre M. L.
Guérard des Lauriers.
40 Cfr.
Benedetto XVI,
Discorso alla Curia romana, del 21 dicembre 2009.
41 Cfr. Il Timone, nº 117,
novembre 2012, pag. 4; resoconto di Vanessa Gruosso.